Koinonia Maggio 2021


Così P.E.Schillebeeckx op risponde

all’interrogativo messo in sordina...

 

MI SEMBRA IMPOSSIBILE RINNOVARE

I GRANDI ORDINI RELIGIOSI

 

Lei si è preoccupato di riflettere e scrivere sopra la vita religiosa e il suo adeguato rinnovamento. Come vede lei attualmente questo rinnovamento?

Qui, tra noi, ci sono più segni di rinnovamento nella vita religiosa che nella vita dei sacerdoti secolari. In Olanda il rinnovamento delle comunità religiose ha un ritmo abbastanza stabile. Ci sono numerose comunità nuove, nuclei di comunità religiose di base, che cercano di rinnovare la vita religiosa. Evidentemente vi sono già alcune case di sperimentazione soppresse perché i loro protagonisti si sono stancati. Ma ci sono comunità in esperimento che sono assai equilibrate nella dimensione teologale mistica, così come nella dimensione di critica alla società.

 

La nuova visuale dell’”escatologia” (che lei promuove nei suoi scritti), la quale fa vivere già nel presente le “promesse” di Dio come fermento che potenzia e rinnova la storia attuale, deve aprire nuove prospettive alla vita religiosa, dato il suo compito essenziale di “segno escatologico” nella chiesa e nel mondo?

Sì, senza dubbio. Una delle dimensioni essenziali della vita religiosa è di essere segno escatologico, ma, direi, non nel senso tradizionale di escatologia, non nel senso proposto da una certa pseudomistica della vita religiosa, come segno di una vita escatologica troppo evasionista perché soprannaturalista. No. Adesso si sta rielaborando la teologia dell’escatologia in due direzioni: nella direzione contemplativa, mistica, della visuale dell’avvenire; e anche nella direzione dell’impegno e dell’influenza nella vita terrena presente. E le nuove esperienze della vita religiosa che vogliono essere autentiche debbono andare avanti in tutte due le direzioni: in quella di rinnovamento della vita di orazione e in quella di un impegno più sincero nella vita sociale e politica.

 

Si è sempre considerata come essenziale nella vita religiosa la “vita comunitaria”. Ma oggi si cerca un maggior realismo ecclesiale e sociale nella vita comunitaria, una presa di contatto più realista con la comunità cristiana e con tutta la comunità umana della quale siamo parte attiva. Crede giusta questa ricerca? Risponde alle esigenze dell’essenza della vita religiosa?

Sì. Perfettamente. Direi che è assolutamente necessario che le comunità religiose cessino di essere quasi piccole chiese all’interno della chiesa, una specie di ghetti, e che arrivino a essere concentrazioni della vita evangelica che siano veramente “segni” (e segni escatologici nel senso già detto) per la comunità cristiana e per la società umana.

 

Sarà preferibile continuare il tentativo di rinnovare in blocco e in massa gli ordini religiosi ora esistenti, o sarà preferibile creare nuovi gruppi, cercare nuove forme di vita religiosa?

Credo che sia impossibile rinnovare i grandi ordini. Non direi che si debba cercare di creare nuovi ordini e congregazioni. Direi piuttosto che certe persone, certi religiosi dei grandi ordini e delle congregazioni esistenti dovrebbero poter sperimentare la propria vita in circostanze nuove. Ma rinnovare i grandi ordini “in quanto tali” mi sembra impossibile.

 

Allora la soluzione migliore per rinnovare la vita religiosa sarà creare all’interno` delle congregazioni attuali gruppi che tentino di creare nuove forme di vita religiosa, invece di continuare il tentativo di rinnovare tutta l’istituzione con ritmo uniforme.

Se con questo s’intendesse una divisione tra comunità che si chiamassero ortodosse o osservanti “contro” piccole comunità o gruppi in esperienza, visti come “sospetti” di eresia quasi fossero formati da religiosi meno osservanti, sono di parere del tutto contrario. Si dovrebbe evitare assolutamente questo rischio. Invece mi sembra una soluzione molto promettente che un ordine o una congregazione permetta nel suo seno l’esistenza di comunità di esperienza e di ricerca.

 

Questo esige molta comprensione reciproca da parte di tutti e una notevole libertà che richiederebbe dai superiori la larghezza di vedute di non voler controllare troppo.

È evidente. Ciò richiede che i superiori i quali permettono nella loro giurisdizione queste comunità nuove in esperienza non stiano con gli occhi puntati sopra di esse, ma lascino la libertà d’azione. Debbono procurare che facciano l’esperienza persone equilibrate, e debbono lasciarle sperimentare e ricercare sul serio. A volte succede che coloro che formano questi gruppi di esperienza non siano abbastanza equilibrati, e allora si ha il fallimento.

 

In: Teofilo Cabestrero, La fede nel pluralismo della cultura. Conversazioni con 16 teologi, Cittadella Editrice 1979, pp.261-63

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