Koinonia Novembre 2020


Monsignor Gino Bonanni

Punto di snodo della germinazione fiorentina

 

Come dire di no all’affettuoso invito di Beppe Pratesi di partecipare al ricordo di Monsignor Gino Bonanni? Era come rispondere al richiamo di ricordi antichi, di amicizie che segnano il cammino, vivissime anche se non frequentate da tempo. Negli anni ‘60/70 con lui abbiamo condiviso un progetto di vita evangelica, richiamati insieme ad altri amici dalla personalità di Don Sirio Politi. Vita di sapore evangelico che più tardi Beppe ha proseguito con sua moglie Lucia.

L’incontro si è svolto il 19 settembre 2020 nel bel territorio del Mugello dove il Bonanni ha vissuto a lungo. La mattina abbiamo avuto il piacere di una visita guidata alla splendida Pieve di S. Giovanni Maggiore, luogo denso di fede e di opere d’arte dal ‘500 ai giorni nostri. Ha fatto molto piacere a noi Versiliesi sapere come Galileo Chini ai primi del ‘900 si sia preso cura dell’ultimo, importante restauro della Pieve: l’artista è stato molto presente a Viareggio, dove il suo Liberty ne ha caratterizzato il Lungomare.

Nel pomeriggio siamo stati ospitati dall’Oratorio di S. Omobono a Borgo S. Lorenzo. L’incontro, sapientemente organizzato da Beppe Pratesi e alcuni amici, si è svolto in un’atmosfera di grande attenzione, si sono snodati ricordi, considerazioni, aneddoti e racconti di vite segnate dall’incontro con Don Gino Bonanni. È stato un piacere per me conoscere la vita di un sacerdote che non avevo ancora incrociato ascoltando la viva voce di uomini, donne e sacerdoti, fra loro numerosi ex allievi: non vi era distinzione di ruolo fra di loro, un momento corale nato dall’amicizia che tutto consente.

Di lui e del gruppo di sacerdoti e laici del periodo della germinazione fiorentina degli anni ‘50/70 avevo notizie, come tutti noi che abbiamo guardato a quel periodo con attenzione e stima, un periodo che andrebbe riletto con cura, soprattutto in questi tempi pandemici di disorientamento e dolore nel quale siamo obbligati a reinventarci una vita possibile che metta al centro un diverso progetto di sviluppo legato al rispetto fra gli umani e fra uomo e natura.

Allora la libertà di coscienza era uno degli elementi fondanti il modello fiorentino e Mons. Bonanni l’ha convintamente messa in opera quando fra il 1958-64 è stato rettore del seminario: <Ho attuato quello che io stesso non mi ero prefisso, ma che penso mi abbia suggerito il Signore: desiderio di formare uomini per la Chiesa nuova post-conciliare, uomini maturi, completi, capaci di essere e di rispettare ogni essere altrui, non prepotenti, non desiderosi di poteri, ma amanti come il Cristo, e al servizio dell’amore fino al supremo sacrificio di sé>. Un progetto di libertà che aveva impensierito il cardinale Florit che pensò bene di allontanarlo dal Seminario, relegandolo in una parrocchia del Mugello, non tenendo conto che lo Spirito è libero e che nonostante la grave mortificazione inflitta a lui, ai cattolici e agli uomini di buona volontà, il Bonanni avrebbe continuato ad essere lo snodo di molte vite.

Sabato pomeriggio, il sentimento che aleggiava dentro di me alla fine dell’incontro e che è rimasto nei giorni seguenti, era di affetto profondo e gratitudine verso il Bonanni, quasi l’avessi finalmente conosciuto dal vivo, dopo averne sentito parlare con entusiasmo da don Beppe Socci che ha fatto parte insieme a me della piccola comunità di uomini e donne creata intorno a Don Sirio Politi.

Sia io che Beppe eravamo approdati a Viareggio per conoscere don Sirio dopo aver letto il suo libro Una zolla di terra edito nel 1961 da La Locusta. Io ero una giovane studentessa romana, lui un seminarista fiorentino che chiese al Bonanni, allora rettore del seminario, di trascorre una parte dell’estate a Viareggio insieme a Don Sirio che a quei tempi lavorava come scaricatore di porto. Il Bonanni, coraggioso e aperto alle novità dei tempi, non pose divieti alla richiesta, seppure la Chiesa due anni prima avesse messo bruscamente fine all’esperienza dei Preti Operai. Pose una sola condizione che la dice lunga sulla sua personalità: voleva conoscere di persona Don Sirio, privilegiava innanzi tutto il rapporto umano, l’incontro, il vedere di che pasta era l’uomo al quale affidava il figlio per un’estate, un’attenzione da padre di famiglia.

In più di un momento durante l’incontro mi è tornato alla mente il lungo periodo vissuto nella comunità nei miei giovani anni, insieme al valore di quanto è stato seminato e subito è emerso il dovere etico, personale e collettivo, di proteggere il terreno sul quale in seguito si sono depositati lunghi anni di superficiale ricerca di un benessere a costo di tutto, anni di una società ammaliata da facili traguardi. “Indifferenti mai” era il motto che ha guidato la vita di Don Beppe.

E ancora, mentre Antonella Lumini raccontava come dopo i suoi primi incontri con un Bonanni già anziano, lui le avesse suggerito di leggere Pustinia, un classico della spiritualità che le ha cambiato la vita, mi sono rivista giovanissima in un settembre romano con Una zolla di terra fra le mani e il cuore e la mente spalancati verso un mondo che già intravedevo: anche per me le pagine di un libro hanno significato cambiare di slancio la vita.

Grazie a Beppe Pratesi e a quanti hanno collaborato con lui per questa giornata di convivialità e di memoria della quale sentivamo il bisogno.

 

Maria Grazia Galimberti

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