Koinonia Gennaio 2022


La  Lettera pastorale “Camminare insieme”

del Card. M.Pellegrino ha compiuto 50 anni

 

 “CHIESA SINODALE” ANCHE SENZA SINODO

 

La nostra condizione di diaspora sinodale non ci lascia nella dispersione mortale, ma ci stimola alla ricerca di convergenze e di unità nella fede in Cristo, cercata. vissuta e condivisa. E dopo quanto ci siamo detti retrospettivamente riguardo alla esperienza passata, ci troviamo ora nella necessità di dire come poter continuare il cammino, Possiamo dire di essere usciti da una situazione carsica, e di dover andare avanti a cielo aperto. Col vantaggio di poter usufruire in genere delle   indicazioni di Papa Francesco  e in particolare in riferimento al Sinodo dei Vescovi. La necessità è quella di ritrovare spazi e modo di dare corpo ad una coscienza di chiesa maturata nel tempo e messa alla prova nelle situazioni: una chiesa che si è adagiata su se stessa e che ora si vorrebbe “sinodale”, in cammino, in uscita .missionaria. Quali che siano ormai gli ostacoli e le resistenze, c’è la necessità di ritrovare un terreno vergine su cui far vivere una nuova soggettività di chiesa, in risposta alle urgenze dei tempi. Sì, sono cambiate tante cose, ma il soggetto storico chiesa è sempre uguale a se stesso!

Si richiede perciò una nuova attitudine e una rinnovata disponibilità da parte  di quanti si sentono chiamati a questa opera di conversione ecclesiale, al di là di un’adesione di massima a riformismi accattivanti, per cui sentirsi  “cattolici progressisti”.  Il sogno sarebbe che le forze sparse di Koinonia potessero trovare volontà e modo  di impegnarsi in questa opera di edificazione del Corpo di Cristo, ciascuno al proprio posto, fattivamente da parte di alcuni, in spirito e in preghiera  da parte di altri. È il momento della consapevolezza, della convinzione, della decisione!

Sta di fatto, però, che ci troviamo a coltivare questo sogno all’interno di contesti religiosi e pastorali preordinati, dove domina un immobilismo formale elevato a norma, che non lascia spazio a cambiamenti, se non quelli superficiali che assicurano la propria conservazione. Per cui, sul piano pratico la possibilità  di intervento sull’esistente è quasi  nulla, e non basta l’acquiescenza alle reiterate  richieste del Papa, per evitare di fatto che tutto il lavoro pastorale consentito non  sia altro che pura manovalanza in strutture “che spesso fanno dimenticare le persone”, come dice il Card. Pellegrino al n.7 della sua Lettera pastorale “Camminare insieme”.

Verrebbe da tentare la via ideale e progettuale aperta dai documenti ufficiali di preparazione al Sinodo, ma qui non si farebbe che sorvolare sulla necessità reale di modificazione quanto allo stile di vita ecclesiale: la sinodalità diventa  per lo più un tema di riflessione e di apprendimento teorico e non motivo di prassi  e discernimento, che tenga conto cioè di processi reali in atto e non solo di applicazioni di norme ancora una volta rielaborate.

Si ha l’impressione che tutto il lavoro di preparazione del Sinodo sia a carattere  intra-ecclesiale, destinato ad avere ricadute sociali e storiche solo di riflesso: manca una sincronizzazione tra la sfera umana e quella della fede, che sono sì distinte ma non separate e devono andare di pari passo! A differenza del Vaticano II che si rapportava al mondo in prima istanza (il mondo era messo all’ordine del giorno!), qui l’ottica rimane ecclesiocentrica; la missione appare come risultante della comunione e della partecipazione tutte da maturare, invece che dare forma alla vita interna della chiesa. Questa rivoluzione copernicana sembra arrestarsi all’ultimo miglio, nella illusione che il mondo possa  tornare a ruotare intorno alla chiesa.

Stando così le cose, ad aprirci una via percorribile ci soccorre la memoria: ci riporta infatti a 50 anni fa e precisamente  al giorno 8 dicembre 1971, quando il Vescovo di Torino firmò la sua lettera pastorale “Camminare insieme - Linee programmatiche per una pastorale della chiesa torinese”. Una lettera richiesta al vescovo dalla sua chiesa  a conclusione di una lunga ricerca, riflessione e dialogo sul reale cammino che essa aveva  fatto e stava facendo dopo il Vaticano II:  nel senso appunto di una chiesa di comunione e di solidarietà allo stesso tempo. Ed anche se nel testo non figurano parole come “sinodo” o “sinodalità”, non si può negare che appare qui una “chiesa sinodale” a tutti gli effetti, una chiesa in movimento e in azione. Una chiesa impegnata ad essere se stessa  grazie ad una ritrovata fede nel vangelo e non in forza di di una fedeltà al suo assetto storico.

Ma prima di dire qualcosa della lettera, va detto che il Card.Michele Pellegrino va considerato un “Padre della chiesa del XX secolo”, e che dovremmo davvero rifarci a quanti si son fatti testimoni del cammino del Vaticano II, per andare avanti  come portatori di una eredità e di una tradizione e non solo per il gusto di vuota novità: questi testimoni andrebbero rivisitati non più come personaggi singolari, ma appunto come “Padri - o madri - della chiesa” . Nel caso di Michele Pellegrino abbiamo un Pastore che più di ogni altro ha incarnato lo spirito del Vaticano II nella chiesa locale, e se ne è fatto servo per la chiesa universale. La sua lettera è la prova che un Vescovo ha interagito sulla  base della fiducia reciproca con il suo Popolo, che a sua volta camminava tra gli uomini con la propria fede.

Alla base della ricerca e della riflessione c’è un corpo sociale ed ecclesiale unitario, nella distinzione interna ma senza separazioni, per cui tutto il lavoro ha una sua fisionomia e identità, ha un’anima che lo personalizza. Lo si può capire quando il Vescovo si chiede: “Posso sperare che venga raccolto il mio appello, che il popolo di Dio pellegrinante in Torino possa camminare nella pace, nella concordia e nella comunione insieme col pastore mandato da Cristo a servirlo col cuore, con la voce, con gli scritti?”. Così come si può evincere dalla  franchezza con cui si parla di difficoltà e rischi, quando si tratta  di trovare consenso su temi tanto impegnativi come povertà, libertà, fraternità, che insieme sono le direttrici di  tutto il cammino. 

Non è un orientamento ideologico ma autenticamente evangelico, secondo cui Parola di Dio e Parola di uomo si intersecano. La fede si fa amore del prossimo nelle reali condizioni di vita dei singoli e della società:  “Evidentemente la scelta poteva essere formulata in altri modi; ma poiché una scelta bisognava farla, e questa ha raccolto il consenso praticamente unanime, mi pare giusto partire di qui. Del resto, si tratta di valori talmente essenziali nella visione cristiana della vita e talmente attuali in rapporto alla realtà sociale in cui viviamo, che vale ben la pena di impegnare gli sforzi di tutta la diocesi per tradurli fedelmente nella pratica”.

Un profondo realismo della fede si accompagna alla concretezza della carità: “L’attuazione di questi valori esige una conversione personale e comunitaria per realizzare una Chiesa più autentica, fedele alla parola di Dio e attenta alle esigenze degli uomini in mezzo ai quali vive, che sia segno del primato assoluto di Dio e del suo regno. D’altra parte, è la conversione personale che fa maturare contemporaneamente una crescita, nella stessa linea, della comunità, così da offrire una esplicita testimonianza di Chiesa, comunione di corresponsabili”.

È in gioco l’evangelizzazione come vita di preghiera e liturgica, “vissuta autenticamente come riconoscimento del primato di Dio e come mezzo principe per attingere alle sorgenti della grazia, senza la quale non è possibile realizzare alcun valore veramente cristiano”.  Ma  evangelizzazione anche come  assunzione   delle concrete situazioni umane, sia quanto alla fede da parte di cristiani, sia quanto al rapporto pastorale caratterizzato per lo più  dall’anonimato, e sia  anche quanto alle situazioni sociali in genere e in particolare quanto alla relazione col mondo operaio e del lavoro.

Quando si passa “alle tre esigenze indicate come elementi base della pastorale diocesana” -  povertà, libertà, fraternità -  il discorso non è teorico ma esamina come queste tre dimensioni diano forma ad una esistenza cristiana e strutturino la vita ecclesiale all’interno di situazioni storiche concrete.  Riguardo alla povertà  bastino queste poche parole per capire quanto dovrebbe diventare mentalità evangelica, prassi profetica di giustizia, azione di carità: “C’è bisogno di aggiungere che l’impegno della Chiesa verso i poveri, verso tutti i poveri, ha come mira essenziale l’evangelizzazione? Lo scopo della Chiesa non può non essere quello che Cristo ha proclamato il primo obiettivo della Sua missione: portare la buona novella ai poveri. La denuncia delle situazioni di ingiustizia e di oppressione è l’aspetto negativo ma necessario dell’annuncio salvifico, che deve manifestare ai fratelli l’amore del Padre e di Cristo Salvatore”.

Ed ecco invece una citazione significativa riguardo all’esercizio della libertà, che lascia capire lo spirito di un metodo di consultazione e di partecipazione: “Mentre sento il dovere di richiamare tutti al senso di responsabilità e all’impegno di comunione nel lavoro, debbo sottolineare il rispetto della ragionevole libertà ammettendo un pluralismo che tenga conto delle situazioni diverse, delle possibilità degli uomini e degli ambienti. Nessun male - anzi può essere cosa utile e feconda - se ci sono parrocchie e comunità che portano avanti, sempre in piena comunione col vescovo, iniziative e metodi pastorali nuovi, che l’ambiente è in grado di recepire, e per cui ci sono strumenti idonei. Si lavori, si sperimenti, con umiltà e coraggio, guardando con rispetto a chi, con uguale buona volontà, ritiene di dover camminare qualche passo più indietro o per vie alquanto diverse, salve sempre le realtà di fondo a cui tutti debbono sentirsi obbligati”.

Possiamo chiudere questo invito alla lettura, all’approfondimento e alla pratica di questo documento orientativo con alcune parole che offrono il quadro pastorale variegato  e dinamico di una chiesa in movimento: “Le indicazioni qui offerte sulla povertà, libertà, fraternità informino la vita e le scelte, oltre che della diocesi, delle zone, delle parrocchie, delle istituzioni e associazioni, nonché delle comunità o «gruppi di base» parrocchiali, di quartiere, di ambiente. Riprendendo l’accenno già fatto, converrà aggiungere che tali «gruppi» possono sorgere per libera iniziativa, essere nuclei delle associazioni laicali, essere promossi dalle stesse parrocchie. Tutti debbono preoccuparsi di un’autentica dimensione ecclesiale e accettare il confronto e l’incontro con più ampie comunità, in particolare con la parrocchia, la zona vicariale, il settore pastorale, la diocesi. Siano aiutati a non isolarsi nella società, ma a portarsi dove si svolge la vita degli uomini per rendere servizio o animare cristianamente la realtà, gli ambienti di lavoro, di cultura, di assistenza sociale, i quartieri, ecc.”.

Mi chiedo se non ci sia qui l’appello ad assumersi la responsabilità di essere “chiesa sinodale” alla stessa maniera, e cioè semplicemente come impegno ad essere chiesa in continuità e in coerenza col cammino fatto in questi anni, e non necessariamente vestendo panni di circostanza. Sarebbe veramente illusorio far pensare che parlare di Sinodo sia qualcosa di nuovo e di risolutivo, senza interrogarci seriamente su come sono andate le cose dopo il Concilio, e tenerne  conto. Nella ricerca di un’autentica dimensione ecclesiale secondo povertà, libertà e fraternità, per un nuovo soggetto-chiesa. Se poi col Sinodo una vera conversione c’è stata, sarebbe cosa buona e giusta dichiararla!

 

Alberto Bruno Simoni op

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