Koinonia Febbraio 2022


Su Tempi di Fraternità di ottobre 2021

 

In Koinonia di ottobre abbiamo riportato la Proposta di lavoro per le riviste della Rete dei Viandanti VERSO IL SINODO DELLA CHIESA ITALIANA, in vista di un confronto e di convergenze di  impegno. Dopo aver riportato di sopra  l’intervento di Ugo Basso apparso su Il Gallo di febbraio, troviamo da Tempi di fraternità di ottobre la riflessione di David Pelanda per una sintonizzazione di intenti.  Egli fa riferimento ai “vissuti di tutti coloro che da più di 50 anni hanno avuto non pochi problemi con la gerarchia della chiesa cattolica, a partire soprattutto dal Concilio Vaticano II”. Quindi ci sarebbe in gioco  tutta la sofferta e  e controversa vicenda del dopo Concilio, per capire  a che punto siamo col Vaticano II e per dire come un Sinodo che  ne è figlio possa ripartire di lì in maniera più libera ed efficace, nelle sue linee guida tutte da far riemergere.

Di fatto, anche in questo caso come già per il documento di Esodo, si parte per la tangente  e si guarda ad obiettivi immediati, o di ordine dottrinale in senso cristologico o di ordine pratico, come se alle spalle fosse già tutto chiaro e condiviso. Il Concilio non sarebbe che uno sfondo riformista di “comunità cristiane nel mondo” il cui “nodo è la capacità di testimoniare la carità, all’interno delle comunità e nella società, non creando istituzioni ma costruendo comunità di accoglienza, solidarietà”. Compiti a cui si intende dedicarsi, come “una testimonianza di umanità oltre che evangelica, di vicinanza e solidarietà con le persone che soffrono e che vengono emarginate piuttosto che spendere tempo ed energie immaginando di poter avere voce per qualche cambiamento all’interno delle strutture della chiesa ufficiale”.

E con questo, ancora una volta abbiamo assicurato obiettivi immediati di indiscutibile valore, ma abbiamo abdicato in partenza  alle prospettive aperte ed offerte dal Concilio, che sono state disattese proprio per voler “realizzare” questo o quel progetto comunitario e dedicarsi ad imprese umanitarie significative quanto ininfluenti per quanto riguarda una modificazione dell’annuncio cristiano nel mondo.  Si chiede ad esempio giustamente  di “superare i limiti dell’ipoteca clericale che si è pesantemente sedimentata nei secoli nella nostra vista di chiesa”; ma questo non vuol dire dare vita ad un Popolo di Dio con una coscienza  nuova di chiesa che permei e attraversi il tessuto ecclesiale esistente? È solo un rapporto di forza, o  è impresa di una fede vissuta, pensata, testimoniata, tale che sposti le montagne? O basta che il Concilio  faccia da sfondo ideologico per riformisti?

Nel suo Discorso di apertura del Concilio Giovanni XXIII disse che “Tantum aurora est”, e siamo ancora agli albori di un effettivo cambiamento d’epoca anche per la chiesa.

 

ABS

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