Koinonia Ottobre 2020


Un manifesto per riservisti e reduci del Vaticano II

Comunità cristiane di base nella Chiesa

Oggi le comunità di base sono necessarie alle Chiese. Le Chiese del futuro saranno Chiese edificate dal basso mediante comunità di base sorte dalla libera iniziativa e associazione. Bisognerebbe fare di tutto per non ostacolare questo movimento, che è già iniziato, e per promuoverlo e mantenerlo su’ binari giusti. Per capire quel che intendo dire occorre pensare alla situazione in cui, oggi le Chiese si trovano già in larga misura e in cui si troveranno, sempre più.

In concreto e sotto il profilo sociale le Chiese non sussisteranno più, come una volta, semplicemente in forza dell’esistenza del loro ufficio, delle loro salde strutture sociali e della coscienza della loro ovvietà nella pubblica opinione, né recluteranno nuovi membri semplicemente per il fatto che i figli adottano e continuano lo stile di vita dei genitori e vengono battezzati e indottrinati dalla Chiesa. La Chiesa esisterà realmente, e non solo in teoria, perché si rinnoverà senza posa attraverso la libera decisione di fede e la formazione della coscienza dei singoli nel bel mezzo di una società profana, che non è appunto più cristianamente strutturata. Il fatto che questa descrizione - perlomeno sotto determinati punti di vista - sia piuttosto sociale che teologica, del continuo divenire della Chiesa, e che questo rinnovamento debba sempre riconoscere ed esprimere una fedeltà storica al messaggio del vangelo e al mandato derivante da Cristo, non cambia nulla circa la novità del divenire della Chiesa oggi e nel futuro. La fede in Gesù Cristo - sempre necessaria per essere realmente cristiani per libera decisione - nasceva prima in una situazione più o meno omogeneamente cristiana anche sotto il profilo sociale profano; oggi è la fede stessa che deve formare e sorreggere la propria sfera sociale. Quando perciò alcuni o molti individui diventano credenti e si uniscono, superando la pressione di una società profanizzata, essi formano delle comunità di base, creano una Chiesa-comunità diversa dalla Chiesa di popolo del passato, nel senso in cui possiamo intendere l’espressione “Chiesa di popolo”: cioè una Chiesa che era sorretta - e in essa il singolo cristiano - da un consenso del popolo nel suo complesso, consenso istituzionalizzato anche in tutte le dimensioni sociali, per cui non si trovava a vivere come in diaspora.

Le comunità di base non vanno concepite in contrapposizione e in contrasto con la Chiesa tradizionale e le sue istituzioni. Se sono cristiane, non solo esse accettano il vangelo e la fede .della Chiesa, non solo riconoscono il suo mandato e cercano di vivere in pace nel caso di eventuali conflitti - naturalmente sempre possibili e di farsi riconoscere nella maniera più positiva possibile da parte del ministero ecclesiastico, attendendo perlomeno con pazienza benevola, qualora quest’ultimo non sia ancora in grado - per un motivo giusto reale o solo presunto - di comprenderle e di riconoscerle in termini positivi; ma si mantengono anche favorevolmente aperte a tutta la ricchezza dell’esperienza spirituale tradizionale, alla riflessione teologica, alla prassi liturgica, alla teoria e alla prassi sociale e politica offerta dalla storia della Chiesa.

La genuina comunità di base non è un contraltare della parrocchia, come non ogni genuina comunità di base ha bisogno di identificarsi con una parrocchia. Sotto questo aspetto può anche essere sociologicamente disparata nei confronti di una parrocchia oppure far parte delle sue strutture, perché- nessuno può affermare che sul piano della socialità locale tutta la realtà cristiana vada o anche solo possa essere organizzata unicamente in parrocchie vere e proprie. In linea di principio le Chiese hanno sempre riconosciuto che sono possibili libere aggregazioni dal basso, che perseguono finalità specificamente cristiane e non promanano tuttavia dall’iniziativa diretta dell’ufficio, della Chiesa, né sottostanno alla sua direzione autoritativa. Viceversa tutto questo non esclude che una parrocchia, istituzionalizzata inizialmente dall’alto, possa, anzi debba essere nel contempo una comunità di base animata dal basso.

Quanto più ciò avviene, tanto meglio per la Chiesa. Infatti, così, tante ricchezze storiche, esperienziali e originarie della Chiesa antica possono passare alla Chiesa del futuro e divenire possesso di vasti strati popolari. Si tratta di una cosa auspicabile, perché neppure la Chiesa del futuro, formata realmente da comunità di base il più possibile vive, può voler diventare una Chiesa di gruppi elitari, una Chiesa di un resto santo senza alcuna rilevanza sociale profana; al contrario, pur accogliendo con tranquillità il proprio futuro effettivo storico dalla provvidenza di Dio, essa ha sempre  il compito di essere e diventare (di nuovo) la Chiesa del maggior numero possibile di persone, la Chiesa radicata nella maniera più vasta possibile nella società profana, la Chiesa di popolo.

Con ciò non diciamo che, almeno nel caso ideale, la parrocchia e la comunità di base si identificano sempre. Anche una parrocchia in quanto istituzione ufficiale, che è o diventa una comunità viva di base, può avere sotto di sé o accanto a sé delle comunità vive di base strutturate in modo diverso, che per la loro origine, finalità e carisma non si risolvono semplicemente in una parrocchia, per quanto questa sia sorretta, dal basso, dalla fede viva e dall’amore dei cristiani. Non è naturalmente questo il luogo per parlare delle forme giuridiche e concretamente praticabili di una coesistenza positiva tra comunità vive di base, che perseguono un fine particolare, da un lato, e parrocchie che sono a loro volta comunità vive di base dall’altro. Al riguardo diciamo solo che ove una simile comunità di base, dotata di una finalità particolare, si sviluppa in modo da integrare più o meno in sé tutta la vita cristiana dei suoi membri, il loro culto, la loro preghiera, il loro amore, la loro responsabilità sociale, la loro predicazione evangelica, ecc., là essa dovrebbe concepirsi come una parrocchia e venire riconosciuta come tale dalla grande Chiesa; a meno che non si sia sviluppata in modo tale da non potere più essere riconosciuta come legittima sotto il profilo ecclesiologico, essendo diventata un corpo cancrenoso nell’organismo complessivo della Chiesa. In pratica ciò significa che le comunità di base, nel senso usuale dell’espressione, non dovrebbero tendere a sostituirsi alle parrocchie, a meno che non vengano riconosciute a loro volta come parrocchie dalla grande Chiesa (detto nel vecchio stile: a meno che non diventino parrocchie personali).

Le comunità di base, così come vanno oggi formandosi di fatto, sono ancora in fase di esperimento. Ciò significa varie cose: anzitutto che sono pensabili, in linea di principio, le forme più diverse di comunità di base. Tali forme, la loro legittimità e la loro diversità non possono essere dedotte semplicemente da un’ecclesiologia teoretica, ma sono il frutto dell’indeducibilità della storia in generale e della storia della società profana, che costituisce il presupposto per le comunità di base e le loro forme concrete.

Da qui viene se simili comunità di base sono un esperimento nel senso stretto del termine. Vale a dire: esse non sono legittimate o sconfessate dalla teoria apriorica ecclesiologica, bensì solo- (pur con tutta la legittimità dell’ecclesiologia teoretica e tutta la fedeltà alla storia della Chiesa) dall’esperienza e dal futuro. Ciò significa che le comunità concrete di base (intese qui come distinte dalle comunità istituzionalizzate) costituiscono sempre un rischio pieno di speranza, ma anche che le comunità vive di base, una volta accertato che il loro rischio si è effettivamente risolto in maniera felice, possono essere accettate o perlomeno tollerate dalla Chiesa ufficiale..

Esse hanno ovviamente il dovere di mantenere l’unità con la grande Chiesa episcopale; di conseguenza devono costituirsi come membra di questa, anche se ciò esige alcuni “sacrifici” e rinunce dal loro punto di vista. Devono osservare le leggi legittime e concretamente osservabili della grande Chiesa; pur con tutti i tratti distintivi anche teologici che possono avere, non debbono sviluppare una propria teologia settaria e eretica; devono mantenersi aperte con senso autocritico alla vita, alla verità e all’amore della Chiesa universale e fornire a questo scopo il loro contributo concreto, superando i propri confini; non devono spingere la loro caratteristica distintiva a un estremo tale da lasciar semplicemente cadere o atrofizzare determinate funzioni necessarie e sottoposte alla vigilanza della Chiesa episcopale per quanto riguarda il loro esercizio. D’altra parte tutto questo non esclude che una comunità di base abbia una sua natura particolare pronunciata, si dia una certa struttura e (se così vogliamo dire) costituzione, esiga realmente dai membri che vi aderiscono in libertà qualcosa che va oltre quanto un membro di una comunità parrocchiale è tenuto a fare nei confronti di questa. La “costituzione” delle comunità di base può essere notevolmente diversa nei singoli casi; la funzione portante e il “diritto di cogestione” dei laici possono risultarvi notevolmente più estesi di quanto era finora avvenuto, anche se bisogna riconoscere che, dietro certe strutture ufficiali apparentemente molto “autoritarie spessissimo i laici potevano intervenire in larga misura nelle parrocchie, con la conseguenza che non c’è alcun motivo di non riconoscere anche sul piano giuridico quel che spesso già esiste di fatto.

Karl Rahner

In Sollecitudine per la chiesa, ed.Paoline 1982. pp. 319-24

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