Koinonia Giugno 2021


MIGRANTI: CHE FARE?

 

Migranti “per forza” erano gli schiavi africani che per quasi quattro secoli attraverso le rotte atlantiche venivano trascinati in catene verso il continente americano. Non tutti arrivavano, ovviamente.

I negrieri seguivano due opposte filosofie per quanto riguardava il trasporto. C’erano coloro che preferivano portare un numero maggiore di africani stipandoli in spazi angusti, a costo di perderne una parte rilevante (poniamo, il 30%) nel corso della traversata a causa dello sfinimento, delle malattie e soprattutto delle infezioni causate dalla sporcizia e dalle catene. Secondo loro questi costi umani venivano compensati dall’alto numero di schiavi messi nelle stive al momento dell’imbarco. I seguaci della seconda filosofia, quella “umanitaria”, per intenderci, preferivano invece trasportare un numero inferiore di schiavi permettendo loro spazi più larghi per tutto il tempo della traversata, di due mesi circa. Sapevano che la mortalità sarebbe stata molto inferiore, diciamo il 10%.

Nel 1800 la tratta degli schiavi venne bandita, almeno ufficialmente. Ma fu proprio allora che la tragedia assunse caratteri ancora più brutali. I proprietari terrieri dell’area caraibica e del Brasile, dove la schiavitù si protrasse per quasi tutto il secolo, non si rassegnavano a non essere riforniti di sempre nuovi schiavi. Così la tratta continuò, ma clandestinamente, a dispetto delle fregate inglesi che facevano opera di polizia marittima. Il guaio era che quando i contrabbandieri di merce umana avvistavano una nave inglese buttavano in mare gli schiavi in catene. L’Atlantico divenne così la tomba di un numero incalcolabile di esseri umani, come oggi il Mediterraneo.

Da anni l’Europa vede le sue coste meridionali funestate da continui naufragi di migranti africani, una vera catastrofe umanitaria, di fronte alla quale troppi continuano a mostrarsi insensibili. L’abisso dell’orrore è stato il 20 aprile scorso. 

“È il momento della vergogna”, ha denunciato il papa. “Centotrenta migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane, che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto, un aiuto che non è mai arrivato”.

Le parole di papa Francesco ci inchiodano alla nostra responsabilità di cristiani, ma anche, semplicemente, di esseri umani.

Quasi due giorni, non poche ore. E nessuno è andato a soccorrerli; né l’Italia (per accordi intercorsi era la Libia che doveva occuparsene), né la Libia stessa che, con una comunicazione arrivata con ore di ritardo rispetto alle prime richieste di aiuto, ha fatto sapere che con quel mare in tempesta le motovedette non potevano intervenire.

Di fronte a una tragedia così atroce padre Zanotelli, comboniano, ha affermato con durezza: “Siamo davanti a veri e propri crimini di cui un giorno la Storia ci chiederà conto (…). Il governo italiano si svegli e la smetta di obbedire alle politiche migratorie di morte della UE… Ma non ci vergogniamo di questo orrore, di questa brutalità disumana? E questo avviene dopo la visita di Draghi a Tripoli, quando si era congratulato con il governo libico per il ‘salvataggio’ dei migranti. Sono questi i ‘salvataggi’? Quelli della Guardia Costiera libica che riprende i migranti in fuga per riportarli nell’inferno libico (pagati e diretti da noi) come è avvenuto due giorni fa? Quelli degli schiavisti che, con regia premeditata, caricano all’inverosimile i barconi?”.

Come Chiesa, come società civile siamo del tutto impotenti? O qualcosa possiamo fare? Ci siamo sforzati a sufficienza di capire cosa c’è all’origine di tanto orrore? Perché non basta piangere per quei corpi senza vita che galleggiano nel nostro mare. Bisogna cominciare a chiederci perché tanti disperati, a rischio della vita, si ostinano a fuggire dalle loro terre.

La fame? Le guerre? Le malattie?

Certo, la fame. Ma perché la fame se le terre in cui vivono sono ricche? La risposta è semplice: le risorse di quei paesi sono nelle mani di pochi: i ceti privilegiati locali e le multinazionali straniere, sempre in combutta fra loro. Chi detiene il potere scaccia i contadini dalle loro terre e i prodotti che servono ad alimentare la popolazione vengono sostituiti da merci da esportare. Così i poveri, privati della terra e ridotti alla fame, sono costretti a riversarsi nelle squallide periferie urbane, (un concentrato di miseria, malattie e violenze), e i più intraprendenti a emigrare.

Certo, le guerre. I conflitti tra le diverse etnie africane  non sono cosa di oggi. E tuttavia negli ultimi decenni sono diventati una piaga devastante in gran parte del continente. Infatti dopo la fine del colonialismo, a partire dagli anni ‘60, diversi gruppi tribali lottano fra loro per il controllo di vaste zone ricche di minerali, che poi vengono sfruttate dalle multinazionali straniere (e oggi anche dalla Cina).

E infine le malattie. Sempre padre Alex Zanotelli, un tempo missionario in Kenia, ricordava che, quando lasciava  la baraccopoli di Korogocho (Nairobi) per venire in Italia un mese o due, sapeva chi lasciava laggiù, ma non sapeva chi avrebbe trovato al ritorno. L’aids falciava vite umane peggio di una guerra.

Se da noi gli squilibri sociali costringono milioni di italiani ad arrivare a fatica a fine mese (ed è una vergogna, in presenza di una piccola minoranza che continua ad arricchirsi, anche in tempo di covid), da loro, dove le differenze tra chi ha e chi non ha sono abissali, per i senza terra, i senza casa, i senza medicine scappare sembra l’unica via di salvezza.

Una maggiore consapevolezza ci può indurre a fare pressioni sulle nostre istituzioni e sui nostri rappresentanti, in sede locale come a livello nazionale, a prendere provvedimenti, come giustamente chiedono le ONG al nostro governo. Sono gli stati in quanto tali che devono prodigarsi con interventi di salvataggio tempestivi ed efficaci.

Ma l’impegno deve partire anche dal piccolo. Nelle nostre comunità parrocchiali non possiamo limitarci a sentirci orgogliosi per le parole del papa, così sensibile al dramma dei migranti. È necessario testimoniare la nostra fede in modo concreto, come Gesù ci ha insegnato. Anche i ragazzi, fin da piccoli, attraverso la catechesi possono essere aiutati a intraprendere questo cammino di liberazione, per i poveri e gli oppressi in primo luogo, ma anche per tutti noi. Le nostre parrocchie non dovrebbero diventare anch’esse luoghi di coscientizzazione nei confronti degli stessi fedeli adulti, in troppi ancora “distratti”, come se questi orrori non ci interpellassero come cristiani, oltre che come esseri umani?

Diceva la teologa Adriana Zarri che “santi lo si diventa per distrazione”, ma, sempre per distrazione, si può diventare carnefici.

 

Bruno D’Avanzo

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