Koinonia Novembre 2020


FEDE FAI DA TE

 

In Italia sono raddoppiati nel corso degli ultimi 25 anni. Secondo gli studiosi, erano l’8% degli italiani e sono ora il 16%, forse di più, quasi un italiano su cinque, la stessa percentuale di quanti vanno a messa ogni domenica. Sono i «non-affiliati» a una religione. Nel mondo anglosassone, gli unaffiliated vengono detti nones; sono cioè coloro che rispondono none, «nessuna», alla domanda «a quale religione sei affiliato?».

In Italia, questa domanda è esclusa dal censimento generale e può essere posta soltanto in un sondaggio o in una ricerca. Nel Regno Unito, invece, la domanda è stata introdotta nel censimento governativo decennale a partire dal 2001. Allora fu il 15% a rispondere no religion, e la percentuale crebbe al 25% dieci anni dopo. In entrambi i casi, si registrò, inoltre, un 7% di non risposta. Gli studiosi britannici prevedono una ulteriore crescita dei nones nel censimento del prossimo anno.

Uno studio del 2016 ha già annunciato, almeno per Inghilterra e Galles, il superamento dei cristiani, ormai sotto il 45%, da parte dei non affiliati, sempre più vicini al 50%. Nel mondo occidentale, i nones sono in crescita ovunque, e ovunque raggiungono una quota consistente della popolazione. Il caso più significativo sono gli Stati Uniti. Tradizionalmente orgogliosa della sua religiosità nei confronti della vecchia Europa secolarizzata, l’America fa i conti negli ultimi anni con una crescita esponenziale dei nones. Il politologo Ryan Burge prevede che raggiungeranno nel prossimo decennio una percentuale tra il 25% e il 30% della popolazione americana e che supereranno così sul piano numerico ogni singola Chiesa.

Se è relativamente facile sapere che i non affiliati sono tanti, è molto più difficile sapere chi sono. È incredibilmente variegata la loro compagine. Tra i nones c’è il credente e c’è l’ateo, chi segue il Cristo e il Buddha e chi abbandona la religione per la spiritualità, chi venera il Sole e chi benedice l’algoritmo. Dietro la definizione al negativo dei non affiliati e della «non-religione», non c’è un vuoto. C’è un pieno. E c’è un senso.

In virtù della loro fisionomia composita, i non affiliati rovesciano agilmente la loro definizione al negativo in una affermazione al positivo. Sta proprio qui la ragione del successo della non religione, nel momento in cui l’equilibrismo tra il negativo e il positivo offre una libertà tridimensionale. La peculiare libertà che rende forti i nones è anzitutto libertà dalle identità religiose, che opprimono quando costringono a coerenze incoerenti con il nostro tempo, e ancora più quando non domandano coerenza, quando si accontentano di fedeltà a bassa tensione. Il non affiliato sfugge all’oppressione dell’identità religiosa perché è libero di cercarla, di testarla, di scartarla: se il none dichiara una non identità religiosa è proprio perché rispetta le identità religiose.

La seconda dimensione della libertà «non religiosa» è la libertà dalla definizione di religione. Il non affiliato non ha bisogno di definire la propria religione per sperimentarla, né di definire la propria non religione per vivere altrimenti da Dio. Può prendere pezzi di religione tradizionale, manipolare e innovare, persino inventare rivelazioni e divinità. Può inseguire la fede dove essa trasmigra, anche nei soldi, nell’arte, e soprattutto negli algoritmi, nelle macchine. È libero dalla definizione di religione, perché la religione la definisce lui.

C’è poi una terza dimensione: il non affiliato è libero dal potere religioso. Negando alle religioni organizzate la propria affiliazione, i nones si sottraggono agli scandali economici e sessuali, alla prepotenza dei leader religiosi, all’imposizione di norme anacronistiche, o riformate con disinvoltura per inseguire i mutamenti politici e sociali. Con ciò, peraltro, i nones non rinunciano al potere; al contrario, sfruttano la loro libertà di assortire fedi e pratiche per costruire una nuova potenza, simile alla totipotenza delle cellule staminali, alla superpotenza delle reti neuronali, all’onnipotenza delle infrastrutture digitali.

Per tutto ciò, i non affiliati fanno paura, e fanno gola. Le autorità islamiche temono molto più gli ex musulmani non religiosi di quanto non temano gli ex musulmani convertiti al cristianesimo. Il dialogo interreligioso e l’autocensura missionaria dei cristiani garantiscono infatti un contenimento delle conversioni che nessuno può garantire per i musulmani che passano alla non religione. Il non affiliato spariglia tutto, sfida tutto; la sua persecuzione nel mondo non occidentale lo rafforza su scala globale e smentisce chi vorrebbe ridurre il fenomeno al solo Occidente. E poi fanno gola, i non affiliati. Si gioca su di loro una partita vitale per le organizzazioni ateistiche e agnostiche.

Queste, a cominciare da Humanists International, si intestano la rappresentanza dei non affiliati e vantano una base crescente. Non c’è dubbio, nella loro retorica: se i non affiliati sono così tanti, da rivaleggiare in numero con chi si identifica nelle Chiese, noi che li rappresentiamo siamo almeno grandi quanto una Chiesa e rivendichiamo prerogative corrispondenti. Del resto da anni lo Stato paga agli umanisti belgi insegnanti nella scuola pubblica e cappellani negli ospedali e nelle forze armate. Se cresce la pretesa di Humanists International in funzione della crescita dei non affiliati, e se cresce proporzionalmente la voglia di essere una grande Chiesa, la natura composita e volatile dei nones destina la pretesa all’insuccesso e gli umanisti a una frustrazione ancora maggiore di quella dei loro padri e dei loro nonni davanti allo strapotere delle Chiese. Sono peraltro proprio essi, atei, agnostici e razionalisti, ad abbandonare i vecchi recinti. Gli atei pregano, gli agnostici sanno, i razionalisti credono. Comincia da loro la fusione di religione e non religione.

Due volumi dimostrano l’interesse per una conversazione nuova. Con il titolo Sempre ateo grazie a dio le Edizioni e/o stanno per pubblicare una raccolta di testi brevi del regista Luis Buñuel, maestro d’ogni traffico al confine tra cattolicesimo e ateismo, mentre San Paolo manda in libreria il viaggio «agnostico» di Franz Coriasco Il Dio dei senza Dio. Al fondo, la sfida dei non affiliati riguarda le categorie con cui la modernità ha pensato Dio, e perciò si rivolge agli atei e agli agnostici quanto ai cristiani e ai musulmani. Il sapere stesso è in discussione. La London School of Economics ha lanciato un programma di studi «sulla religione e la non religione». L’Università del Kent ha ricevuto quasi tre milioni di dollari dalla Templeton Foundation per «comprendere la non religione». Cambiano contestualmente il soggetto e l’oggetto della conoscenza. Non mi servono più la filosofia, la storia, la sociologia e il diritto della religione, se stancamente presidiano la frontiera tra religione e non religione. Mi servono invece l’economia, la psicologia, le neuroscienze e l’ingegneria informatica che di quella frontiera sanno fare a meno.

Sfuma la differenza tra religione e non religione, si disegnano nuove mappe della conoscenza e dell’esistenza: si muovono su di esse, freneticamente scomposti e ricomposti, gli atomi della fede.

 

Marco Ventura

“la Lettura”, 11 ottobre 2020

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