Koinonia Settembre 2020


PER UNA RIFLESSIONE CRITICA SULLA ESPERIENZA DI BASE

 

Si è polemizzato a lungo e giustamente contro la prassi scadente della  “amministrazione dei sacramenti” fatta in serie; dietro di essa sembra affacciarsi quella concezione magica del rito che, confiscandolo a favore della casta sacerdotale, vi cancella a un tempo le tracce della libertà di Dio e della libera risposta dell'uomo. In reazione a questa tendenza si parla oggi volentieri di «riappropriazione» del sacramento. Termine non particolarmente felice, che solo il contesto polemico dell'uso può giustificare. Bisognerebbe comunque aver ben chiaro che il sacramento è Dio che si «appropria» di noi, che esprime ed esercita l'iniziativa del suo amore, la signoria del suo disegno sulla nostra esistenza.

Il carattere istituzionale del sacramento, con la sua oggettività, significa appunto questa trascendenza attiva di Dio, questa sua irriducibilità al mondo della nostra soggettività; significa che il carisma non possiamo crearcelo da noi, non ci è disponibile come il mondo degli oggetti, ma ci può essere soltanto donato. Ho detto “significa”, non “garantisce”. Infatti, come abbiamo visto, l'oggettività stessa del sacramento minaccia costantemente di ridurlo a oggetto, capovolgendone integralmente il senso. Si tratta allora. di ricuperare, altrettanto costantemente, questo senso; si tratta di leggere ciò che il sacramento vuole essere: l'extra nos di Dio, la creatività della sua parola che non si lascia catturare dai nostri desideri.

Se colleghiamo questa realtà del sacramento all'istanza trasformatrice dei- movimenti di base, possiamo specificare il discorso in due momenti. Anzitutto, come ricordava Alves, la comunità dev'essere consapevole che la libertà non è un frutto che spunti spontaneamente sul terreno della storia. Noi abbiamo paura della libertà; soltanto un Dio che ci incalzi e ci inquieti può strapparci ai nostri riposi, alle nostre finte libertà (individuali e comunitarie), ai conformismi ammantati di novità. Qui le posizioni paradossalmente si rovesciano: è l'istituzione che sollecita il carisma, è il segno sacramentale che mette in movimento la capacità d'iniziativa contro la cristallizzazione delle conquiste già raggiunte.     

Ma, oltre ad attivare la volontà, il sacramento assicura che i suoi sforzi non sono vani, che davanti ad essi è innalzata la promessa. Il sacramento trasforma l'utopia in escatologia, e quindi il desiderio in speranza teologale; afferma che la giustizia non è un'illusione, che il bene non è un sogno impossibile. E non si tratta soltanto della speranza definitiva, nella risurrezione; ma della possibilità di realizzare giorno per giorno una convivenza più umana (la si chiami prefigurazione del Regno, o “elementi di socialismo”, o comunque si voglia). Le frustrazioni, i ritorni al privato, le impazienze che si mutano in delusione, sono il sintomo - tra l'altro - di una scarsa fede nella presenza del Dio liberatore, di cui il sacramento è testimonio.

 

Armido Rizzi

AAVV. Esperienze di base, Borla  1977, pp.81-83

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