Koinonia Aprile-Luglio 2020


PIÙ CHE MAI “MISTERO BOSE”

 

La Lettera agli amici  “Non siamo migliori” della Comunità di  Bose (del 19 giugno) non toglie nulla al significato profetico della sua storia, ma non aggiunge nulla che aiuti a fare luce sul “mistero Bose”, ancor più impenetrabile sotto parole di spiegazione in perfetto “ecclesialese”. Si parla di scandalo suscitato e richiesta di perdono, di sofferenza profonda che viene da lontano e che permane. Ma quando ci si aspetterebbe di sapere di che si tratta realmente, ci ritroviamo davanti alla formula di ammortizzazione ormai nota, con la quale si fa riferimento a “esercizio dell’autorità, gestione del governo e clima fraterno”, quindi a problemi di ordinaria amministrazione in ogni comunità. Ma poi non si può evitare di dire che si tratta di “unità seriamente compromessa”: “Unità che i visitatori avevano constatato essere seriamente compromessa, vedendo la profonda sofferenza quotidiana, lo sconforto e la demotivazione suscitati in molti fratelli e sorelle”. Suscitati da chi e per quali motivi?

È questo dunque, e non l’altro ordine di problemi, che giustificherebbe un intervento dall’alto con dispiegamento di forze massiccio e con mobilitazione di Stati generali, qualcosa di inspiegabile (il vero mistero!) presentato peraltro come “segno di attenzione” e motivo di gratitudine. Tutto per venire a sapere alla fine, che in fondo non è successo nulla, che ciascuno può continuare tranquillamente a fare la propria vita, e che non c’è stata nessuna espulsione o cacciata, ma si è trattato solo di una “richiesta a fr. Enzo e ad altri tre membri di allontanarsi dalla Comunità e dalle Fraternità, per vivere per un certo tempo ciascuno in un luogo diverso, non necessariamente monastico”. Tradotto: stare alla larga dalle Fraternità per vivere in luoghi preferibilmente non “monastici”.

 

Ed è forse questo l’unico elemento nuovo offerto dalla lettera, ma non è di poco conto. Il groviglio diventa ancora più inestricabile! Le disposizioni adottate nei confronti dei quattro “non riguardano assolutamente questioni di ortodossia dottrinale: non vi è per loro nessun divieto di esercitare il ministero monastico di ascolto, di accompagnamento, di predicazione, di studio, di insegnamento, di pubblicazione, di ricerca biblica, teologica, patristica, spirituale…”. Ma essi sono comunque “vitandi” o da tenere a distanza. Possono tranquillamente continuare ad “esercitare il ministero monastico” (ci mancherebbe altro!), senza però far parte di un “monastero” canonicamente eretto. A parte il fatto che sarebbe proprio questo il vero segno dei tempi da cogliere in tutta la vicenda, come mai siamo così precisi nel dire quello che è concesso e che rimane, mentre si continua ad essere del tutto reticenti sulle vere ragioni dell’intervento e dei provvedimenti?

 

Si cerca insomma di indorare o addolcire la pillola comunque amara, entrando in contraddizione con se stessi: subendo di fatto un commissariamento altamente clericale (opportunamente negato) per una esperienza a forte impronta laicale; risolvendo tutto in chiave spiritualistica e rinunciando a fare “verità nella carità”. Tutto questo può andar bene per i diretti interessati e può bastare a rassicurare il vasto popolo di Bose. Ma in quanto Popolo di Dio ci è impedito di vederci chiaro e di far esplodere il problema ecclesiale di fondo che certamente il “mistero Bose” nasconde e che perciò non serve a nessuno!

 

ABS

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