Koinonia Marzo-Aprile 2021


Un libro di Jacques Noyer

 

“IL GUSTO DEL VANGELO”

Alcune domande che la mia fede fa alla mia Chiesa

(Temps Présent Éditions, 2020)

 

L’autore di questo testo, non ancora tradotto in italiano, è morto meno di un anno fa, a 93 anni. Adolescente con Pio XII, ha potuto conoscere lo slancio nuovo che Francesco ha dato alla Chiesa. Insegnante di filosofia, cappellano delle guide scout, parroco e infine vescovo, Noyer è stato un testimone privilegiato delle chiusure della Chiesa prima del Concilio, delle aperture, a volte eccessive, che ha vissuto con entusiasmo durante e subito dopo il Concilio e, infine, delle involuzioni e delle resistenze allo spirito conciliare che lo hanno portato a dire: “Dobbiamo confessare che abbiamo perso... I papi che sono venuti dopo il Concilio... lo hanno incensato per seppellirlo meglio. E così mi ritrovo ogni giorno sulla strada di Emmaus”. Avevamo creduto... avevamo sperato...

Il primo rimprovero che l’autore fa alla Chiesa della sua infanzia (da cui anche dopo il Concilio egli non si è mai liberato del tutto, almeno psicologicamente) è quello di “aver osato rispondere alla domanda: Chi è Dio?... Avrebbe potuto dirmi che è Colui che ha parlato a Mosè, Colui che Gesù chiamava Abbà,  avrebbe potuto cominciare dal desiderio, dal bisogno di Dio che è nell’uomo. No, essa rispondeva con sicumera al bambino che ero in termini metafisici e astratti. Mi parlava di Dio come di un triangolo rettangolo...”. So che dopo il Concilio non è più così (questo è il leitmotiv di tutto il libro), ma “portiamo sempre sulle spalle questa pesante eredità di una dottrina intoccabile... possiamo non parlarne e fare come se avessimo dimenticato, ma è sempre là e nessuno osa denunciarla come una dottrina obsoleta.... oggi lo Spirito Santo stesso è paralizzato da quelle tonnellate di pensieri eterni che zavorrano la nostra Chiesa”.

In seno al giudaismo, la Chiesa nasce come un nuovo mondo, una nuova alleanza che modifica profondamente le relazioni uomo-Dio e uomo-uomo, ma “è evidente che, dopo aver preso le distanze dal tempio, dalla Legge, dalla circoncisione, essa reinventa nuovi templi, nuove leggi, nuove circoncisioni”. All’interno delle basiliche romane, su cui saranno costruiti i nuovi templi, al tabernacolo verrà dato “lo statuto del Santo dei Santi” il cui velo si era inutilmente strappato al momento della morte di Gesù. Noyer modera se stesso nella critica, a volte spietata, affermando: “Non si tratta di giudicare i cristiani del passato; non erano migliori, né peggiori di noi. Spesso hanno solo fatto quello che credevano più utile per il Vangelo, rispondendo alle sfide che la storia poneva loro. Noi dobbiamo rispondere alle sfide della nostra epoca. Rivendico per la Chiesa il diritto all’iniziativa”.

Continuano le domande che, in nome della sua fede, Noyer fa alla sua Chiesa.

Perché la cristianità ha dato al battesimo un aspetto diverso, anzi opposto, a quello che aveva nei primi tempi? Quando la Chiesa si organizza, diventando una ‘nazione’ fra le altre, con le sue leggi, i suoi diritti e doveri, il battesimo non segnerà più il passaggio verso un nuovo mondo, “offerto a tutti gli uomini come una grazia universale”, ma segnerà soltanto l’entrata in una nuova società. Anche qui il Vaticano II ha operato dei grandi cambiamenti, ma non è riuscito a far comprendere il vero significato di questo sacramento, “la rinuncia a  tutti i sistemi di valori che ogni società impone”. La Chiesa dovrebbe accompagnare meglio il battezzato nelle tappe successive della sua vita cristiana. Dopo il Concilio non ci si salva più solo col battesimo e “gli uomini di buona volontà hanno trovato posto nel discorso della Chiesa... ma nessuno ha creduto di dover ripensare il dogma del peccato originale”. Il ‘Monitum’ al gesuita Teilhard de Chardin non è stato ancora cancellato.

Come può l’opinione pubblica di uno stato moderno accettare che un’istituzione non democratica impedisca il libero esercizio della democrazia? Oggi è di grande attualità cercare di stabilire rapporti pacifici tra la Chiesa e lo Stato. La Chiesa ha cercato nel concetto di ‘morale naturale’ una risposta appropriata, soprattutto per quel che riguarda la famiglia, senza apparentemente riflettere al fatto che”quel che si dice ‘naturale’ è spesso frutto di un’evoluzione culturale”. È problematico parlare di ‘morale cristiana’. Certo bisogna rifiutare ogni legge che limita le esigenze della fraternità, ma la Chiesa non può dettare una sua  legislatura ‘morale’, “come se delle leggi potessero sostituire l’amore... Per difendere l’uomo, ha troppo spesso disprezzato gli uomini, come fanno tutte le ideologie”. La Chiesa non dovrebbe mai dimenticare di essere testimone di “un Dio che non giudica” e che la sua missione dovrebbe essere “accogliere quelli che piangono per non aver amato come avrebbero voluto e trovare con loro la via della riconciliazione”. Anche l’Eucarestia risente di questa logica. “L’eucarestia, corpo e sangue di Cristo dato per i nostri peccati diventa pane degli angeli, proibito ai peccatori... Una nuova mentalità di scrupolo e di proibizione si sviluppa come un nuovo giudaismo”. Quando il Vaticano II è voluto tornare alla confessione comunitaria delle origini, ha suscitato il panico del lassismo e si è tornati alla confessione individuale, anche se oggi la confessione è più che altro un accompagnamento spirituale.

Oggi la Chiesa comincia a chiedere perdono per il peccato di pedofilia. “È un primo passo verso una Chiesa di peccatori?” si chiede Noyer. “Si può sperare che un giorno la Chiesa riconosca ufficialmente di aver sfigurato il Vangelo con la manipolazione delle coscienze?”. A questo proposito, Noyer riflette sull’obbligo del celibato, facendo un’osservazione originale e molto giusta. Dopo aver sottolineato che il celibato in sé non porta certo alla pedofilia, osserva che, mentre il matrimonio costringe l’uomo a crescere e ad assumersi delle responsabilità, il prete può trovare nello stato clericale “un nuovo bozzolo, confortevole quanto quello familiare”, tanto più che, almeno prima, col prete c’era sempre la madre o la sorella nubile che lo accudivano.  Il prete resta così un “grande bravo bambino” la cui sessualità, impaurita di fronte agli adulti, troverà in altri bambini un terreno più agevole di espressione.

E la questione del sacerdozio femminile? Secondo Noyer, l’accesso delle donne al sacerdozio potrebbe portare soltanto ad accentuare il clericalismo: “Ci vorrebbero ben altre decisioni perché la Chiesa perda il suo carattere maschilista e cambi le sue logiche!”.

Per quanto riguarda la messa, Noyer si chiede: “Una tavola aperta a tutti, o riservata ai santi?”. “Gesù non aveva voluto piantare la sua tenda sulla vetta del Tabor... per tornare in mezzo alle folle di Cafarnao, ma appena ebbe girato la schiena, gli apostoli vi sono risaliti e le folle sono state abbandonate”.  Lungo tutta la storia della Chiesa domina la lettura sacrificale della Croce: la Messa è il Sacrificio perfetto. Come se non bastassero i profeti dell’Antico Testamento, ci si dimentica che Paolo, che pure nella lettera agli Ebrei aveva dato questa interpretazione della morte di Cristo, aggiunge anche che Egli era sacerdote nell’ordine di Melchisedec il cui Dio era il Dio creatore di tutti gli uomini. “Questo riferimento trasforma l’dea di sacrificio: non più una privazione umana per la maggior gloria di Dio, ma un dono agli uomini fatto in nome di Dio”.

Perché i laici hanno tanta difficoltà a prendere la p/Parola? L’uso della s/Scrittura per fissare la Buona Novella è stato senz’altro un buon mezzo per evitare che, allontanandosi dalla Sorgente, l’autenticità dell’evento restasse in balia della fantasia dei credenti. Ma inevitabilmente si stabilisce anche un controllo e una confisca da parte dei chierici sui testi, a cui essi soli hanno accesso. Questa situazione, che da non molto è cambiata, secondo l’autore, è certamente all’origine del mutismo del popolo che dura ancora oggi. Anche dopo il Concilio, “i laici abituati da secoli a obbedire, non volevano saperne di diventare di colpo ‘il Popolo di Dio’”.

Infine Jacques Noyer si sofferma a lungo sulla figura del vescovo al quale il Concilio aveva dato grande importanza. “I vescovi sono stati prefetti imperiali durante l’impero, dei nobili al tempo della monarchia, oggi sono dei direttori d’impresa”. Durante il Concilio, nei vescovi “il lavoro teologico e le audacie pastorali coincidevano con una conversione spirituale a volte spettacolare”. Ma in seguito, per le difficoltà incontrate nel far applicare le intuizioni conciliari, “con la prudenza di Giovanni Paolo II e le inquietudini di Benedetto XVI, essi tornano al conforto della tradizione e lentamente la dinamica del Concilio è messa in ombra”.

Dopo aver conosciuto il papato di Francesco, questo giovane ‘nonagenario’, riacquista la speranza e conclude: ”Avevamo avuto l’ingenuità di pensare che dovevano essere i chierici a risvegliare il popolo di Dio. No, è il grido degli uomini che risveglierà i chierici! La mia fede in Cristo ritrova così nuovo slancio. Abbiamo perso una battaglia, ma non la guerra. La lotta continua”.

 

Donatella Coppi

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