Koinonia Ottobre 2020


Il Vaticano II che relativizza la Chiesa va relativizzato

 

È IL MOMENTO DI VOLTARE PAGINA

 

Forse è lecito far sentire sommessamente la propria flebile voce, nel silenzio assordante di una società epidermica e di una chiesa piena di sé. Per ribadire che è chiusa una stagione del Vaticano II e che è necessario voltare pagina. Sì, ma quella che si presenta è una pagina bianca: e quanto è stato detto e fatto fino ad ora non sono che pellicole da togliere, per trovare strati vergini e nuove modalità di interpretazione e di traduzione. Come se fosse un cambiare pelle, un passaggio dalla prima ad una seconda alleanza, dalla lettera allo spirito: e cioè dalla sua ideazione ed elaborazione ideale di progetto alla sua incarnazione reale in un nuovo soggetto storico, attraverso una rinnovata metabolizzazione spirituale e profetica. Insomma, come se fossimo alla vigilia del Concilio e rivivessimo le sue reali attese! Non siamo sempre in ritardo sulle lancette della storia?

Siamo ad un punto in cui in superficie è stato rimodellato il corpo della chiesa, ma la sua anima è rimasta quella ereditata dalla storia: uno spirito nuovo che rigenerasse un nuovo corpo non è ancora soffiato su ossa aride perché riprendano vita (cfr Ez 37). Ora come ora, sembra dì essere davanti ad una chimera, ad un compromesso tacito di stabilizzazione. In cui però la nota dominante è più che mai  autoreferenziale edecclesiocentrica, con buona pace di tutti, di quelli che hanno occupato tutti gli spazi di potere possibili e anche di quanti hanno scelto di starne fuori, ma sembra non abbiano più niente da dire. Si è creato un tacito accordo di coesistenza bloccata come da separati in casa, in cui chi ha le chiavi del potere si sente autorizzato ad impedire ad altri di entrare.

Mentre insomma ci sarebbe da tornare al pre-concilio per riviverne le ansie e attese, stiamo scivolando a prima del Concilio come mentalità e prassi religiosa rassicurante, quasi che i giochi siano fatti e tutto sia ormai in via di piena normalizzazione. Ne è prova il modo in cui è stata gestita e vissuta la “vicenda Bose”, sintomo di una situazione ufficialmente risolta ma di fatto indecifrabile. Se poi ci viene detto che “la vicenda Bose oggi è sempre più vicenda ecclesiale”, lo è solo a senso unico dall’alto in basso, o anche per tutti e comunque? D’altra parte dove è una base - compreso il numeroso popolo di Bose - che dica la sua? Siamo in tempo di afasia urlante!

Cosa allora scrivere sulla nuova pagina bianca? Qualcosa che apra una nuova fase o nuovo capitolo del Vaticano II e azzeri secoli di ritardo della chiesa rispetto alla storia del mondo: quanto in realtà il Concilio ha inteso fare accettando il confronto chiesa-mondo, sempre aperto anche se dato ormai per risolto. Azzeramento sempre possibile con un risveglio e ritorno al vangelo al di fuori di ogni conformismo e convenzionalismo dominante! Avere sotto gli occhi una pagina bianca vuol dire in qualche modo fare “tabula rasa” di quanto saremmo portati a scrivere per convenienza o come riflesso condizionato.

Vuol dire insomma rimettersi ad ascoltare la voce del vento, senza la pretesa di sapere di dove venga e dove ci porti: vivere sospesi alla Parola di Dio che “non è incatenata” (2Tim 2,9) e fare propria la condizione di quanti sono cercati da Dio o alla ricerca di Dio. Può apparire obiettivo minimalista, ma è questo il denominatore comune tra chi è a servizio del vangelo e quanti dovrebbero usufruirne. E se per quanto ci riguarda siamo alla vigilia del Giubileo dell’Ordine dei Predicatori - per l’ottavo centenario della morte di san Domenico - la necessità rimane quella di ricreare una giusta sintonia tra la predicaione e i suoi destinatari!

Il Concilio Vaticano II ha voluto essere questa impresa epocale di intronizzazione del vangelo al centro della intera vita della chiesa. Ma il fatto è che questa operazione è rimasta esterna, retorica, celebrativa, rituale e accessoria e non ha dato una nuova forma evangelica all’esistenza della chiesa nel mondo quale primo annuncio della comunità dei discepoli. La chiesa rimane saldamente e simbolicamente lo spazio di una religiosità integrata e funzionale ma fine a se stessa. Se dunque il Concilio è diventato “segno di contraddizione” dentro la chiesa, posso dire che non sono né a favore né contro, ma per riprenderlo dal di dentro, nella sua vocazione evangelica e storica più che nella sua provvisoria  risposta, del tutto relativa.

E allora, per scrivere questa pagina di vita, vedo delle persone di buona volontà, non sazie di riti e cerimonie ma con fame e sete di giustizia, pronte a fare liberamente un cammino insieme non tanto per “attuare” o applicare il concilio nel contesto di una chiesa storicamente caratterizzata, quanto come vademecum per plasmare la coscienza e le fattezza di un nuovo Popolo di Dio nutrito di vangelo. Non è più questione di numero o di interventi settoriali dei più, ma di un piccolo resto che abbia la sollecitudine per tutte le chiese: che abbia la visione e l’impegno di una chiesa sacramento di salvezza nel mondo, e cioè - si torna a quanto si diceva sopra – “segno e strumento dell’intima unione con Dio e di unità del genere umano”.  Quando si dice “salus animarum suprema lex” - la salvezza degli uomini è legge suprema - sappiamo come misurarci!

Poi vengano pure tutte le forme e gli stili in cui esprimersi e comunicare, ma che rimanga questo il baricentro della sua intera esistenza. Si torna a dire che l’asse portante e i parametri della vita della chiesa è la “pietà”, intorno a cui si sviluppano esperienze ed espressioni di fede autentiche e spurie e all’interno della quale possono e devono avvenire tutti i cambiamenti possibili: è insomma il tipo di comunicazione con Dio a determinare anche il modo di pensarlo nel credere (“modus orandi modus credendi”). Purtroppo c’è da dire che il modo di pregare prevalente è a circuito chiuso e mondo a sé, e difficilmente porta a maturare una mentalità di cristiani adulti e liberi.

Non è buona cosa che soprattutto le nuove generazioni pensino di usare il Concilio come ultima parola in termini di solennità e spettacolarità celebrativa in una chiesa fatta di eventi e di ritrovi gratificanti a buon mercato. Invece di prendere in blocco il Vaticano II come patina ed etichetta di novità, bisognerebbe ricollocarlo nel suo contesto storico e accoglierlo nel suo afflato profetico, non come bandiera di vittoria da agitare, dopo che i suoi tanti profeti sono stati sistematicamente neutralizzati o normalizzati. Nella recezione del Concilio, ad un assolutismo avveniristico sta subentrando un assolutismo fissista ad esclusivo discredito e tradimento della sua ragion d’essere.

Per relativizzarlo - e quindi recuperarlo - forse non sarebbe fuori luogo andare a rivedere come stavano le cose alla sua vigilia e avere presente cosa ci si potesse e volesse aspettare dalla sua celebrazione in ordine della chiesa sulle lancette della storia. Non basta azzerare formalmente un reale crescente ritardo riportandoci noi indietro di secoli! Sembra che la “salvezza mediante la fede” non interessi più nessuno, né chi la dovrebbe ricevere né chi la dovrebbe annunciare, semplicemente perché non fa più problema e non mancano surrogati o placebo di ogni tipo. Da parte nostra non vogliamo eludere il problema e siamo a chiederci come aprire un nuovo capitolo della stessa trama, standoci dentro e non semplicemente schierandosi.

Come Koinonia, abbiamo la fortuna di poter dire che, essendo sulla breccia da tempo, non siamo affatto arrivati a qualche capolinea o ad occupare spazi sicuri in cui attestarsi e ricevere benevoli consensi: non possiamo vantare attività importanti, realizzazioni vistose, esibire modelli di comunità ben definiti. Niente di tutto questo, ma solo la volontà di mantenere vivo un processo aperto di comunicazione che porti ad una comunione sostanziale di amicizia e di fede, feconda e in diaspora, senza concentrazioni.

Ci sarebbe tutta una storia da scrivere sulla variegata partecipazione a questo lungo processo, rivelativa di atteggiamenti progressisti di corto respiro che farebbero pensare alla favola della volpe e dell’uva! Così come si potrebbe raccontare delle variazioni sul tema del trattamento istituzionale di una esperienza tanto libera nella ricerca quanto radicata sul terreno comune della fede! Ma è chiaro che la cosa più importante è se, rimanendo in questa linea, ci siano ancora disponibilità e condizioni, per contribuire a scrivere insieme sulla pagina bianca che abbiamo davanti.

 

Alberto B.Simoni op

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