Koinonia Giugno 2021


LA FEDE DI ABRAMO (III)

 

La sfida del dialogo

 

Dalla fede di Abramo è scaturito tutto il dinamismo della storia di cui facciamo esperienza. L’esperienza spirituale della Grecia antica e dell’India supera forse quella ebraica, eppure sono entrambe fuori da ogni senso della storia, da ogni incidenza sul processo della storia; in Grecia si sono manifestati una contemplazione artistica e filosofica “che nessun’altra cultura ha superato – dice Berdjaev , ma ci fornì un cosmo statico, chiuso, in cui non esiste l’agire storico appassionato”. Ancora: “La Grecia elaborò il concetto dell’anima, mentre questo concetto fu estraneo al popolo ebraico per il quale il baricentro stava non tanto nel destino individuale dell’uomo quanto nel destino del popolo” (Il senso della storia). Si salva un popolo non un individuo, si salva l’uomo nella sua interezza, anima e corpo, si salva la creazione tutta, si attendono cieli nuovi e terra nuova, non si vola con l’anima nell’etereo spazio. La salvezza è della storia non dalla storia, ci si salva nel cuore del tempo, non dal tempo, per questo il tempo che passa pesa e nulla si ha a che fare con l’indifferenza del tanto tutto eternamente è.

È sull’esperienza di fede di Abramo che ebrei, cristiani e musulmani attendono il giudizio ultimo sulla storia, la risurrezione dei morti. Uniche in tutto ciò queste tre fedi sorelle nel contesto generale delle religioni.

 

Per vedere come si muove Abramo, di cosa lo rende capace la fede, dobbiamo metterci in ascolto di ciò che narra la Scrittura al capitolo 15 della Genesi.Vi è descritto l’episodio delle promesse e dell’alleanza. Cerchiamo di leggerlo attentamente.

Abramo ha già percorso parecchio cammino e non son state tutte rose e fiori: arrivato a Canaan, Dio gli dice che non a lui ma alla sua discendenza darà quel paese. Ma come si può avere discendenza se non si hanno figli? Egli però non ha nulla da obiettare, comunque costruisce l’altare, pianta la tenda e invoca il nome del Signore. Ci si aspetterebbe per lo meno una vita tranquilla a questo punto e invece ecco una bella carestia che costringe Abramo a scappare in Egitto col rischio persino di perdere la propria moglie: avere una moglie bella come Sara davanti a uno come il faraone poteva infatti portar male. Ma alla fine Sara e Abramo ne escono con onore e persino arricchiti; meno male, anche se proprio quella grande ricchezza lo porta a dividersi dal nipote Lot che lo aveva sempre seguito. Lot si stabilirà a Sodoma e, per salvarlo dalla prigionia a seguito di un attacco di re che invadono Sodoma, dovrà anche entrare in guerra e combattere. Il contesto è particolare ed è lì che incontrerà la singolarissima figura di Melchisedek.

Sarà alla fine di tutto questo cheincontreremo l’episodio delle promesse e dell’alleanza : “Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: ‘Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande’”. A questo punto tutti noi amanti del buon Dio avremmo pensato: se lo dice lui dobbiamo continuare a credere, zitti e mosca. E invece la fede di Abramo è di una pasta diversa dalla nostra, noi siamo come rassegnati di fronte a quanto ogni volta accade, egli no, egli comincia invece ad aprire bocca, a chiedere ragioni a Dio: “Rispose Abram: ‘Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco’. Soggiunse Abram (è qui da notare uno spazio, come se Abram avesse per un momento atteso una risposta che non arriva e perciò riprende): ‘Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede’” (Gen 15,1-3). Come dire: lo capisci o non lo capisci che mi stai raccontando delle frottole?

È stato detto che qui la fede di Abramo inventa l’iniziativa del dialogo. Fino ad allora l’uomo rispondeva come si fa con un sovrano che incute paura, anche Caino aveva risposto alla domanda di Dio, ma qui è la prima volta che un uomo osa sbattere sul tavolo qualcosa di suo. “La freccia partiva sempre da Dio”, dice Neher, ora invece è Abramo che osa lanciare la frecciatina, togliersi il sassolino dalla scarpa per così dire. Qui ha inizio un vero dialogo, qui gli interlocutori cominciano a parlare quasi sullo stesso piano: Abramo lancia una sfida e Dio, lungi dal respingerla, la raccoglie, subito. Anzi, dice ancora Neher, è “come se l’avesse attesa da sempre” (Il pozzo dell’esilio).  La risposta del Signore la sentiamo essere immediata proprio perché l’interlocutore ha sferrato un colpo decisivo che lo chiama a responsabilità: “‘Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede’. Poi lo condusse fuori e gli disse: ‘Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle’ e soggiunse (anche qui è da notare uno spazio simile a quello del discorrere di Abramo, uno spazio anche qui di silenzio, di un’attesa di risposta che non arriva e poi la ripresa) ‘Tale sarà la tua discendenza’”.

Abramo è appena uscito dalla tenda, è notte e sta col naso all’insù a guardare il cielo stellato. Un assurdo, solo un folle poteva credere quella cosa lì. Ma Abramo, pur restando senza parole, sente di non dover chiedere più nulla, è convinto e basta: “Egli credette al Signore che glielo accreditò come giustizia” (Gen 15,5), questo ci riferisce il narratore sacro. L’immagine della fede che qui viene narrata è quella di un vecchio uomo che non osa rompere il silenzio mentre guarda il cielo in una notte di stelle. Dio ha appena parlato, gli ha appena promesso cose grandiose quanto incredibili e lui le crede senza battere ciglio, confidando pienamente nel suo Dio.

È fede che ritroveremo tanto tempo dopo in una giovane donna ebrea di Nazaret, quella che diventerà la madre di Gesù, la madre di Dio addirittura: il sì di Maria e il sì di Abramo appartengono allo stesso mistero di salvezza: senza il sì di quelle due creature umane la storia della salvezza sarebbe andata molto diversamente, magari abortita sul nascere.

“E Dio glielo accreditò come giustizia”. Ma cosa significa qui essere giusto? Che cosa significa – com’è detto nella Lettera ai Filippesi – “giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede” (3,9)? Qui giustizia non è da intendere un essere in accordo con delle norme giuridiche riconosciute, ma un essere fedeli a una promessa che viene da Dio, una adesione profonda e immediata a qualcosa che attende soltanto di essere creduto e accolto. “Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33), dirà Gesù, tutto il resto è aggiunta.

Solo Dio è giusto e fa le cose giuste, solo da lui possiamo aspettarci giustizia e salvezza. “Credere – dice von Rad – è un ‘ancorarsi in Dio’ e riguarda di solito un’azione futura di Dio relativa alla storia della salvezza. È un atto di fiducia, un prestarsi al piano divino nella storia” (Antico Testamento, Genesi). Buber, da parte sua, ritiene che si dovrebbe tradurre: “Abramo ‘ebbe ulteriormente fiducia’, e questo gli ‘fu ritenuto come convalida’ da parte di Dio” (Due tipi di fede). Dunque Abramo sarebbe stato giusto perché restò fermo e costante nella prova, perseverò nonostante tutto. È l’insistenza di chi è capace di tenere duro fino a stancare Dio. Simone Weil ha un’immagine che ci aiuta a capire di capacità si tratta. Guardate una formica – dice – che “si arrampica su un piano verticale e liscio, fa qualche centimetro e cade, si arrampica ancora e cade, si arrampica ancora e cade. Un bambino che l’osservi si divertirà dinanzi a questo spettacolo per dieci minuti, poi non potrà più sopportarlo; metterà la formica su un filo di paglia e la solleverà al di sopra del piano verticale”. È lo sforzo di chi sa attendere umilmente il giorno in cui finalmente sarà “notato dalla Potenza che non si osa implorare” (Quaderni IV, 121).

 

Ma da questo botta e risposta in cui provocazione, promessa e fede sono strettamente correlate, si passa al patto di sangue, al ‘taglio’ dell’alleanza. La scena è in qualche modo inquietante: Abramo deve prendere degli animali, deve ucciderli, spaccarli a metà e porre le parti una di fronte all’altra, ad eccezione degli uccelli. Appena fatto tutto ciò ecco che sui quei cadaveri piombano dei rapaci. Abramo deve scacciarli con forza. Mentre il sole sta tramontando su Abramo cade un torpore e poi “un oscuro terrore” e Dio gli parlerà di schiavitù e di morte. Intanto si fa “buio fitto”, ed “ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse (tagliò) quest’alleanza con Abram” (Gen 15,17). Tutto avviene sulla falsariga di un antico modo di stipulare patti: i contraenti passavano in mezzo agli animali divisi e sanguinanti come dicendo: accada anche a me quello che è accaduto a questi animali se non mantengo quanto ho promesso. In un passo di Geremia la minaccia è chiara: coloro che hanno trasgredito l’alleanza verranno resi “come il vitello che tagliarono in due passando fra le sue metà…, i loro cadaveri saranno pasto per gli uccelli del cielo e per le bestie della terra” (Ger 34,18-20). 

Ma qui non tutti e due i contraenti passano, chi passa nella fiaccola che serpeggia tra le carni sanguinanti è solo il Signore; anche qui, come già con Noè (Gen 9,9), il patto è unilaterale, là di fronte a Dio c’è semplicemente un uomo ansioso e stordito dal “terrore” ad attende nella notte quel che accadrà. Qui invece è soltanto Dio a dire: accada anche a me come a questi animali se non mantengo quanto ho promesso. È come se in Dio fosse emerso un qualche senso di colpa: Abramo certamente non vedrà ciò che gli è stato promesso, Abramo morirà per quanto in felice vecchiaia, senza possedere la terra in cui abitava. Soltanto un pozzo e quel piccolo pezzetto di terra in cui verrà seppellito insieme a Sara gli sarà concesso di avere. E persino la sua discendenza sarà perseguitata per quattro secoli in terra straniera: la storia riserva sorprese e qualche volta nemmeno Dio sa che pesci pigliare. Qui il mistero del Dio crocifisso già balena con tutta evidenza. E anche quegli uccelli rapaci che piombano rimandano decisamente alle parole con le quali Gesù annuncia quanto accadrà alla venuta del Figlio dell’uomo: “Dovunque sarà il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi. Subito dopo le tribolazioni di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria” (Mt 24,28-30).

Gesù per dire dove si rifugiano i poveri quando muoiono in attesa del giudizio ultimo dirà “accanto ad Abramo” (Lc 16,22). Nella figura di Abramo è dato a noi dunque di intravedere anche il nostro futuro di salvezza. Attraverso la sua fede noi possiamo affacciarci sulle cose ultime, quelle che più di ogni altra cosa il credente dovrebbe credere e attendere alla maniera di Abramo. Ma soprattutto ci è dato di capire il prezzo delle cose ultime. Infatti due tra i più grandi misteri della salvezza cristiana appaiono già sullo sfondo della vita di Abramo: la croce di Gesù e la tribolazione degli ultimi giorni. Il primo nella vicenda del sacrificio di Isacco (Gen 22), il secondo nell’episodio della distruzione di Sodoma (Gen 18).

 

Daniele Garota

(3. continua)

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