Koinonia Gennaio 2021


OMELIA DI MONS. PIERRE CLAVERIE A PROUILLE

 23 giugno 1996 - un mese prima di essere ucciso

 

Letture: Ger 20, 10-13; Rm 5, 12-15; Sal 68/69, 8-10; 14,17, 33-34

 

Fratelli e sorelle, amici miei, sorelle in San Domenico, fratelli in San Domenico, scouts, guide, domenicani, domenicane, non domenicani, non domenicane... tutta la famiglia di Prouille...

 

1209. Comincia la crociata decretata da papa Innocenzo III contro i catari. I baroni del Nord prendono Béziers e Carcassonne: saccheggiano, massacrano cattolici e catari. I preti hanno provato a calmare i crociati affamati più di rapine che della difesa del Regno di Dio. Invano!

Domenico è a Prouille, qui... Ha già creato il suo primo istituto di catare pentite: un luogo di preghiera unita alla comunità dei primi fratelli che sono già in predicazione. Prouille è là, in mezzo alla guerra. Domenico è già stato gravemente minacciato sulla strada (che ho fatto ieri... in macchina) fra Prouille e Fanjeaux, cittadella dei catari: “Non sono degno della gloria del martirio”, dice Domenico, “ Non ho ancora meritato questa morte”, dice a quelli che vogliono ucciderlo. E Giordano di Sassonia, che lo racconta, continua: “Finirono per abituarsi alla sua presenza sorridente e rinunciarono a ucciderlo”.

 

Fratelli e sorelle, l’Ordine domenicano è nato nel corso di una guerra, nel cuore delle divisioni (l’eresia catara), in un luogo di frattura (fra il Nord e il Sud della Francia) e durante una crociata. Domenico ha l’intuizione della sua fondazione e riceve la chiamata di Dio in un mondo straziato. Quel mondo d’altronde sta mutando profondamente: l’Europa sta passando dal feudalesimo ai comuni, dalle campagne alle città. La Chiesa, che aveva ricalcato le sue istituzioni sull’impero, poi sulla società feudale, è scossa anch’essa da movimenti di rinnovamento evangelico (semplicità, povertà, fraternità...). Il mondo mussulmano incalza: accerchia l’Europa da sud, dall’oriente all’Andalusia, e la pressione religiosa, politica, culturale, intellettuale che esercita sull’Europa è fortissima. 1209. Le crociate in Terra Santa, la Reconquista in Spagna stanno provando ad allentare la morsa. Contrariamente all’immagine che abbiamo di un Medio-Evo come periodo di stagnazione, di secoli oscuri, succedono decisamente molte cose in quei secoli!

 

E in quel contesto, a conti fatti abbastanza attuale, Domenico è innanzitutto un uomo di misericordia e di compassione. Misericordioso, egli è commosso dalle disgrazie di quei tempi: guerra e miserie materiali e morali procedono insieme. Il popolo è abbandonato alla rapacità dei signori della guerra e di un clero spesso corrotto; a volte preda facile dei mercanti d’illusioni. Domenico ne è commosso fino alle lacrime. Nella compassione condivide realmente la sofferenza e le disgrazie degli altri. Egli ha d’altronde una grande venerazione per la Croce, nella Croce vede l’amore di Dio piantato in terra, cuore e braccia aperte per attirare l’umanità in seno alla misericordia. Ci vede il sangue versato dall’Agnello per l’Alleanza, per riportare il peccatore nella giustizia, nella giusta relazione con Dio e con gli altri. Ci vede la sofferenza dell’innocente ingiustamente condannato e abbandonato, a cui Dio resta vicino al punto di essere una cosa sola con lui. Domenico è spesso rappresentato in meditazione davanti alla Croce, ai piedi della Croce, in piedi, seduto, piegato, inginocchiato, prosternato, con le mani alzate, con le mani giunte. All’origine della sua vocazione, della nostra, c’è la misericordia, la compassione, ma anche la follia di Dio che è più sapiente degli uomini: un Messia crocifisso, potenza di Dio, sapienza di Dio (1 Cor 1, 24-25)

 

Da quando è cominciato il dramma algerino, spesso mi hanno chiesto: ”Che cosa fate laggiù? Perché restate? Scuotete dunque la polvere dai vostri sandali! Tornate a casa vostra!”. A casa vostra... Dov’è  casa nostra? Noi siamo laggiù a causa di quel Messia crocifisso. Per nient’altro e per nessun altro! Non abbiamo nessun interesse da preservare, nessuna influenza da mantenere. Non siamo spinti da una qualche perversione masochista o suicidaria. Non abbiamo nessun potere, ma siamo lì come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù, perché è lui che soffre lì in quella violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia di innocenti. Come Maria, come san Giovanni, noi siamo lì ai piedi della Croce, dove Gesù muore abbandonato dai suoi, schernito dalla folla. Non è essenziale per un cristiano essere lì, nei luoghi della sofferenza, dove sono i derelitti e gli abbandonati? Dove dovrebbe essere la Chiesa di Gesù Cristo, anche lei corpo di Cristo, se non fosse prima di tutto lì? Credo che la Chiesa stia morendo proprio perché non è abbastanza vicina alla Croce di Gesù. Per quanto possa sembrarvi paradossale, e San Paolo lo dimostra, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità cristiana, la fecondità della Chiesa vengono di là. Non da altre parti, né diversamente. Tutto, tutto il resto è solo polvere negli occhi, illusione mondana. La Chiesa s’inganna e inganna il mondo quando si colloca come una potenza fra le altre, come un’organizzazione, anche umanitaria, o come un movimento evangelico spettacolare. Può anche brillare, ma non brucia più del fuoco dell’amore di Dio, “Forte come la morte” dice il Cantico dei Cantici. Perché è d’amore che si parla, d’amore innanzi tutto e solo d’amore. Una passione di cui Gesù ci ha dato il gusto e ci ha tracciato il cammino. “Non c’è amore più grande che dare la vita per quelli che amiamo”.

Dare la propria vita. Non è cosa riservata ai martiri, o almeno, forse noi siamo chiamati a diventare dei martiri-testimoni del dono gratuito dell’amore, del dono gratuito della propria vita. Questo dono ci viene dalla grazia di Dio, dataci in Gesù Cristo. E come manifestare questo dono, questa grazia? L’abbiamo imparato e l’abbiamo appena cantato nella preghiera scout. Ascoltate! E prendete sul serio le parole che avete cantato:

Signore Gesù, insegnaci ad essere generosi

a servirti come meriti

a donare senza calcoli

a lottare senza preoccuparsi delle ferite

a lavorare senza cercare riposo

a prodigarsi senza aspettare altra ricompensa

(gratuitamente!)

che quella di sapere che stiamo facendo la tua santa volontà.

 

Niente di più, niente di meno. Dare la propria vita. È questo e nient’altro! In ogni decisione, in ogni azione, dare concretamente qualcosa di se stessi: il proprio tempo, il proprio sorriso, la propria amicizia, le proprie capacità, la presenza, anche silenziosa, anche impotente, la propria attenzione, il proprio sostegno materiale, morale, spirituale, la mano tesa senza calcolo, senza riserva, senza paura di perdersi...

 

La testimonianza dei nostri sette Trappisti era talmente semplice, talmente grande! Non avevano bisogno di molte parole (come i domenicani!). Ora et labora. Prega e lavora. Lavora la terra. Lavora nel campo di Dio, lavora alla riconciliazione, alla fraternità con tutti. Essi accoglievano (molti di voi li hanno conosciuti), curavano anche i poveri della montagna. La loro presenza umile e nascosta oggi parla più forte di tutti i nostri faticosi discorsi per tentare di spiegare cosa facciamo in Algeria. Anche in Algeria, ascoltate questa testimonianza di un mussulmano fra tanti altri: “Noi facciamo la scelta di restare, diceva fratello Christian (Christian de Chergé, il priore dei Trappisti) e ancora: “Che ne è del suo dono se uno lascia l’amico quando è in pericolo?” È Christian che lo diceva. E il mussulmano continua:”Addio fratello Christian! Hai scelto di restare, pur essendo consapevole dei rischi che correvi, tu e i tuoi fratelli. Dovevate essere pazzi per restare in quel monastero, arroccato in pieno territorio degli assassini. Hai mai avuto paura? Non lo credo! Eri coraggioso fratello mio! Come hai guardato i tuoi assassini? Con lo sguardo e il pensiero di quello che sa perché muore. Cosa facevi lassù fra quelle montagne?... Vecchio brigante di Dio, cacciavi i poveri, li sequestravi per dar loro da mangiare, per ascoltare i loro lamenti... o fratello mio brigante! Diviso fra la tua cella e i lavori domestici, mangiavi il pane duro che fa il cuore tenero, o vecchio brigante che avevi scelto il saio e il martirio. Che dirti ancora, fratello mio? Niente, non ho parole degne di te e degli altri tuoi fratelli. Ecco allora  che ripeto:

Tutti i poveri erano la sua famiglia

tutti gli uomini erano suoi fratelli.

Ha dato da mangiare a chi aveva fame,

ha vestito chi era senza abiti,

ha curato i malati,

ha difeso chi era trattato ingiustamente,

ha accolto chi non aveva casa.

Tutti i poveri erano la sua famiglia,

tutti gli uomini erano suoi fratelli,

Dio sia misericordioso con lui!

(questo diceva un giovane berbero al funerale di padre Peyriguère, in Marocco).

Restano con noi per condividere la nostra miseria, domani, Inshallah, condivideranno la nostra gioia, e cita il salmo “Quelli che seminano nelle lacrime, mietono nella gioia”.

 

La vita e la morte dei nostri fratelli trappisti gridano il Vangelo. Come ha ragione Gesù di dirci oggi: “Non temete gli uomini, tutto ciò che è velato, tutto ciò che era nascosto in quel monastero umile e silenzioso della montagna di Medea, sarà rivelato, tutto ciò che è nascosto sarà conosciuto davanti al mondo. Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima” (Mt 10,27). Perché tutto succede lì, nell’anima, in quel più profondo di noi dove cerchiamo le nostre ragioni di vivere e di morire, di sperare e di amare, perché lì c’è Dio. Ma poi è necessario accoglierlo, lì, Dio! E questo ci riporta a Domenico, alla sua preghiera continua, alla sua predicazione con la parola e con l’esempio. L’esempio, proprio, di una vita donata per salvare l’umanità dal peccato o, come diremmo oggi, dal non-senso, dal male di vivere, dalla morte. Quell’omino dai capelli rossi ha fatto grandi cose, ma si ricordano di lui le lunghe veglie in preghiera, la sua bella voce che dava al Vangelo forza e sapore, la sua determinazione ostinata quando si trattava del Regno di Dio e dell’opera di Dio, il suo coraggio e la sua umiltà davanti agli altri, minacciosi  e sprezzanti, il suo sorriso luminoso! Giordano di Sassonia riassume tutto ciò in una frase sublime: “Accoglieva tutti nel cuore della sua amicizia, e siccome amava tutti, tutti lo amavano”. Come non vedere in ciò quello che unisce tutti i discepoli di Cristo? Domenico e Francesco di Assisi, i nostri fratelli trappisti, tutti, tutte?

 

Allora, ho voglia di dire alla mia cara, vecchia Chiesa cattolica, romana e apostolica, impacciata nei suoi apparati, nelle sue dispute interne, irrigidita sulla sua eredità, rinchiusa nello stretto cerchio dei suoi infiniti dibattiti sui riti e le norme, quello che bisogna fare, quello che non bisogna fare... voglio dirle: ”Poiché hai saputo far nascere persone come Domenico, Francesco di Assisi, ma anche Bruno, Celestino, Christian, Luc, Michel e Paul, e tanti altri, facci rinascere oggi, ciascuno e ciascuna, nella luce di quelle promesse scouts, nello slancio delle nostre immense generosità e nel dono delle nostre vite, perché venga il Regno di Dio.” Amen

 

Alla fine della celebrazione

 

Grazie a voi tutti e  a voi tutte! Lo dico ora, grazie per il vostro sostegno fraterno e la vostra preghiera. Vi assicuro che nella nostra situazione ... sono cose che si dicono abitualmente e poi prendono il volo, ma che ora restano e sono il nostro sostegno più solido. Grazie!

.

.