Koinonia Novembre 2020


QUALCHE NOTA DI LETTURA

 

In nome di quale Francesco?

 

Le chiavi di lettura con cui è stata letta l’Enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti” sono le più diverse e controverse, e non fanno che confermare la frammentarietà e la conflittualità presenti nella nostra società umana ad ogni livello. Ma visto che essa si ispira dichiaratamente a San Francesco di Assisi, a cominciare dal titolo, penso che la chiave di lettura offerta da Chiara Frugoni in “il Fatto Quotidiano” del 6 ottobre 2020 (Il “sogno di fraternità” di S. Francesco e del papa) è da tenere presente in ogni caso, in quanto ci riporta alla fonte ispiratrice e induce a chiederci: in nome di quale Francesco prende corpo questa enciclica?

Un ponte tra i due “sogni di fraternità” – quello di Francesco di Assisi e di papa Francesco - è gettato da queste parole dell’articolo riportato: “Pur vivendo noi oggi in una situazione storica totalmente diversa, il modo di agire di Francesco è come rispondesse a quanto sottolinea l’enciclica Fratelli tutti: Riappare la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente”. Dunque sia la convergenza che la differenza tra i due approcci possono emergere esattamente su questo punto.

E allora vediamo quale secondo Chiara Frugoni è stata la risposta di san Francesco al problema: per rileggere poi in questa luce il sogno di papa Francesco che dovremmo fare nostro. Troviamo frate Francesco nel suo cammino di conversione, che vive da eremita con i contrassegni che lo facevano riconoscere come tale. Fino a quando, sempre la Parola del vangelo lo porta ad un ulteriore cambiamento di vita: a vestire da povero contadino rifiutando d’essere inquadrato in una categoria sociale circondata di stima come quella degli eremiti, dimostrando così di voler essere fra coloro che non avevano nessun titolo di prestigio dentro una società molto gerarchizzata, e per condividere con i miseri e gli sfortunati la precarietà materiale e psicologica di chi non possiede nulla. Prima che orientamento spirituale e scelta dei poveri, c’è una condizione di povertà evangelica che investe lui e il suo modo di essere, prima ancora che i poveri a cui dedicasi.

Ma se questo era il Francesco delle origini, ci viene però ricordato che simile stile di fraternità evangelica ed apostolica gli viene impedito, quando il suo spirito è costretto a farsi regola e anche lui viene “clericalizzato”: deve comunque qualificarsi e assolvere un ruolo. Per cui, se il suo era un modo radicale  inclusivo  di “vivere la religione cristiana” e prendere il vangelo alla lettera, rispetto alla sua “normalizzazione” viene da chiedersi: “quale Francesco” può fare da suggeritore e da modello nella scelte attuali della chiesa? Quello della spoliazione e del  ritorno al vangelo sine glossa – icona di Cristo ad imitazione degli apostoli - o quello assurto a simbolo di fraternità universale e cantore del creato? Quello che ha vissuto una reale conversione alla fraternità e si è adoperato per altri, o quello che ci fa sognare un mondo fraterno possibile nel cielo al di sopra di noi? Quello che incarna il samaritano anonimo, o quello in nome del quale noi ci facciamo grandi, invece di diventare “minori” come lui ci ha insegnato?

Chiedersi tutto questo non vuol dire restringere egli spazi a qualcuno, ma aver chiaro na cosa: che il vangelo diventa umano laico, universale quando è  preso sul serio alla radice, e non quando si toglie quella patina religiosa con cui  arriva a noi, e che dovrebbe dissolversi di conseguenza! (ABS)

 

 

Alla luce della Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”

 

Sembra insomma che quella del papa sia una “ispirazione cristiana” confessionale da avanzare con riserva, e non sia invece messaggio evangelico nudo e crudo, col rischio di dare adito ad accuse di finalità politiche e addirittura di demolizione del cristianesimo. Per la verità non si può negare che una certa impressione di politicismo, sociologismo e psicologismo affiori e non lasci trasparire la motivazione profonda di fede, che dovrebbe essere incarnata in una chiesa, che sembra essere tra parentesi. Per una visione più equilibrata delle cose, non sarebbe male scongiurare valutazioni di questo genere, e far capire subito, senza precisazioni e correttivi, che i credenti in Cristo sono dalla parte del vangelo “annunciato ai poveri” con tutto quello che comporta. Ma il problema è proprio quello di dare vita ad una chiesa o a delle comunità che se ne facciano carico: con quale fiducia affidare all’intera società un messaggio di fraternità e di amicizia sociale senza accendere focolai evangelici di quel fuoco che Gesù dice di essere venuto a portare?

Sarebbe bastato che l’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” avesse avuto la necessaria attenzione e metabolizzazione nella coscienza della chiesa, e forse non ci sarebbe stato neanche bisogno che in questa nuova enciclica papa Francesco riepilogasse tutto il suo magistero e rinnovasse il suo sforzo di portare il suo gregge fuori dell’ovile (“chiesa in uscita”) come portatori e testimoni dell’amore di Cristo per il mondo. Infatti, tutto il capitolo quarto della esortazione EG tratta di questo preciso tema: ”La dimensione sociale dell’evangelizzazione”.  Ed è qui che bisogna tornare per avere l’altra faccia della medaglia dell’enciclica, che diversamente si dissolverebbe nell’aria come discorso settoriale e di circostanza, mentre invece insieme alla “Evangelii gaudium” rappresenta un discorso vitale e unitario, dove il soggetto primario è una chiesa viva. Che sia il caso allora di rilanciare questo messaggio per chi ci vuole stare? D’altra parte non sarebbe giusto lasciarlo cadere nel vuoto perché la maggioranza, a cominciare dai Vescovi più volte esortati dal Papa (si ripensi a Firenze nel 2015!), ha fatto orecchi da mercante. Sarebbe l’ora di uscire allo scoperto!

L’invito è a rileggere e ripensare questo capitolo, da cui possiamo riprendere il numero 182 a titolo esemplificativo: “Gli insegnamenti della Chiesa sulle situazioni contingenti sono soggetti a maggiori o nuovi sviluppi e possono essere oggetto di discussione, però non possiamo evitare di essere concreti – senza pretendere di entrare in dettagli – perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché «possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne». I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune”.

Questa saldatura tra Regno di Dio e giustizia e pace nel mondo è quanto ha tentato il Vaticano II con i risultati che sappiamo: il ristagno di un neo-conformismo di facciata e la rinascita di un esoterismo ecclesiale. Non a caso papa Francesco non si stanca di denunciare clericalismo ed autoreferenzialità, insistendo sulla “chiesa in uscita”. Ragion per cui anche “Fratelli tutti..”  non può rimanere un evento di giornata, ma diventa occasione e motivo per riconsiderare il tutto della immagine e della presenza della chiesa nel mondo!

 

ABS

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