Koinonia Maggio 2021


LA FEDE DI ABRAMO (II)

L’araldo che apre la strada a Dio

 

La fede in Israele non ha che fare con la conoscenza di un mistero, con la salita mistica verso le zone dell’invisibile, ma con un fare qualcosa, con un decidersi per, un avviarsi là nella fiducia che. L’uomo di fede è fedele a Dio perché lo crede degno di fiducia: se Dio gli ordina una cosa, anche se assurda, egli la crede, perché è un Dio che vuole il suo bene, che mantiene la parola data, che mantiene le promesse fatte. Se gli dice: tu intanto parti poi ti indicherò dove andare, se gli dice che farà di lui un grande popolo e che in lui saranno benedette tutte le famiglie della terra, egli ci crede, senza indugio.

La fede crede non solo ciò che non si vede ma anche ciò che non si è mai visto, ciò che ragionevolmente non si potrebbe né dovrebbe credere. Abramo e sua moglie sono già vecchi e dovrebbero attendere un figlio che nascerà da loro? Roba da ridere. Eppure Sara partorirà un figlio. Ma quando, dopo un po’ che gioivano nel vederlo crescere, Dio sopraggiunge di nuovo ordinando ad Abramo di offrirglielo in sacrificio su un monte, ci sarà invece da piangere!

Eppure, anche qui, senza battere ciglio Abramo sella l’asino di buon mattino, prende il figlio, la legna e il coltello e va. Perché? Perché sente che Dio potrebbe persino farlo “risorgere dai morti” (Eb 11,19) dopo morto. La fede è una lotta con l’impossibile, è credere che Dio è capace di fare le cose impossibili. Non è umanamente possibile, è assurdo, eppure a “Dio tutto è possibile (Mt 19,26): ecco cosa pensa l’uomo di fede. Abramo “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” dice Paolo (Rm 4,18). Mentre la speranza degli uomini spera in qualcosa di ragionevole, di qualcosa cioè che si ritiene possibile perché conforme all’esperienza comune, quella di Abramo è invece assurda perché contraria all’esperienza comune: solo un pazzo potrebbe continuare a credere in quelle cose lì. Eppure egli continua a credere e sperare.

“L’atto religioso di Abramo inaugura una nuova dimensione religiosa – dice Mircea Eliade -: Dio si rivela come personale”, come al di là di tutto ciò che è generale, ordinato e prevedibile, per Dio, “tutto è possibile”. Con Abramo noi abbiamo “una nuova posizione religiosa dell’uomo nel cosmo” (Il mito dell’eterno ritorno). Le religiosità pagane antiche avevano come riferimento la circolarità della natura e l’ordine cosmico, nulla poteva uscire dal cerchio dell’eterno ripetersi, nulla poteva mettere in discussione l’ordine del cosmo; il futuro era scritto nelle stelle perché altro non era che la pedissequa ripetizione del passato, tutto nasceva per morire e moriva per rinascere, tutto ciò che era stato si sarebbe ripetuto nel futuro: niente di nuovo sotto il sole. Nel cerchio pagano si viveva così chiusi e protetti, sicuri nel procedere delle cose. Viene da pensare se non sia proprio da un gran bisogno di sicurezza che ci viene questa gran voglia di paganesimo che si respira in giro nelle nostre società sazie quanto insicure di oggi, spaesate dalla velocità dei cambiamenti, dall’inedito che ogni volta ci si para davanti.

Ecco, quel tipo di sicurezza e ordine con Abramo va letteralmente in frantumi. Abramo non è Ulisse che ha come meta il luogo che già conosce benissimo. “Al mito di Ulisse che ritorna ad Itaca”, dice Lévinas, andrebbe opposta “la storia di Abramo che lascia per sempre la patria per una terra ancora sconosciuta e che proibisce al suo servo di ricondurre persino suo figlio a quel punto di partenza” (La traccia dell’altro). Il percorso di Ulisse è semplicissimo se lo paragoniamo a quello di Abramo, egli sa che la terra alla quale è diretto esiste, ne conosce le strade, c’è Penelope ad aspettarlo. Abramo invece conosce bene soltanto ciò che lascia non ciò che lo attende: egli in quella terra non c’è mai stato e mai nessuno tra gli uomini gli ha detto che esiste. La terra promessa è novità assoluta che potrà raggiungere attraverso un cammino in cui ogni volta l’imprevedibile potrebbe sorprenderlo, un imprevedibile che esce dalle mani, dalla potenza e della bontà di Dio, non dalla propria programmazione. Il cammino di quell’Arameo non è l’odissea dell’eroe, che incontra eventi dettati dal fato, da una potenza che tiene in mano persino gli dèi. Di qua nessun fato può tenere in mano il futuro, non sono nemmeno natura e ordine cosmico, e questo perché tutto è nelle mani di Dio che sta al di sopra di tutto, che ha creato tutto e può compiere cose imprevedibili, impossibili agli uomini. Non c’è nella storia di Abramo un eterno ritorno ma un tempo che scorre lungo la linea della storia, un principio che si dirige verso una fine e un fine, verso il compimento di quanto Dio ha promesso.

Dio si presenta ad Abramo come “l’Onnipotente” (Gen 17,1), ma in che senso? Il termine ebraico El-Shaddai ha un significato incerto e gli studiosi propenderebbero piuttosto per “Dio della montagna” o qualcosa del genere. Bisognerebbe infatti abbandonare le categorie filosofiche a cui siamo abituati parlando della potenza del Dio biblico; ne ha parlato a fondo Hans Jonas su quello straordinario libretto che ha per titolo Il concetto di Dio dopo Auschwitz.

Ma anche Neher ne ha parlato: “Dio non è l’Onnipotente, come suggerisce una terminologia superficiale e volgare, ma l’Essere che accetta di limitare il suo Potere… Shadday, che viene tradotto, con leggerezza, con Onnipotente, è invece Dio che dice al suo Potere: fin qui, non oltre, poiché al di là c’è il campo di un altro, il campo dell’uomo. Esiste perciò in ogni impresa divina una specie di Insicurezza radicale: Dio non può prevedere fino a che punto arrivino i suoi atti, poiché un frammento del progetto divino è tra le mani dell’uomo”. Per questo tante volte “Dio non sa ‘dove sbattere la testa, dove metter mano’: è costretto ad acconsentire a certe cose che non vuole affatto. Non può desiderarne altre che invece desidera” (Il pozzo dell’esilio).

Che cosa dice infatti questo potentissimo Dio ad Abramo, di seguirlo? No, gli dice semplicemente: “Cammina davanti a me” (Gen 17,1), dice: vai tu avanti in questa strada impervia e incerta e io ti seguirò, stando però ben attento a quello che ti accadrà. E mi metterò in ascolto delle tue decisioni, e ci saranno persino tratti di strada in cui dovrai essere proprio tu a guidarmi. Fino ad ora ho fatto camminare gli uomini dietro di me ed è andata buca, ora provo a invertire la situazione: sii tu a guidarmi.

E anche questa è novità grande e purissima. Abramo non è Noè. Il buon Noè eseguiva ordini senza aprire bocca, Abramo invece vuol dire la sua, osa persino venire a contesa con Dio, chiede ragioni. Noè, dice ancora Neher: “come l’invalido ha bisogno del bastone di Dio per sostenersi. Abramo invece cammina ritto, da solo, davanti a Dio”. Non c’è qui un gregge che segue e si lascia condurre, qui c’è un uomo che si mette a guida, un apripista, uno che sa farsi strada tra i rovi: “Abramo e, dopo di lui, gli uomini dell’Esodo – dice ancora Neher – sono araldi che camminano davanti al Sovrano e gli aprono la strada”.

Dio dunque lo lascia andare avanti. Ma può anche capitare che l’uomo si avvantaggi troppo, che cammini un po’ troppo speditamente e allora, quando si volta indietro scopre che Dio non c’è più a seguirlo, è scomparso. E a quel punto l’uomo si chiede: Ma dov’è finito Dio? Eppure mi sembrava questa la strada giusta. Ma allora perché mi ha mandato avanti se lui conosce meglio di me le cose?

E Dio intanto ha preso un’altra strada, arrivando a un altrove più speditamente di quanto si potesse immaginare, e aspetta da sopra quell’“orizzonte provvisorio che l’uomo non ha ancora saputo individuare con lo sguardo”. E quando lo raggiunge è come se Dio gli dicesse: Vedi? Ti sembrava di capire tutto, ti sei fatto prendere un po’ troppo la mano quasi potessi fare tutto da te, e invece ecco che scopri qualcosa che nemmeno immaginavi, qualcosa che solo io posso fare e ti posso regalare. Il cammino è verso il futuro e se Dio scompare alle spalle guai a tornare indietro o fermarsi, perché Dio “è già in attesa, davanti, laggiù” (L’esilio della parola), e quando si arriva lì dov’egli è, bisogna forse ricominciare da capo in un cammino che sembra non avere termine, un cammino in cui tuttavia tocca ancora a noi stare davanti, perché soltanto vedendoci camminare avanti a lui Dio può sapere cosa farà in futuro, un futuro che riguarderà tutti, Dio, l’umanità e l’intera creazione. Quello non è infatti il cammino che Dio fa con un uomo e basta, l’umanità che sta dall’altra parte viene continuamente tenuta d’occhio: la benedizione infatti sarà per “tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3), fino all’ultimo giorno. Quello di Abramo è un cammino con continue partenze verso mete sempre nuove e inaspettate, perché alla fine è ogni volta Dio a indicare la direzione. Come la manna che scendeva giorno per giorno nelle sabbie del deserto, tutto viene ogni volta da Lui, ma è come se ogni volta volesse prima di tutto vedere lo spirito d’iniziativa, il bisogno e la fede dell’uomo che gli cammina davanti.

La fede è anche una forza di resistenza di fronte all’interminabile procedere di un tempo che sembra non avere fine, di fronte a una terra che sembra allontanarsi anziché avvicinarsi. Fede è anche lotta contro lo scoraggiamento, contro l’istinto che ti porterebbe a tornare indietro: com’erano belle le dimore di Ur e di Carran, com’erano buone le cipolle d’Egitto! E però guai a tornare indietro, solo il futuro ci farà finalmente incontrare ciò che è stato promesso. Ma nel futuro che si allontana, lo sappiamo, la fede potrebbe anche scomparire dalla faccia della terra; lo stesso Gesù temeva questo esito: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8) .

In che consiste allora questo continuo ricominciare il cammino, questo continuo rimettersi a essere “arameo errante”? In una “volontà infaticabile, incorruttibile di diminuire, rinunciare, abbassarsi, morire – dice Karl Barth – un sempre rinnovato partire dalla nuda, neutrale umanità nella sua totale povertà e problematicità. Dio viene trovato direttamente muovendo dal mondo peccaminoso e sofferente, non da un’altura religiosa che sovrasta il mondo … Gli autentici figli di Abramo sono quelli che sempre di nuovo Dio fa sorgere dalle pietre. Dove  ci si dimentica questo, i primi diventano ultimi. E soltanto coloro che sono sempre nuovamente gli ultimi, saranno i primi” (L’Epistola ai Romani).

Ricominciare il cammino alla maniera di Abramo è sempre ricominciare dall’ultimo posto, da mendicanti, non da “patriarca” o da “teocrata”, ma da ultimo, dalla condizione in cui non si è in grado di fare un solo passo se non c’è la parola di Dio che ci dà indicazioni. Fede è mettersi nella condizione di poter camminare soltanto con l’aiuto di Dio, ma quando si parte, ci si accorge pure di quanto bisogno abbia Dio di quel nostro ascoltarlo e avviarci. Certo, è un cammino altalenante e pieno di contraccolpi, non lineare, il domani è sempre da scoprire, ma da scoprire insieme, nell’ascolto dei bisogni l’uno dell’altro: Dio deve sempre ascoltare l’uomo e l’uomo deve sempre ascoltare Dio. Se la comunicazione si interrompe si naviga a vista e il domani potrebbe riservare sorprese amare.

Se l’umanità punta i piedi e si ribella ecco i velenosi serpenti che mordono e uccidono, ma Dio, anziché starsene con mani conserte e aria compiaciuta, scenderà fino a farsi Egli stesso un “maledetto” (Gal 3,13) innalzato sulla croce per attirare tutti a sé salvando l’umanità perduta.

Dalla croce in poi chi è morso dal serpente è a lui che deve guardare, come un giorno, nel deserto, si guardava il “serpente di bronzo” appeso sull’asta (Nm 21,4-9; Gv 3,14).

Se si è in grado di camminare umilmente nelle vie della fede, Dio sta dietro ci segue, perché è quando si è deboli che egli è forte. Se invece si alza la cresta e ci si sente forti, egli diventa debole e solo, e sarà allora costretto ad abbandonarci, a percorre solitario un’altra via aspettandoci magari laggiù, negli abissi, come i bambini profughi inghiottiti dal mare vicino a Lampedusa, o lassù sul Gòlgota, dunque dove meno ce lo saremmo aspettati e mai ridotto in quel modo: morto crocifisso, come il peggiore dei criminali.

 

Daniele Garota

(2. continua)

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