Koinonia Novembre 2020


IL “SOGNO DI FRATERNITÀ” DI S. FRANCESCO E DEL PAPA

 

Francesco, quando aveva già percorso un buon tratto del cammino che lo avrebbe portato a una conversione piena e totale - era ormai un uomo fatto, abituato agli agi e alle feste: difficile rinunciarvi -, viveva da eremita con i contrassegni che lo facevano riconoscere come tale. Un giorno del 1208, ascoltando la messa, udì il sacerdote ripetere le istruzioni date da Cristo ai  discepoli: “Per strada non dovevano portare né oro, né argento, né pane, né bastone, né calzature né  veste di ricambio… Fissando nella memoria quelle direttive, Francesco s’impegnò a eseguirle lietamente. Senza por tempo in mezzo, si sbarazzò di tutto quello che possedeva di doppio, e inoltre del bastone, delle calzature, della borsa e della bisaccia. Si confezionò una tonaca misera e grossolana e, in luogo della cintura di pelle, strinse i fianchi con una corda”: così secondo la Leggenda dei tre compagni si compì il cambiamento di vita del futuro santo. Volle vestire da povero contadino rifiutando d’essere inquadrato in una categoria sociale circondata di stima come quella degli eremiti. In una società molto gerarchizzata nella quale ciascuno aveva uno statuto preciso,

Francesco mostrò di volere essere fra coloro che non ne avevano alcuno. Così facendo, rifiutò la possibilità di essere identificato come colui che, facendo parte di un preciso gruppo religioso di appartenenza, si volgesse quasi per professione caritativa a una parte della società nei cui confronti  poteva vantare un ruolo privilegiato.

Pur vivendo noi oggi in una situazione storica totalmente diversa, il modo di agire di Francesco è come rispondesse a quanto sottolinea l’enciclica Fratelli tutti: “Riappare la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente”. Francesco volle appartenere a quella stessa società che la Chiesa in molti modi voleva guidare, confondendosi, in un impeto di fratellanza e di empatia, con la parte più disprezzata, con i poveri e coi contadini, umili e indigenti lavoratori della terra. Da quel momento Francesco e i compagni, facendosi poveri fra gli altri poveri, si attennero a quel misero abbigliamento, camminando sempre, in ogni stagione, a piedi nudi, come Cristo e gli apostoli, condividendo con i miseri e gli sfortunati la precarietà materiale e psicologica di chi non possiede nulla. Si susseguirono generazioni di francescani, la fraternità divenne un ordine: entrarono a farne parte molti sacerdoti e molti degli intendimenti di Francesco non furono più tenuti in conto. I frati non vivevano, come agli inizi, del lavoro delle loro mani; abitavano nei conventi, avevano bisogno di tempo per studiare e preparare le loro omelie; per vivere contavano adesso sulle offerte dei fedeli.

I frati, dalla dozzina dei primi compagni, come nei primi tempi, erano diventati migliaia: occorreva una organizzazione diversa per la vita in comune di tante persone. Si vestivano anche in modo assai meno approssimativo e non andavano più a piedi nudi. L’aggiornamento storico del successo dell’ordine si riflette negli affreschi del ciclo di Assisi: Francesco ha costantemente i piedi nudi, i compagni, i frati del tempo degli affreschi, cioè di papa Nicola IV, primo papa francescano (1288-92) hanno i piedi calzati. Tale difformità poté essere illustrata perché in linea con quella profonda comprensione umana del prossimo, propria di Francesco. Racconta ancora La Leggenda dei tre compagni: Francesco “insisteva perché i fratelli non giudicassero nessuno, e non guardassero con disprezzo quelli che vivono nel lusso e vestono con ricercatezza esagerata e fasto, poiché Dio è il Signore nostro e loro, e ha il potere di chiamarli a sé e di renderli giusti. Prescriveva anzi che riverissero costoro come fratelli e padroni: fratelli, perché ricevono vita dall’unico Creatore; padroni, perché aiutano i buoni a far penitenza, sovvenendo alle necessità materiali di questi. E aggiungeva: ‘Tale dovrebbe essere il comportamento dei frati in mezzo alla gente, che chiunque li ascolti e li veda, sia indotto a glorificare e lodare il Padre celeste’”. Oggi invece, come sottolinea l’enciclica, “l’incontro diretto con i limiti della realtà diventa insopportabile. Di conseguenza, si attua un meccanismo di ‘selezione’ e si crea l’abitudine di separare immediatamente ciò che mi piace da ciò che non mi piace, le cose attraenti da quelle spiacevoli”. Francesco cercò sempre di ricomporre in un discorso di pace le diseguaglianze, i diversi stili di vita: il suo era un modo inclusivo di vivere la religione cristiana, un insegnamento più che mai vivo e vitale ai nostri giorni. L’auspicio è dunque, con le parole di papa Francesco, che si realizzi “un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole”.

 

Chiara Frugoni

 

Questo commento, con altri, correda l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, in libreria dal 12 ottobre con Scholé-Morcelliana

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