Koinonia Marzo 2020
PROPOSTE DIDATTICHE (II)
Ai
primi
del Cinquecento fra Tommaso Mariani da Firenze si stabilì con una
comunità francescana nei luoghi di Camporella in Valdelsa, dove
erano vivi la fama e il culto di un eremita, Vivaldo, morto forse
nel 1321, di cui non ci sono notizie storicamente fondate, ma che
dalla voce popolare era già ritenuto santo. Era un eremita, ma i
francescani lo presentarono come un francescano e se lo presero
nelle loro schiere. Qui potete vedere una pala d’altare di
Raffaellino de’ Carli, Santi Francesco e Vivaldo, dipinta
nel 1516, che raffigura i due santi inginocchiati davanti alla
Madonna con il Bambino racchiusa in una mandorla; in secondo piano
altri due santi che hanno un esplicito riferimento alla vita
eremitica e alla Terra Santa, San Giovanni Battista e San
Girolamo. La pala si trova nella Chiesa di San Vivaldo (fig. 1).
Fig. 1 - Raffaellino de’ Carli, Santi Francesco e Vivaldo, Pala d’altare, 1516, Chiesa di San Vivaldo
Nel bosco, che era già fin dal Duecento rifugio di eremiti e meta di pellegrinaggio, i francescani trovarono già costruita una bella chiesa quattrocentesca, sorta dove un tempo c’era stata la chiesetta di Santa Maria in Camporena. E provvidero a restaurarla e a ingrandire il convento.
Chi arriva per la prima volta a San Vivaldo vede nel bosco tante piccole cappelle (ora sono diciassette, prima erano trentaquattro). Di che cosa si tratta? A fra Tommaso da Firenze venne in mente di costruire in questi boschi una copia di Gerusalemme, per offrire la possibilità di vedere i luoghi santi a chi non ci poteva andare. Per ottenere l’immagine di una nuova Gerusalemme furono date alle cappelle forme riprese dai modelli originali, in formato ridotto. Inoltre i rilievi e la planimetria seguivano da vicino la struttura della Gerusalemme dell’epoca (c’era, un tempo, anche la Valle di Giosafat, ora perduta).
Un progetto analogo era stato realizzato qualche anno prima a Varallo Sesia, in Piemonte, da un altro francescano, padre Bernardino Caimi, che era stato custode del Santo Sepolcro a Gerusalemme. E forse i due si erano conosciuti; e forse a Gerusalemme era stato anche fra Mariano.
I francescani, che erano custodi del S. Sepolcro ed erano legati a una speciale venerazione per la Terra Santa e particolarmente per Gerusalemme, erano caratterizzati da una religiosità affettuosa, che favoriva l’espressione calda ed emotiva della fede. In Toscana e anche in Firenze, come dice F. Cardini, “avevano incoraggiato la trasformazione delle strade e delle piazze in strade e piazze di Gerusalemme”1 nelle sacre rappresentazioni: la zona di Santa Croce, nella settimana santa, diventava, durante le processioni e le sacre rappresentazioni, una specie di “Via dolorosa”. Nel bosco di Camporena fra Tommaso volle che il pellegrino ritrovasse Gerusalemme. Per la Cappella del S. Sepolcro fu tenuto attentamente presente l’originale dell’epoca crociata, che qui (fig. 2) vediamo raffigurato in una xilografia del 1486 che riproduce la cappella come fu ricostruita dai Crociati. Ma (siamo nell’epoca del Rinascimento) gli architetti tentarono addirittura una ricostruzione storica, riproponendo la cappella del S. Sepolcro come pensavano che potesse essere nell’epoca di Costantino, e la costruirono secondo i canoni dell’architettura quattrocentesca, che appunto si ispirava all’antichità classica o alla tarda antichità.
Fig. 2 - Edicola del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dalla xilografia pubblicata da B. von Breydenbach, 1483-86
Cappella del S. Sepolcro (esterno)
Vediamo nella figura 3 che la struttura essenziale del S. Sepolcro è simile all’immagine che ne dà la xilografia precedentemente esaminata; però senza quelle colonnine tortili che indubbiamente erano dell’epoca crociata. All’esterno dell’abside c’è un possibile riferimento alla cappella costantiniana riprodotta nel mosaico di S. Apollinare Nuovo.
Per la fedeltà e la precisione nell’imitazione del modello vediamo che l’originalità di San Vivaldo è quella di aver mantenuto il carattere di “Gerusalemme” e di non aver assunto nel tempo quegli aspetti spettacolari, scenografici, barocchi che avranno poi altri sacri monti.
Possiamo notare un’imitazione attenta del S. Sepolcro di Gerusalemme non solo nell’architettura esterna ma anche all’interno della cappella di San Vivaldo, dove per arrivare al sepolcro di Cristo ci si deve curvare, passando per un cunicolo. E qui c’è una novità: troviamo non il sepolcro vuoto ma il corpo di Cristo, che produce un effetto di sorpresa e un impatto emotivo forte, come se noi, solo noi, fossimo ammessi a contemplare il mistero che precede la Resurrezione.
Per il tempo limitato non seguirò la successione delle cappelle, ma ne illustrerò per rapide sintesi i tratti più significativi e suscettibili di un’’utilizzazione didattica.
Fig.3 - Cappella del Santo Sepolcro , San Vivaldo.
Ultima cena (Sala del Cenacolo)
All’interno
delle
cappelle sono riprodotti in terracotta, secondo il modello
dei Della Robbia, scene della Passione, Morte e Resurrezione
di Cristo, nonché la Pentecoste. Altri episodi furono
aggiunti successivamente. In questa Cappella del Cenacolo
(un’aula rettangolare a due navate divise da colonne) sono
raffigurati gli eventi del giovedì santo: la lavanda dei
piedi e l’ultima cena, I volti sono espressivi, l’esecuzione
è realistica, attenta e un po’ naïve: nell’Ultima
cena si vede la tavola rotonda, l’apparecchiatura, il
pane in forma di ostia. Di spalle c’è Giuda, con la borsa
dei denari, secondo una raffigurazione frequente nella
pittura coeva (fig. 4).
Fig.4 – Ultima Cena, San Vivaldo, Sala del Cenacolo.
Passando dall’interno alla loggetta, si vede il bosco con gli alberi di alto fusto e la valle, dove si trovavano la Valle di Giosafat, le cappelle del Getsemani e la Tomba della Madonna, ora perduti. È importante, ed è stato studiato attentamente da chi ha progettato il “sacro monte”, l’inserimento delle cappelle, col loro contenuto tematico specifico, nel paesaggio naturale, per favorire la meditazione, la contemplazione e la preghiera.
Si entra nell’altro vano della cappella, dove c’è la scena della Pentecoste, mentre al piano sottostante è rappresentata l’Incredulità di San Tommaso.
La Pentecoste (Sala del Cenacolo)
Lo Spirito Santo scende sotto forma di lingue di fuoco sopra la Madonna e gli apostoli che la circondano. La scena è armoniosa, la fattura è molto fine, anche se manca la profondità prospettica, forse per lo spazio piccolo e la cornice arrotondata in cui la scena è racchiusa.
Flagellazione. Incoronazione di spine (Casa di Pilato)
All’interno della casa di Pilato ci sono le due scene di Gesù flagellato e coronato di spine. Nella Flagellazione la composizione si articola sulla figura di Cristo che è al centro, mentre ai lati gli aguzzini, che tengono in mano i flagelli con corde vere aggiunte al rilievo, suscitano con la crudeltà e la freddezza dell’espressione un forte impatto emotivo. Anche nell’Incoronazione di spine una grande attenzione è riservata alla caratterizzazione fisiognomica e ai diversi ruoli sociali dei torturatori (nell’abbigliamento, lineamenti del volto, gesti). Come in altre sculture, possiamo vedere che, alla ricerca della massima esplosività e dell’effetto, i personaggi nobili (qui Cristo, altrove la Madonna, gli apostoli, le pie donne) rivelano tratti gentili; gli altri (qui gli aguzzini, in altre scene la folla, i soldati, i persecutori) sono connotati in senso realistico e a volte sono deformi.
Ecce Homo (esterno della Casa di Pilato)
All’esterno
della
Casa di Pilato, come da una finestra, Gesù è presentato
alla folla da Pilato (fig. 5). In questa scena appare
subito in evidenza la particolare impostazione prospettica
che colloca Gesù in primo piano, quasi oltre il limite
dello spazio dell’edicola. Anche qui possiamo osservare la
forte intensità espressiva dei personaggi e la
raffinatezza della rappresentazione, cui contribuisce un
affresco che, sullo sfondo, raffigura una fanciulla che
versa l’acqua con cui Pilato si lava le mani.
Fig.5 – Ecce Homo, San Vivaldo, esterno della Casa di Pilato
Crucifige (Cappella dell’Andata al Calvario)
Gesù
e la gente che assiste sono in due edicole esterne di
due cappelle diverse (Gesù nell’edicola della Casa di
Pilato e la gente nella Cappella dell’Andata al
Calvario). Nella scena ci sono gli amici di Gesù,
bloccati in un silenzio desolato; la folla ostile,
descritta con realismo, che apre la bocca in un urlo. Al
centro il sommo sacerdote, fermo e autoritario (fig. 6).
Tutti guardano Gesù e nel mezzo passa il visitatore.
E il visitatore, che percorre il sentiero, si trova come immerso in uno spazio teatrale, in cui partecipa alla scena e si può immedesimare nei personaggi. Anche lui, che si trova nel mezzo, può darsi che non abbia deciso da che parte stare: è in grado di seguire Geù, di testimoniare? Oppure, come Pilato, se ne lava le mani?
L’effetto è voluto, per aiutare il cammino penitenziale. C’è indubbiamente una certa teatralità; però San Vivaldo rimase fondamentalmente un luogo di pellegrinaggio e non un palcoscenico teatrale, a differenza di altre riproduzioni di Gerusalemme in Europa.
Spasimo della Madonna (Cappella della Madonna dello Spasimo)
A
Gerusalemme, nella Via Dolorosa, alla fine del
Quattrocento, la cappella della Madonna (detta anche
lì dello Spasimo) era in rovina; i francescani l’hanno
ricostruita a San Vivaldo. All’interno c’è una delle
sculture più belle, per il pathos che comunica, per
l’armonia compositiva e l’eleganza raffinata. Da
notare l’abbandono di Maria nello svenimento e il suo
volto spirituale; il dolore forte ma contenuto degli
amici (San Giovanni piange); l’attenzione dell’autore
nel riprodurre le piegature delle vesti, i veli e la
qualità dei tessuti. È una rappresentazione efficace per
muovere l’affetto ed è conforme alla tradizione
francescana, che tende a valorizzare i sentimenti nel
percorso della fede (fig. 7).
Fig.7 – Spasimo della Madonna, San Vivaldo, Cappella della Madonna dello Spasimo
La cappella stessa, col suo portico, è notevole per
eleganza e, a differenza delle altre cappelle di San
Vivaldo, è un vero e proprio oratorio. Costituisce una
testimonianza significativa del culto mariano, che si
lega al ricordo della Passione. La cappella della
Madonna è ricordata nel Breve di Leone X del 1516, con
cui San Vivaldo viene considerato luogo giubilare.
Andata al Calvario (Cappella dell’Andata al Calvario)
Vi è raffigurata una delle scene più ampie, più affollate di personaggi, che occupa un’intera parete: la folla di personaggi, come una processione angosciosa aperta dai ladroni in tunica bianca, va in un’unica direzione, accalcandosi; dopo i ladroni ci sono i soldati con le insegne, i curiosi; nel centro ci sono Gesù, con la tunica rossa, e il Cireneo, che lo aiuta a portare la croce; e poi ancora la folla, i curiosi, alcuni personaggi deformi e alla fine due cavalieri. Anche qui gli autori mostrano attenzione ai costumi, alle fisionomie e alla gestualità, in un contesto molto teatrale, che vuole suscitare il coinvolgimento emotivo di chi visita il luogo.
Crocifissione (Cappella del Calvario)
La
scena
può essere vista dall’interno della cappella oppure
dall’apertura in basso, dove c’è l’edicola dello Stabat
Mater, con il gruppo scultoreo della Madonna e
delle pie donne. Infatti nel pavimento c’è una
fenditura, restaurata male, che voleva ricordare il
terremoto al momento della morte di Gesù. Anche qui
c’è la stessa ricerca di effetto emotivo che abbiamo
visto a proposito dell’edicola dell’Ecce Homo: il
pellegrino viene coinvolto nel dramma di chi assiste
impotente alla crocifissione, partecipa, può vedere la
scena anche dal punto di vista di Maria, con gli occhi
di Maria. E c’è la crocifissione in tutta la sua
tragicità. I ladroni, contorti sulle loro croci, sono
stati eseguiti con un attento studio fisiognomico. Un
aspetto molto interessante di questa cappella è la
stretta integrazione tra pittura e scultura: infatti
la parete dietro alle sculture è interamente
affrescata, con raffinatezza, senso armonico della
composizione ed eleganza nella raffigurazione delle
figure umane e dei cavalli con le loro bardature (fig.
8).
Fig.8 – Crocifissione, San Vivaldo, Cappella del Calvario
Noli me tangere (Cappella del Noli me tangere)
Nel giardino di Giuseppe di Arimatea, intorno al sepolcro, si aggirava piangente la Maddalena. Gesù le apparve e lei lo scambiò per un giardiniere. Gesù le si rivelò e lei si gettò, colma di gioia, ai suoi piedi per trattenerlo. Si tratta di un gruppo scultoreo a tutto tondo, uno dei pochi presenti a San Vivaldo. Adesso la statua di Gesù non c’è più; è rimasta solo quella della Maddalena, che, rispetto ad altre scene in cui è rappresentata (ad esempio nella Cappella della Madonna dello Spasimo o nella Cena a casa di Simone Fariseo) qui è piuttosto fredda e convenzionale.
Si può concludere, perciò, che San Vivaldo è un luogo simulato per un pellegrinaggio vero. Gerusalemme è su un monte. Il luogo elevato, il monte è stato sempre considerato, in tutte le religioni, come un luogo di incontro con Dio. Anche la grande e misteriosa foresta favoriva il raccoglimento mistico. Le pratiche devozionali si conciliavano con questa tensione verso Dio, con la sacralità dell’ambiente.
La Gerusalemme di San Vivaldo ebbe immenso successo e, come si è visto, fu considerata luogo giubilare già da Leone X.
Gli
altri
“sacri monti” ebbero un’evoluzione in senso
scenografico, teatrale. Varallo, il più celebre dei
“sacri monti” in Italia, si allontanò dal progetto
iniziale di “Gerusalemme sostitutiva” per diventare
una storia spettacolare che cominciava dalla creazione
di Adamo ed Eva e attirava il visitatore-spettatore
con la magnificenza dei suoi “effetti speciali”. Nella
prima idea di padre Bernardino Caimi (forse intorno al
1486), di costruire a Varallo una nuova Gerusalemme,
la Crocifissione aveva un’importanza centrale;
e a questo tema fu dedicata una delle prime cappelle
costruite sulla cima del monte. L’attuale grandiosa
sistemazione (pitture, statue, addobbi, abbigliamento)
è di circa venti anni successiva e fu cominciata nel
1517 da Gaudenzio Ferrari (fig. 9).
Fig.9 – Crocifissione, opera diretta e in parte realizzata da Gaudenzio Ferrari (sec. XVI), Varallo, Sacro Monte, interno della Cappella della Crocifissione
Stucchi,
statue
di terracotta a grandezza naturale, con vestiti e
ornamenti veri, sbalordivano il visitatore con la
ricerca del “meraviglioso”, che si accentuò nelle
aggiunte del tardo Cinquecento e del Seicento, come
nella Creazione di Adamo ed Eva, in cui
l’attenzione è catturata dagli animali esotici e
domestici (quasi uno zoo) e l’aspetto religioso
finisce col passare in secondo piano (fig. 10).
Fig.10 – Creazione di Adamo ed Eva, Varallo, Sacro Monte, interno della Cappella del peccato originale. Le statue che raffigurano uomini sono di Giovanni Tabacchetti (sec. XVI), quelle che rappresentano animali sono di Michele Prestinari (sec. XVII)
I percorsi del Sacro Monte di Varallo non furono più quelli di Gerusalemme, ma diventarono tortuosi, sorprendenti. A Varallo, a Domodossola, a Orta, a Oropa, a Crea, a Varese (per restare all’Italia), in questi santuari e sacri monti che si ergevano come barriere di fronte alla Svizzera calvinista, un messaggio veniva implicitamente consegnato ai fedeli: “Seguite con devozione e con obbedienza i sentieri anche tortuosi che vi vengono assegnati: solo cosi raggiungerete la meta”.
Come conclusione di questo incontro si può dire che, per chi vive a Firenze, San Vivaldo può essere una meta ideale per una gita scolastica di un giorno, che avvenga al termine di un lavoro di preparazione fatto in classe. Anche in questo caso, come abbiamo visto per Santa Maria del Fiore, gli studenti si potranno trasformare in guide o potranno preparare una mostra fotografica; oppure, facendo un confronto con altri “sacri monti” o con altre forme di religiosità popolare, potranno preparare una ricerca.
Vi ringrazio e resto a disposizione per domande o richieste di chiarimenti. Nei limiti del tempo che è rimasto si potrebbe anche aprire un dibattito, in cui sarebbe interessante sentire qualche vostra esperienza e proposta.
Angela Crucitti D’Avanzo
(2. fine)
NOTE
1Fanco Cardini, La devozione a Gerusalemme in occidente e il “caso” sanvivaldino, pp.55-102, in La Gerusalemme di San Vivaldo e i sacri monti in Europa, Comune di Montaione, Pacini, 1989. La frase citata è a p.55.