Koinonia Luglio 2021


ITINERARIO ALLA FEDE

 

Le intuizioni teologiche che nei testi da me letti in precedenza riguardavano in genere un solo argomento, in questo nuovo lavoro di Timothy Radcliffe costituiscono una struttura articolata e complessa che ha però la leggerezza architettonica della Nuvola di Fuksas. Il tema annunciato nel titolo, Accendere l’immaginazione*, si chiarisce e si completa nel sottotitolo, Essere vivi in Dio. Infatti il termine ‘immaginazione’ viene usato dal domenicano nel senso di “una visione del mondo vivida e creativa”. Se arriviamo a vedere, egli dice, “come ogni aspetto del cristianesimo riguarda l’essere vivi  e come ogni aspetto dell’essere vivi riguardi il cristianesimo, la fede potrà illuminare tutto ciò che noi siamo e facciamo”. Ma non solo: “Chiunque, indipendentemente dalla propria fede ( o mancanza di) colga la complessità dell’essere vivi, può a sua volta aiutare noi cristiani a dare un senso alla nostra fede”.

 

Nel capitolo introduttivo, l’autore afferma di voler indagare come la fede cristiana possa avere un senso per i nostri contemporanei. Come la lettura del testo dimostra, Radcliffe usa tutti gli strumenti a sua disposizione per conoscere da ogni prospettiva la ”complessità dell’essere vivi”. “Personalmente, dice, passo più tempo a seguire i mezzi di comunicazione laici che i Vangeli”. Anche perché, lo si capisce subito, i Vangeli li ha talmente introiettati che ogni lettura lo riporta ad essi.

 

Solo l’immaginazione può curare i mali del nostro tempo che Radcliffe chiama ‘i fratelli nemici’, solo apparentemente opposti, ma accumunati da una concezione riduzionistica della realtà: secolarismo e fondamentalismo sono  i due atteggiamenti che non riconoscono ‘la complessità dell’essere vivi”.  “L’immaginazione è la porta attraverso cui sfuggiamo ai limiti di ogni mentalità riduzionista”. La vera globalizzazione è quella della superficialità. Riduzionismo e superficialità “prosciugano qualsiasi senso di trascendenza”.

 

Nel coltivare l’immaginazione per ‘essere vivi in Dio’, gli artisti possono essere “i nostri compagni di fuga”. Infatti, dice Radcliffe, la fede non è come la poesia, la fede è poesia. “Non ardeva forse il cuore in petto ai discepoli di Emmaus, mentre Gesù spiegava il senso delle Scritture”, per riaccendere la loro fede delusa dalla croce? Leggendo il libro s’incontrano quindi moltissime citazioni da artisti di ogni tempo: poemi, brani musicali, canzoni, romanzi, testi poetici. La cultura ‘artistica’ dell’autore, che s’indovina vastissima, è messa al servizio della sua tesi, di come cioè l’immaginazione artistica possa aiutare a sentirsi vivi in Dio.  Citando un confratello ex comunista ateo: “Deve essere possibile trovare ed adorare Dio nella complessità dell’esperienza umana” quale ritroviamo in tanti romanzi, nell’arte, nella musica, nella tragedia...  Le nostre parole, dice Radcliffe rivolgendosi, immagino, ai suoi fratelli presbiteri che preparano le omelie domenicali, “devono toccare con mano la materia ingarbugliata della vita delle persone” (ancora la complessità dell’essere vivi). Altrimenti non rifletteranno “il Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. E conclude: “Solo così la gente ci prenderà sul serio”.  Una caratteristica dello stile di Timothy Radcliffe è quella di far passare le critiche alla Chiesa storica e contemporanea, con estrema delicatezza, attraverso la presentazione di ‘ciò che si dovrebbe fare’, lasciando implicito, ma non meno evidente, “ciò che non si fa”. A volte però egli sa essere anche molto incisivo nella sua critica. Dopo aver descritto come, a partire dal XVI secolo, il grande dramma onnicomprensivo evangelico e cosmico che avvinceva il Medio Evo sparì dalla coscienza condivisa, osserva che la fede assunse da allora un connotato moraleggiante e  si cominciò a pensare che la felicità umana fosse sufficiente... la divinizzazione, l’amore infinito cominciò a sembrare un sogno folle, perfino disumano”. Mi lascio a questo punto tentare dall’abitudine dell’autore alle citazioni ‘laiche’. Nel dramma di Jean Giraudoux del 1929 Amphitryon 38, Giove si trasforma nel marito di Alcmena per passare una notte con lei e, al mattino, cerca di farle ammettere che quella appena passata è stata ‘una notte divina’. Ma Alcmena risponde: “Sei povero stamani nei tuoi epiteti, mio caro!”. Qualunque altro aggettivo, secondo lei, sarebbe andato bene: perfetta, charmante, piacevole, qualunque, a parte il tuo termine divino, “veramente fuori moda!”.   Andando dietro alle ‘mode’, dice Radcliffe, “noi abbiamo svenduto il cristianesimo e una simile svendita fallisce per forza perché il cristianesimo...è la porta di accesso dell’infinito”. Una critica  al cristianesimo analoga a questa l’abbiamo già sentita da un altro domenicano, Dominique Collin,  che titola addirittura il suo saggio “Il cristianesimo ancora non esiste”, distinguendo un cristianesimo di appartenenza da uno di esistenza.

 

Vivere è la risposta a un invito di Dio: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte... scegli dunque la vita “(Dt, 30,19. “La vita non si riduce a elettricità cerebrale e pulsione sanguigna... è dinamica e orientata a un fine”. Con una metafora, figura retorica cara alla poesia, Radcliffe dice che la vita dei cristiani deve essere simile a quella dei salmoni che risalgono la corrente dei fiumi, superando mille ostacoli per tornare alle sorgenti da cui provengono.  I cristiani devono avere il coraggio di sfidare la loro società timorosa e avversa al rischio....”per essere presi nell’avventura dell’infinità dell’amore divino..per accogliere il dono abbagliante della grazia che spinge avanti e rialza quando inevitabilmente (nessun dramma!) capita di cadere a faccia in giù.”  Rifacendosi all’affermazione di Paolo: “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma quel che saremo non è stato ancora rivelato”, Radcliffe dice che “diventiamo vivi nella misura in cui lentamente ci emancipiamo da identità troppo costrittive.” Citando poi il priore dei monaci di Thibirine, la cui storia e rivissuta nel film Uomini di Dio: “La nostra identità va da una nascita all’altra....così finiremo di mettere al mondo il figlio di Dio che noi siamo”. A proposito di quel film, Radcliffe riflette su come, visto da milioni di persone, esso abbia impressionato anche individui  non ‘timbrati’ come cristiani. Credo, egli dice, che “incarni molti elementi dell’immaginazione cristiana... Il nostro senso del trascendente è mediato attraverso persone particolari. L’immaginazione cristiana dimora nel particolare. È infatti a proposito di un particolare ebreo che visse in Medioriente 2000 anni fa”.

 

Tornando alla struttura del testo, dopo i capitoli introduttivi, l’autore ripercorre le pagine del Vangelo dalle prime ‘scaramucce’ di Gesù coi demoni e col male, all’insegnamento dato ai discepoli, alla passione e morte, alla resurrezione, sempre sottolineando che per l’immaginazione cristiana l’approccio all’infinito avviene  attraverso il finito “come il pesce che deve respirare l’aria (l’infinito) attraverso l’acqua (il finito)”. Per questo quasi ad ogni pagina si parla di un caso concreto che può essere tratto dalla vita di suoi confratelli, di amici, di santi, di personaggi di romanzi, di film... Ogni spunto è buono per riportare il finito all’infinito, non di rado con un tocco di umorismo. E l’infinito così diventa di casa, sembra di poterlo toccare.

 

Con il suo insegnamento, Gesù aiuta i discepoli, e noi con loro, a crescere mettendo in discussione le idee ereditate dal passato circa ciò che significa essere adulti: per essere davvero ‘grandi’ bisogna tornare bambini, il che non significa essere ‘infantili’, ma che”dobbiamo  incarnare una maturità che possieda qualcosa della spontaneità e della gioia del bambino”. L’adulto autentico, spontaneo e gioioso è rappresentato nel Vangelo dal padre del figliol prodigo il quale, per crescere, ha avuto bisogno di ribellarsi, a differenza del fratello che, non essendosi mai ribellato, non è mai cresciuto. L’autore conclude l’approfondito commento della parabola dicendo: “L’insegnamento di Gesù sarebbe un balsamo per la nostra società che vive una crisi di regresso all’infanzia”.

 

Il cristianesimo, dice Radcliffe, è una religione che insegna, anche attraverso i dogmi. “Le tre religioni abramitiche entrano in collisione ….con il sospetto verso chiunque pretende di dire e insegnare la verità. I dogmi definiscono il nucleo delle religioni abramitiche, ma gli adulti rifiutano i i dogmi”. Non vi è nulla di male in una spiritualità ‘più leggera’ fatta di meditazione, respirazione ecc., ma “la vita cristiana non può reggersi sulla calda e indefinita sensazione di quanto Gesù sia buono e simpatico...le esperienze carismatiche dello Spirito sono meravigliose, ma chi ci sosterrà nei tempi di aridità? Le dottrine ci nutrono anche quando i nostri sentimenti si inaridiscono.  Dobbiamo mettere a disposizione dei nostri contemporanei “un soffio dell’’immaginazione dogmatica’ che ci proietta sulla strada aperta dal pensiero... L’insegnamento non blocca la nostra ricerca della verità, al contrario stimola l’avventura della mente...ci lancia in un’esplorazione senza fine del mistero della nostra fede”. Chi ha mai accostato il termine ‘dogma’ al termine ‘immaginazione’? Può esistere un’immaginazione dogmatica? Radcliffe ci invita  sulla ‘strada aperta del pensiero’ per arrivarci. Egli afferma: “Professare che Gesù è risorto non significa aver risolto il rebus della tomba vuota!” “Il Credo ci chiama incessantemente a continuare il viaggio che conduce al mistero di Dio invece che vagare su un sentiero abbandonato che conduce a un vicolo cieco”. Veramente il cristianesimo forse comincia a nascere solo ora!

Radcliffe parla anche di ‘immaginazione sacramentale’ che deve contrastare il ‘paradigma tecnocratico’ di cui parla papa Francesco e che “ci occulta la presenza del trascendente nella creazione”... I gesti sacramentali, piccoli gesti a base di un po’ d’acqua, un po’ d’olio, del pane e del vino, “aprono una finestra nell’immaginazione e scuotono i nostri presupposti su some le cose debbano andare”. Radcliffe affronta il tema dell’ecumenismo in un caitolo intitolato “L’ecologia della fede”. Nella grande preghiera al Padre dell’Ultima cena, egli dice, Gesù prega “ che siano tutti uno come io e te siamo uno”. Nel Nuovo Testamento essere cristiani significa essere chiamati alla comunione di una sola chiesa, pur attraverso tensioni e divisioni profonde. Fin dal principio il cristianesimo è stato lacerato da due imperativi: essere una cosa sola e vivere ad ogni costo nella verità. La violenza che  è nata da questa lacerazione è stata in parte generata da modi diversi di immaginare il rapporto tra unità e verità. Abbiamo sempre visto come nei momenti più tragici della sua storia, ultimamente con la pandemia, l’umanità ritrova l’unità. In quei momenti, dice Radcliffe, “s’intravede la vocazione umana a partecipare all’ineffabile unità di Dio”. Lungo tutta la storia cristiana, vi sono state persone indotte dalla propria coscienza a dire ‘no’. “La sfida per la mia tradizione cattolica consiste nell’immaginare il dissenso fecondo, anzi necessario”. Qualcuno dice che se la Chiesa avesse accolto, a suo tempo. il pensiero di Teilhard de Chardin, oggi non arrancherebbe dietro la scienza , ma la precederebbe.  Gesù ha detto: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore”. Quindi “nell’immaginazione cattolica ci deve essere posto anche per le necessarie proteste “che ci impediscono di sprofondare in un sonno compiaciuto”.

 

A proposito della scienza, Radcliffe accoglie l’opinione della teologa Elizabeth Johnson che si chiede se la scienza non potrebbe aiutare l’immaginazione cristiana ad aprirsi nuovamente a una prospettiva di lunga durata. Leggendo il testo del fisico Carlo Rovelli, Helgoland, sulla rivoluzione della fisica quantistica, anch’io mi sono chiesta se la radicalità con cui i fisici all’inizio del ‘900 hanno rivoluzionato la grammatica della nostra comprensione della realtà non potrebbe ispirare i cristiani ad accogliere la radicalità con cui Gesù ci invita alla con-versione. Anche noi abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra comprensione della realtà.

 

Un ultimo accenno a un argomento di grande attualità. Parlando di come essere vivi nel corpo, Radcliffe ricorda come il tocco di Gesù sui corpi malati fosse tenero e risanatore: “Il tocco santo è un elemento intrinseco dell’incarnazione”. Oggi però, egli aggiunge, “la tragedia  è che, quando abbiamo urgentemente bisogno della buona notizia di Gesù... la Chiesa non ha titolo a testimoniarla a motivo della sua complicità nelle violenze su migliaia di innocenti”. Questo, dice, è il più  grande scandalo nella storia della Chiesa dopo la Riforma. In questa recensione al libro di Timothy Radcliffe non ho fatto altro che fermarmi forzatamente solo su alcuni temi che non possono dare un’idea della ricchezza e della bellezza del testo. Posso solo dire: leggete e fate leggere questo bellissimo libro che è insieme, di spiritualità e di teologia, che si legge ‘come un romanzo’, il che non avviene spesso per questo genere di libri, e che lascia appunto leggeri, anche se più consapevoli di come oggi si può essere cristiani.

 

Donatella Coppi

* EMI, aprile 2021, pp. 416, € 31,00

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