Koinonia Agosto 2020


 

celebrazione eucaristica e missione

 

L’eucarestia domenicale che rischia oggi di occupare tutto lo spazio nella coscienza dei fedeli (vedi la nozione di “pratica religiosa”, determinante nelle statistiche religiose) non si colloca allo stesso livello del battesimo. Il Nuovo Testamento parla di “cena del Signore” (1Cor 11,20), offerta “il giorno del Signore” (Ap 1,10: dies dominica = domenica) o “il primo giorno della settimana” (At 20,7) e collega in tal modo questa celebrazione alla Risurrezione di Gesù Cristo, essendo l’annuncio della sua morte, fin da subito (1Cor 11,26), attraversato dall’intensa attesa della sua venuta.

C’è la tentazione di lasciare che questo gesto inaudito si riduca a un fenomeno sociale di ritrovarsi insieme, cosa di cui ogni gruppo o corpo sociale ha bisogno per esistere. In una società che soffre per la mancanza di celebrazioni del senso dell’esistenza, la Chiesa effettivamente svolge un ruolo di incontro e socializzazione – cosa che si può osservare in particolare durante i periodi di vacanza, soprattutto estive, nel mondo contadino. Ritroviamo qui quello che riguarda il rapporto delle nostre comunità coi loro simpatizzanti - “chiunque” e praticanti stagionali – e dell’occasione di poter così fare risuonare il Vangelo in uno spazio ospitante più largo.

Ma come mantenere il legame intrinseco fra la celebrazione eucaristica e la missione, pertanto chiaramente espresso dalla parola “messa” che si riferisce alla fine della celebrazione: “Ite, missa est” = Andate, siete inviati. Si tratta infatti di un doppio movimento, di sistole e di diastole, di riunione e di dispersione che caratterizza il ritmo eucaristico della comunità cristiana: “Vertice  e sorgente” dice la costituzione del concilio Vaticano II sulla liturgia (Sacrosantum concilium, 10). Per rendere più reale questa dinamica bisogna senza dubbio mettere in maggiore evidenza il legame tra i nostri pasti quotidiani come momenti e luoghi di nutrimento e d’incontro e il “pasto eucaristico” della comunità, riunita intorno a una stessa tavola – l’unica Tavola della Parola di Dio e del Corpo di Cristo (DV,21) - e non davanti all’altare di un tempio; questo secondo la configurazione dei racconti evangelici, in particolare di Luca, che collocano l’ultima cena dopo tante altre, pur conservandole il suo significato assolutamente unico. “Il pane e il vino, frutto della terra e del lavoro degli uomini”, allo stesso modo dei più poveri - “quando dai una festa, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi “ (Lc 14, 13 seg.; cf. Giac.2, 2-7) - : questo è ciò che dovrebbe essere portato alla celebrazione eucaristica e diventare nutrimento per molti altri, quando i partecipanti si ritroveranno di nuovo a casa loro, nel loro ambiente quotidiano.

Questo legame fra la vita quotidiana e la cena del Signore trova il suo pieno significato, grazie all’annuncio del Vangelo, pane di vita, preso sulla Tavola della Parola: “Poiché tutte le volte che mangiate questo pane e bevete a questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Cor 11,26) scrive Paolo, riassumendo così il gesto eucaristico. Infatti è la morte di Gesù Cristo, quale lui stesso l’ha prospettata “nel momento di essere consegnato e di entrare liberamente nella sua passione” (Preghiera eucaristica 2) la sorgente del “tutto è grazia”  e del “carisma” che ognuno di coloro che partecipano a questo gesto è e ha …..aspettando la venuta di Cristo. Questa attesa non riguarda unicamente il suo ritorno come Figlio dell’uomo alla fine dei tempi, ma la sua venuta all’improvviso: nella celebrazione stessa, con la comunione al suo corpo e al suo sangue che costituisce il suo corpo “ecclesiale” (che noi contempliamo in silenzio dopo la comunione), sulle strade della vita di tutti i giorni, nei vari incontri, con le loro “situazioni d’apertura”.

Questa vigilanza riguardo alla sua presenza (parousia), nello stesso tempo attesa e sempre inattesa e sorprendente, è il cuore dell’affettività missionaria che si forma progressivamente in seno alle nostre eucarestie.

Si costruisce dunque qui il punto di giunzione fra l’accesso all’intimità di Dio e l’interesse gratuito per la vita degli altri, secondo la forma e la misura che ciascuno gli dà...Nella preghiera eucaristica – la grande azione di grazia della comunità riunita – la comunità entra nel dono di sé totale di Gesù Cristo al Padre e agli uomini: la sola “cosa” che egli lascia ai posteri, dono che rende credibile il suo annuncio dell’Evangelo di Dio e ce ne fa partecipi: “Avevamo per voi un affetto tale da essere pronti a donarvi non solo il Vangelo di Dio, ma anche la nostra stessa vita, tanto ci eravate divenuti cari” (1 Tes 2,8), confessa l’apostolo Paolo  alla comunità di Tessalonica, confessione che ogni discepolo-missionario, ciascuno secondo il proprio carisma, può fare sua nell’eucarestia.Possiamo cogliere l’intimo legame fra quella che abbiamo chiamato l’erosione dello spirito missionario e quest’“altra” erosione, quella dei sacramentaria.  Restaurare la dinamica dei nostri sacramenti   passa  attraverso la riconsiderazione dei rapporti fra il loro significato propriamente detto, da riscoprire continuamente con una specifica catechesi, e il loro inserimento in una realtà sociale che cerca continuamente di strumentalizzarli, ma che può anche trarre beneficio dalla loro prospettiva evangelica e messianica, prospettiva “utopica” che allunga i suoi raggi al di là della sacramentalità propriamente detta. Riconosciamolo: è una diagnosi difficile da fare da parte dei responsabili pastorali e delle loro comunità.

In primo luogo abbiamo la spinosa questione del ritmo della vita dei cristiani e di altri simpatizzanti le cui priorità, nella vita quotidiana, sono spesso a detrimento della “manna” che offre la celebrazione domenicale. Ritroviamo questo stesso problema sull’altro versante della sacramentalità cristiana, chiamata più che altro  ad adeguarsi alle fasi critiche dell’esistenza umana.

 

 

Christoph Theobald

in  Urgences pastorales, Bayard 2017, pp.355.58

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