Koinonia Maggio 2021


DA VITTIME A OPPRESSORI

 

È un dato di fatto che nel corso dei secoli mille volte singoli uomini o interi popoli oppressi, quando ne hanno avuto l’opportunità, in particolari circostanze si sono trasformati in oppressori.

Nell’articolo che segue evidenziamo solo alcuni esempi di come movimenti portatori di speranza in un mondo migliore abbiano tradito i loro principi ispiratori.

 La Cristianità

 Quando pensiamo ai cristiani dei primi secoli una delle prime cose che ci viene in mente è il loro martirio. Non furono perseguitati perché semplici adoratori di un dio diverso da quelli della cultura classica (Giove, Minerva, Marte, Diana… tanto per intenderci), perché sotto questo aspetto i romani erano più che tolleranti, ma in quanto testimoni di un Vangelo che si poneva in netto contrasto rispetto alla società del tempo fondata sulla schiavitù e sull’oppressione.

Quanti soldati romani convertiti al cristianesimo, obiettori di coscienza già duemila anni fa, furono condannati a morte a causa del loro rifiuto di fare violenza!

E che dire poi della insensatezza di quei cristiani che liberavano i propri schiavi?

“Sono pazzi”, avranno pensato i bravi cittadini romani osservanti delle leggi, tutti convinti che nessun uomo, senza essere obbligato dalla sua condizione di schiavo, avrebbe accettato di coltivare i campi, costruire templi, o palazzi, o strade senza percepire un salario. Dunque: niente schiavi, niente civiltà (1).

C’è voluto del tempo, forse un paio di secoli, ma poi tutto è rientrato nell’ordine di sempre, con qualche cambiamento, però. Non c’erano più schiavi, nel mondo diventato “cristiano”, ma servi della gleba. Certo, i prigionieri di guerra di altre fedi (i musulmani, ad esempio) rimanevano  schiavi, a meno che non venissero riscattati, ma erano sempre una piccola minoranza rispetto ai servi della gleba, sui quali si reggeva il sistema feudale (2).

Strana storia, quella dello schiavismo, nel mondo occidentale. Quasi estinto dopo l’epoca classica, per tutto il Medioevo resta un fenomeno marginale, mentre torna in auge a seguito della conquista dell’America.

In quell’immenso continente i discendenti dei conquistadores e i bianchi immigrati nel corso di tre secoli rimasero a lungo una piccola minoranza rispetto ai popoli nativi, poco disposti a sottomettersi alle dure condizioni di lavoro imposte dai colonizzatori. Di qui la “necessità” di importare schiavi dall’Africa, obbligandoli a faticare nelle nuove piantagioni di caffè, cacao, zucchero, cotone.

Razze pagane, razze inferiori, razze di schiavi. La libertà? Non certo in questa vita Ma se fossero rimasti sottomessi ai loro padroni, come esigevano le autorità laiche e ecclesiastiche, una volta passati a miglior vita avrebbero meritato la vita eterna: valeva ben la pena sopportare patimenti nell’aldiquà, se il premio sarebbe stato, e per sempre, il paradiso nell’aldilà!

Legittimati dallo stato e benedetti dalla Chiesa istituzionale, i più strenui sostenitori dello schiavismo furono i proprietari delle piantagioni e delle miniere, per i quali la manodopera servile  era considerata necessaria per incrementare i profitti.

Tutti “bravi cristiani” i padroni bianchi, ma al tempo stesso aguzzini dei loro schiavi: il Dio di Gesù al servizio del dio denaro.

 Colonizzatori e colonizzati

 È interessante riflettere sul comportamento dei primi colonizzatori europei, sia al Nord che al Sud del continente americano. Erano soprattutto minoranze religiose perseguitate; o semplici contadini oppressi dai loro padroni e afflitti dalla miseria che speravano di ottenere un pezzo di terra tutto loro, e quindi una vita migliore; oppure carcerati o prostitute cui veniva promessa la libertà, a patto che andassero a colonizzare terre lontane, ostili, in parte ancora inesplorate; o ancora nobili decaduti e senza feudo che aspiravano a un futuro di glorie e ricchezze.

Ironia della sorte. Questi reietti nel breve giro di tempo si trasformarono in oppressori dei popoli nativi e su questo costruirono la propria fortuna (3).

In questo processo le responsabilità delle Chiese cristiane furono enormi. I primi conquistatori “cattolici” ebbero sempre accanto a sé religiosi che benedicevano le loro conquiste. E quando alcuni di questi, in nome del Vangelo, condannavano ogni tipo di violenza e lo stesso sistema schiavista persero l’appoggio della Chiesa e vennero espulsi, se non peggio.

Analogo fu il ruolo dei pastori protestanti che accompagnarono le conquiste degli inglesi nel Nord America. E pensare che proprio coloro che furono responsabili di quello che si può considerare il più grande genocidio della storia furono in gran parte immigrati europei emarginati nella loro patria.

Possiamo dire che il razzismo, ancora tristemente presente in ogni parte dell’America, e in modo particolare negli Stati Uniti, è un retaggio di questa pagina nera della Storia.

 Gli Ebrei

Un capitolo a parte riguardo a questa inversione dei ruoli (da vittime a oppressori, appunto) riguarda il popolo ebraico. La diaspora degli ebrei è antica quanto la loro storia. Limitandoci ad analizzare la loro presenza al solo continente europeo, si può certo affermare che per secoli subirono limitazioni della propria libertà e spesso vere e proprie persecuzioni. Con l’avvento degli stati liberali che riconoscevano l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, gli ebrei poterono finalmente vivere in libertà, ma l’antisemitismo era difficile da estirpare. Di qui l’idea di creare uno stato proprio, che venne individuato nella Palestina, la loro patria d’origine; un territorio, però, abitato ormai in gran parte da popoli arabi.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale un’enorme quantità di ebrei, sfuggiti alla Shoah, si riversò in Palestina, ponendo così le basi della nascita dello stato di Israele, con la conseguente espulsione delle popolazioni arabe. Da paese fondato per opera di un popolo perseguitato da secoli e sottoposto al genocidio da parte dei nazisti, Israele si trasforma in una piccola, ma agguerrita potenza militare, causa di dolore e oppressione per i palestinesi, in gran parte musulmani, salvo piccole minoranze cristiane. A tutt’oggi lo stato di Israele si è sempre opposto, in barba alle molteplici risoluzioni dell’ONU, alla nascita di un vero stato palestinese.

Bisogna poi tristemente riconoscere che la maggioranza degli ebrei, in tutto il mondo, si identifica a tal punto nella politica di Israele da essere disposta ad approvare, o almeno accettare senza batter ciglio, ogni scelta politica da questo compiuta, anche se improntata alla negazione dei diritti dei popoli: ogni critica avanzata a riguardo viene tacciata di antisemitismo.

 Il Comunismo

 L’idea di una società ove sia abolita la proprietà privata in nome dell’uguaglianza fra gli uomini ha attraversato tutta la storia umana. Molti  hanno cercato di dare corpo a questa speranza e quasi due secoli fa Carlo Marx ha creduto di dare una risposta definiva all’interrogativo di come creare una società senza classi.

In un mondo dove le classi sfruttate erano per lo più incapaci anche solo di pensare di poter  cambiare la loro condizione, il movimento marxista ebbe il merito di infondere nei lavoratori sfruttati l’idea che anch’essi avevano dei diritti e che tutti assieme, in un cammino solidale, anche a costo di lotte e sacrifici, avrebbero potuto realizzare un mondo migliore, più giusto.

Altruismo, solidarietà, internazionalismo, educazione popolare furono alla base dei movimenti socialisti, il cui scopo non era solo quello di migliorare le condizioni materiali dei lavoratori, ma anche quello di elevarli culturalmente. Due esigenze che dovevano andare di pari passo.

La risposta dei ceti dominanti è stata sempre quella di ergere barriere a difesa dei propri privilegi, e in caso di conflitto estremo anche con la violenza. Non c’è paese del mondo che non abbia avuto, spesso in gran numero, socialisti e comunisti martiri per la giustizia.

Eppure le esperienze più significative del “comunismo reale”, quelle dell’Unione Sovietica in primo luogo, delle quali è impossibile negare i successi nel campo scientifico, culturale e sanitario, furono disastrose nel campo dei diritti politici, con la negazione della libertà di pensiero (ivi compresa quella religiosa) e con la repressione violenta di qualsiasi forma di dissenso.

La repressione dello stalinismo colpì molti milioni di oppositori, tutti definiti nemici del proletariato. Oltre agli innumerevoli condannati a morte, una inimmaginabile quantità di prigionieri terminò la propria esistenza nei gulag della Siberia. Quanto orrore, nel nome della giustizia e della fratellanza!

Il Mondo Attuale               

Il neoliberismo, che i suoi sostenitori hanno ancora  il coraggio di presentare come l’unica soluzione possibile per il futuro dell’umanità nonostante le sue realizzazioni contraddicano in modo assoluto le sue promesse (4) ha dimostrato che una libertà che trascura le esigenze della giustizia sociale estesa a tutti  non è libertà, ma una nuova forma di oppressione. Anzi, tutt’altro che nuova, dato che si pone in continuità col liberismo ottocentesco e novecentesco, causa di squilibri sociali intollerabili, sfruttamento dell’ambiente senza limiti, guerre interminabili: in una parola quello che papa Francesco ha chiamato la “ Terza Guerra Mondiale a pezzi”.

Libertà e giustizia sono due valori che vanno legati in modo indissolubile se vogliamo uscire dal dilemma: assolutismo di stato, quale è stato il comunismo sovietico e dittatura del denaro, nella quale sta oggi vivendo l’umanità tutta.

In un passato non vicinissimo, ma non del tutto remoto al punto da essere completamente dimenticato, alcuni tentativi, certamente limitati e imperfetti, sono stati fatti in questa direzione. Mi riferisco alle esperienze riformatrici di tanta parte della socialdemocrazia europea (prima che negli ultimi decenni venisse travolta dal neoliberismo) e del New Deal del presidente americano Roosevelt tra le due guerre mondiali (5).

Ai nostri giorni la figura di Papa Francesco rappresenta, più di ogni altra, il tentativo di ridare speranza ai poveri e agli oppressi del mondo. Il suo costante richiamo ai valori del Vangelo, fuori da ogni pretesa confessionale, è un grido di libertà e giustizia, accolto dai cristiani come speranza nel Regno di Dio, un Regno di giustizia per tutti, perché Dio ama tutti gli uomini e le donne della terra, sia che credano o che non credano in Lui.                                                                  

C’è chi afferma che è insita in tutti noi la volontà di dominio, a scapito degli altri. Noi invece crediamo che non sarà sempre così, che un mondo “altro” sia possibile.

 Bruno D’Avanzo


 

 

NOTE

 

(1) Che il sistema schiavistico generasse il progresso era una convinzione radicata fra i latifondisti brasiliani finché  durò il colonialismo, e anche oltre. Emblematico era il detto: SENZA ANGOLA NON C’È BRASILE.

(2) Che durante il Medioevo solo i popoli pagani, o comunque non cristiani,  potessero essere fatti schiavi la dice lunga sulle responsabilità della Chiesa dell’epoca riguardo all’infamia dello schiavismo.

(3) E pensare che i primi coloni inglesi sbarcati sulle coste dell’America del Nord sarebbero sicuramente morti di fame e di freddo se non fossero stati salvati da una tribù indiana che venne in loro soccorso.

(4) Il neoliberismo dei nostri giorni sostiene che la crescita dell’economia, che vede la ricchezza di pochi aumentare a dismisura, porti automaticamente un maggiore benessere anche per i ceti meno privilegiati, quando invece aumenta le disuguaglianze e provoca pertanto sempre nuove tensioni sociali.

(5) Fanno eccezione alcune socialdemocrazie del Nord Europa in cui è rimasto un robusto stato sociale e alcune fragili democrazie progressiste latinoamericane, sempre in pericolo, però, di venire travolte da ondate reazionarie.

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