Koinonia Ottobre 2020


UNA RIFORMA CHE PASSA ATTRAVERSO LA LITURGIA*

 

La relazione tra riforma liturgica e riforma della chiesa*

 Del tutto evidente, inoltre, è la correlazione tra ripensamento delle forme rituali, e le forme ecclesiali e ministeriali da rinnovare. Una interpretazione “tridentina” dell’eucaristia torna sempre comoda quando non si vuole cambiare di una virgola l’assetto del ministero ordinato e delle forme disciplinari della vita ecclesiale (come, ad es. la parrocchia). E’ sufficiente disinserire il valore originariamente comunitario della eucaristia, e degradarla ad “azione del prete”, per ottenere, in un sol colpo, un duplice risultato. Nulla cambia nel ministero del prete e nulla cambia nella organizzazione della parrocchia. Ma il presupposto di questa immobilità è la sordità nei confronti del Concilio e della Riforma liturgica. Questi eventi, la cui eredità sta a tutti valorizzare, hanno cambiato profondamente le cose, poiché hanno riletto la figura del prete, aiutandoci a capire la differenza tra “colui che celebra” e “colui che presiede”. Questa differenza è ancora piuttosto sconosciuta.

 

Celebrare e presiedere

 Qualcuno mi ha detto: “ma dicendo così tu neghi che la messa sia valida anche se la celebra solo il prete”. E io rispondo: “No. Io non nego affatto che la messa celebrata da un prete da solo sia valida. Ma so due cose. Che la sua validità non impedisce che sia “illecita”, perché la normativa sulla messa prevede imperativamente che ci sia almeno un altro ministrante oltre al prete. E questo è già un segnale importante. Ma poi vi è un secondo punto, ancora più importante. La messa celebrata da un prete solo è certo valida, ma è “soltanto valida”. Se il suo valore viene pensato come l’insieme di tutte le parole e di tutti i linguaggi, in una comunità ricca e articolata, una messa valida è solo valida. Le manca tutta quella gratuità di cui ha bisogno in modo vitale, per essere pienamente se stessa. Per questo è giusto parlare del prete come colui che “presiede” un atto nel quale è tutta la Chiesa a “celebrare”. Ed è tutta la Chiesa che è chiamata, in relazione al pane e vino come corpo e sangue di Cristo, a diventare essa stessa quel corpo e quel sangue. L’atto non si chiude mai nel circolo ristretto e vizioso tra prete ed elementi, mediato dalla “formula”, ma nel circolo ampio e virtuoso che si istituisce tra comunità, ministri, presidenza, liturgia della parola e liturgia eucaristica.

 

L’equivoco sulla liturgia e il blocco della riforma della chiesa

 E’ evidente che, se tutto questo non è chiaro, se ci sono ancora preti, e persino alcuni Vescovi e Cardinali, che hanno paura del Concilio e della Riforma Liturgica, e continuano a parlare in modo unilaterale del “potere del prete di rendere presente il Signore sotto le specie del pane e del vino” – come se fosse un atto solitario e una peculiarità personale e non ecclesiale e comunitaria -  allora non ci sono ragioni né per promuovere la riforma della liturgia, né per trovarne riscontro nella riforma della Chiesa. Una ministerialità bloccata e isterilita dipende da una visione della onnipotenza del prete, che tutto l’essenziale lo fa da solo, diremmo “di per sé”. E la parrocchia – o la diocesi – viene pensata a immagine e somiglianza di questo modello di sacramento e di prete. D’altra parte tutti sanno bene che, se si assume davvero fino in fondo la Chiesa eucaristica che il Concilio e la Riforma Liturgica hanno pur sempre disegnato, allora occorre mettere mano ad un grande ripensamento delle forme ministeriali e delle istituzioni in cui queste forme si esprimono. L’equivoco che grava su tutta questa materia è, in fin dei conti, un equivoco liturgico. Finché avremo, sia pure a certe condizioni, una duplice forma del rito romano, potremo sempre pensare che la Riforma della liturgia, come quella della Chiesa, sia soltanto un optional. E così potremo pensare che la vita ecclesiale possa garantirsi una sostanziale continuità senza alcuna fatica, per “pura amministrazione”. E potremmo persino illuderci di annunciare la “conversione missionaria della parrocchia” citando soltanto articoli del Codice di Diritto Canonico. E che il discorso sui “ministri” possa limitarsi a “colui che presiede”. Ma abbiamo bisogno di presidenze che aiutino a comprendere che la Chiesa ha bisogno di ministerialità articolata, maschile e femminile, della quale non possiamo più privarci, non solo nelle foreste della Amazzonia, ma anche nelle strade di Los Angeles, di Madrid o di Napoli!

 

Tuttavia, se ascoltiamo le parole del Concilio, così come papa Francesco ha saputo tradurle in EG, troviamo un monito che è una sorta di “sintesi”: “Ora non ci serve una semplice amministrazione” (EG 25). Per garantirci un futuro di “semplice amministrazione” – e vincere così la paura di una liturgia che ha la Chiesa intera come soggetto – è sufficiente promuovere – anche inconsapevolmente – una definizione tridentina di eucaristia. Che solo il prete – e il prete solo – può “celebrare” e “amministrare” la liturgia. In questo immaginario – così facile, comodo e quasi scontato – sta il difetto da superare, ormai da 60 anni. La pandemia lo ha messo in risalto, quasi ce lo ha sbattuto in faccia. Ora lo conosciamo meglio e possiamo superarlo con più limpida determinazione. Per poter ancora dire “credo” in modo autentico bisogna far diventare il clericalismo un oggetto su cui non solo dire, ma gridare “rinuncio”! Non è facile. Ma non ci sono alternative.

 

Andrea Grillo

 

* È la parte conclusiva di una conferenza tenuta on line da Andrea Grillo su “Ministeri, liturgia, eucaristia. Opportunità al di là del clericalismo”. È riportata nel suo blog “Come se non…”

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