Koinonia Marzo 2020


La predicazione del vangelo paolino a Corinto

 

Il libro degli Atti degli Apostoli ci ha lasciato questo resoconto nel c. 18. Paolo vi giunse dopo l’insuccesso patito ad Atene e vi incontrò Aquila e Priscilla appena arrivati da Roma, entrando come operaio nella loro bottega di cuoiai e ricevendone anche generosa ospitalità. Le sabatiche riunioni sinagogali della diaspora giudaica della città gli permettevano di parlare in pubblico cercando «di persuadere giudei e greci» (v. 4). Poco tempo dopo fu raggiunto dai collaboratori Sila e Timoteo (v. 5), che erano restati più a lungo a Berea, da cui egli era stato scacciato per iniziativa di giudei ostili (cf At 18,14). Poté così dedicarsi all’annuncio del vangelo a tempo pieno, ostacolato però dall’ostilità della diaspora giudaica cittadina. Allora trasferì la sede della sua predicazione in casa di un certo Giusto, «che onorava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga» (v. 7). Non gli mancò un discreto successo: Crispo, l’archisinagogo, «credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare» (v. 8).

L’autore degli Atti ci offre anche una preziosa notizia sulla durata della permanenza dell’apostolo a Corinto: «...si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio» (v. 11). Soprattutto il libro degli Atti, narrando la traduzione dell’apostolo davanti a Gallione per iniziativa della diaspora giudaica di Corinto, ci informa della simultanea presenza nella città dell’Istmo di Paolo e di Gallione, proconsole della provincia romana di Acaia. Siamo così in grado di determinare, con sufficiente esattezza, la data dell’evangelizzazione paolina di Corinto. Infatti, un’iscrizione frammentaria trovata a Delfi nel 1905 dice che Claudio, acclamato imperatore per la ventiseiesima volta, cioè con tutta probabilità nella primavera del 52, prese in esame il quesito del proconsole Gallione circa l’auspicabile ripopolamento di Delfi. Sembra che l’imperatore abbia scritto al successore di Gallione. Questi, d’altra parte, non aveva portato a termine, per ragioni di salute, l’anno di proconsolato dell’Acaia. Che questa fosse la durata della carica è testimoniato da Dione Cassio che ne fissa anche gli estremi: dall’inizio di luglio alla fine di giugno. In breve, Gallione dovette essere proconsole nell’anno 51-52; e in questo periodo, nella seconda metà del 51 o anche nei primi mesi del 52, Paolo gli fu condotto davanti. Quindi l’apostolo restò a Corinto negli anni 49-51, o anche 50-52, se è vero che la comparizione al tribunale di Gallione avvenne verso la fine della sua permanenza a Corinto, durata un anno e mezzo.

Infine, leggiamo nell’opera di Luca che Paolo, accompagnato dai fedeli Aquila e Priscilla, lasciò Corinto alla volta della Siria (v. 18). Altri elementi del quadro emergono dalle stesse lettere di Paolo alla chiesa corinzia. Anzitutto egli precisa la missione ricevuta da Cristo, che lo ha mandato «non a battezzare, ma a predicare il vangelo» (1 Cor 1,17)’. Dunque, a Corinto si è presentato nelle vesti non di un mistagogo, cioè di un iniziatore ai misteri cultuali, bensì di un `evangelista’. Certo, ha anche battezzato qualcuno, ma si è trattato di eccezioni (1 Cor 1,14-16). Con puntualità poi specifica il vangelo proclamato nella città dell’Istmo: si tratta dello stesso messaggio ricevuto dalla chiesa delle origini, in concreto dalla comunità di Antiochia di Siria: «Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto... Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1 Cor 15,1.3-5).

In particolare, egli ha accentuato, come oggetto del suo messaggio, la croce, simbolo di debolezza e impotenza e di squalificante infamia, ma proprio per questo `sacramento’ della manifestazione potente e sapiente di Dio risuscitatore del crocifisso. «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,23-24). Il suo messaggio è «la parola della croce» (1 Cor 1,18).

Più volte insiste sulla centralità di Cristo e della croce nel suo annuncio: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2,2). In 1 Cor 1,6 qualifica la sua parola evangelizzatrice «la testimonianza di Cristo». Insieme con Sila (o Silvano) e Timoteo, suoi collaboratori, ha predicato a Corinto «il figlio di Dio, Gesù Cristo», catalizzatore e realizzatore di tutte le promesse di salvezza dell’Antico Testamento (2 Cor 1,19-20).

In 1 Cor 3,10-11 e 4,15 ricorre a due plastiche immagini per determinare la sua azione nella capitale della provincia romana di Acaia. La prima: «Secondo la grazia di Dio che mi è statà data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento» alla costruzione della comunità cristiana di Corinto, definita poco dopo tempio dello Spirito: fondamento unico ed esclusivo, «che è Gesù Cristo». Ed ecco ora l’immagine del padre: «...perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo».

Non si pensi però che la riuscita della predicazione sia merito del predicatore. Paolo, in realtà, non ha fatto ricorso a «un discorso sapiente» (1 Cor 1,17); non si è presentato ai corinzi «con sublimità di parola o di sapienza» (1 Cor 2,1); ha basato la sua parola e il suo messaggio «non su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza» (1 Cor 2,4). Dunque, nessun affidamento sulle risorse umane del parlare e questo per una precisa intenzionalità: «Perché non venga resa vana la croce di Cristo» (1 Cor 1,17); «Perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1 Cor 2,5). Paolo è stato solo un ministro (diAkonos) di Dio, per mezzo del quale i corinzi sono giunti alla fede (1 Cor 3,5), un suo collaboratore (synergós) (1 Cor 3,9). Di fatto, la predicazione del vangelo a Corinto e l’adesione di fede dei corinzi sono stati un miracolo della grazia di Dio, incarnata nell’evento di Cristo crocifisso e nella sua attualizzazione per mezzo della parola dell’apostolo (cf 1Cor 1,26-31 e 2,1-5; 3,7).

Durante il suo soggiorno, comunque, non si è limitato a proclamare il vangelo e a suscitare la fede degli ascoltatori. Ha anche trasmesso tradizioni liturgiche protocristiane già consolidate, quali il battesimo (1Cor 1,13; 12,13) e la cena del Signore (1 Cor 11,23ss). Si è impegnato pure a insegnare un nuovo stile di vita coerente con l’adesione di fede, indicando `vie’ da percorrere (1Cor 4,17) e modi di comportamento (1Cor 11,2ss). E solo l’immaturità persistente dei corinzi gli ha impedito di introdurli nella sapienza divina, incentrata nel mistero della croce di Cristo e donata dallo Spirito operante in quanti si abbandonano alla sua azione interiore (1Cor 2,6-16). In breve, la parola cherigmatica era strettamente abbinata all’insegnamento catechistico.

 

Giuseppe Barbaglio

1-2Corinzi, Queriniana 1989,pp.14-17

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