Koinonia Novembre 2020


Dall’articolo di Enzo Bianchi in “Vita pastorale” - ottobre 2020

“Quale chiesa emerge dalla pandemia?”

 

Se vogliamo essere sinceri con noi stessi

 

<...> Se però vogliamo essere sinceri con noi stessi, dobbiamo andare fino in fondo e leggere la crisi non solo attraverso la lente della pandemia, ma volgendo lo sguardo su un periodo che parta almeno dall’inizio del pontificato di papa Francesco (2013). È venuto un Papa dai confini del mondo, dopo un lungo inverno, e in molti abbiamo intravisto una nascente primavera per la Chiesa. Le parole di Francesco, efficace buona notizia per l’umanità e profezia per la Chiesa, hanno ridestato entusiasmo, volontà di rinnovamento e di riforma, predisposizione al mutamento in vista di un rinnovato ritorno al Vangelo. Nell’Evangelii gaudium (24 novembre 2013) il Papa ha avuto il coraggio di scrivere: «Ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno».

Dunque, innanzitutto, un’urgenza di cambiamento, di riforma spirituale, ma anche di mutamento di assetti e forme di vita cristiana, in vista di una “Chiesa in uscita” verso l’umanità, per portarle il dono della buona notizia che è giustizia e pace. In quest’ottica abbiamo sperato e lavorato umilmente ma con tenacia. Dopo sette anni di pontificato dobbiamo constatare che le parole e le dichiarazioni fatte con autorevolezza dal Papa hanno sì dato timidamente inizio a dei processi, ma non hanno trovato una concreta possibilità di realizzazione. Nei loro confronti vi è in parte una resistenza dura e frontale, ma soprattutto una resistenza sorda: quella di chi dovrebbe dare esecuzione alle direttive papali e invece le lascia cadere o addirittura le spegne. Non si mettono in atto le procedure necessarie per tradurre in pratica queste affermazioni. Si assiste così, per esempio, a grandi proclami sulla dignità della donna nella Chiesa o ad alte espressioni teologiche sulla sinodalità: ma quale reale cambiamento, quale ricaduta pratica di tutto ciò nella vita ordinaria della Chiesa?

Spira oggi nella Chiesa un’aria di stanchezza e di perdita di propulsione e il declino della fede, progressivamente acceleratosi, è constatato da tutti. Si osserva sempre di più l’incapacità della riflessione ecclesiologica a fare delle Chiese locali un vero soggetto in grado di “inventare” le forme della Chiesa nelle diverse lingue e culture dei nostri contemporanei e di rendere la comunità cristiana un luogo ospitale in situazione di diaspora. Ma se non avviene questa rigenerazione per cui «il cristianesimo non fa che incominciare» (Aleksandr Men’); se non accediamo alla convinzione che «il cristianesimo non esiste ancora» (Dominique Collin); se non comprendiamo che il Vangelo è l’unica forza dei cristiani e una grande speranza per gli umani, allora continueremo ad arrabattarci tra qualche timida riforma e la ricerca di un’offerta molteplice, quando ormai non c’è più la domanda... La radice della crisi, non l’abbiamo ancora capita, è profondamente spirituale: crisi della fede, crisi dell’appartenenza a Gesù Cristo, crisi della sete di salvezza e di vita eterna.

Di fronte a questa crisi alcuni reagiscono in modo troppo superficiale, appoggiandosi sulla promessa di Gesù: «Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Altri restano incerti ed evocano con timore la sua domanda: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). In questo tempo ciascuno di noi è chiamato a misurarsi sulle parole e sui gesti del Signore Gesù, discernendo alla loro luce la sua fede, la sua speranza e il suo amore. E soprattutto rinnovando la convinzione che Gesù Cristo è il Vangelo e il Vangelo è Gesù Cristo.

 

Enzo Bianchi

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