Koinonia Febbraio 2020


FRATERNITÀ E FRATELLANZA:DUE TERMINI DA RISCOPRIRE (I)

 

Introduzione

Giovedì 30 gennaio a Firenze, presso la Sala Teatina in Via De’ Pescioni 3, si è tenuto un incontro dal titolo Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Sulle orme di Abu Dhabi nel segno dell’Amicizia tra cristiani e musulmani, allo scopo, come si legge nella locandina, di “porre in luce la condivisione del Documento di Abu Dhabi tra componenti cristiane e islamica, con il desiderio di dare vita a un percorso verso un rapporto più strutturato tra le due realtà religiose, per un’Amicizia islamico-cristiana a Firenze”.
Il Documento di Abu Dhabi è stato firmato congiuntamente da Papa Francesco e dal grande imam A
?mad Mu?ammad A?mad al-?ayyib di Al-Azhar nell’ambito della Global conference of human fraternity, una conferenza interreligiosa internazionale tenutasi ad Abu-Dhabi, negli Emirati arabi uniti, nel febbraio del 2019, organizzata dal Consiglio musulmano degli anziani nell’ambito dell’Anno internazionale della Moderazione, con la partecipazione di autorità religiose da tutto il mondo, fra cui il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) Olav Fykse Tveit. L’incipit del Documento, riportato nella locandina, afferma: “La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia -, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere”. Il Documento è stato approfondito in ambito cristiano a maggio 2019 in occasione della conferenza “Promuovere la pace insieme”, durante la quale è stato ufficialmente lanciato anche il Documento “Educazione per la pace in un mondo multi-religioso: una prospettiva cristiana”, preparato congiuntamente dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC).

Anche nel titolo della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2020, “Ci trattarono con gentilezza”, rifacendosi all’episodio narrato nel capitolo 28 degli Atti degli Apostoli in cui viene narrata l’accoglienza da parte degli abitanti dell’isola di Malta ai sopravvissuti del naufragio della nave che trasportava i prigionieri,  tra cui l’apostolo Paolo, a Roma, riecheggia il tema della fraternità declinata come accoglienza verso questi naufraghi sconosciuti e come esempio cui conformarsi per la reciproca accoglienza tra cristiani appartenenti alle diverse confessioni  e tradizioni.

Dunque è con queste premesse che mi avvio a formulare alcune considerazioni sul tema della fratellanza e della fraternità che ritengo alla base di ogni relazione interreligiosa e ecumenica (termine che preferisco riferire ai rapporti tra le chiese cristiane) e che è anche linfa vitale per la sussistenza di ogni comunità. Sia nei rapporti interreligiosi, per esempio il dialogo ebraico-cristiano e quello islamico-cristiano, senza trascurare le religioni dell’estremo oriente, che nel cammino del dialogo ecumenico, ma anche all’interno delle chiese e comunità appartenente alle singole confessioni cristiane vi è una forte necessità di riscoprire il significato vero e l’importanza di questi principi. Tanto in riferimento alle esigenze e aspirazioni di riforma della chiesa che ho avvertito in vari ambiti cattolici quanto nella valutazione di quale sia il futuro, la prospettiva, del cristianesimo oggi (vedi anche il recente discorso di Papa Francesco alla curia romana che Padre Alberto Simoni ha posto al centro delle ultime riflessioni di Koinonia) non è possibile prescindere dalla riscoperta dei valori di fratellanza e fraternità.

 

Due termini con una radice comune

Il dizionario Treccani definisce fratellanza/sorellanza come “Il rapporto naturale tra fratelli/sorelle, e il vincolo d’affetto che li/ unisce” e fraternità come “sentimento di affetto e amore che si instaura tra persone che non sono fratelli e si esprime attraverso atti benevoli, con forme di aiuto e con azioni generose intraprese specialmente nei momenti di maggiore bisogno, in modo disinteressato”.

Il thesaurus del soggettario della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze suggerisce come termini correlati a “fraternità”: affetto, amicizia, fiducia.

Possiamo asserire che in senso etimologico la fratellanza implica l’esistenza di un legame di consanguineità che invece non esiste nel concetto di fraternità, anche se i due termini sono usati come sinonimi, condividono l’esistenza di un vincolo affettivo su cui entrambe si fondano.

 

I due fratelli della parabola del figlio prodigo

La Bibbia ci offre molti esempi negativi di legami tra fratelli: Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli. La vicenda dei primi due è quella più drammatica ed è penetrata nella nostra cultura occidentale-cristiana come esempio del primo omicidio e con la ben nota  domanda che Dio rivolge a Caino: “Dov’è, Abele, tuo fratello ?”.

Gli altri due esempi hanno un epilogo positivo ma comunque dimostrano che nella natura umana i vincoli di affetto e di amore alla base della fratellanza e della fraternità sono molto più semplici da enunciare a parole,  in teoria, che da applicare nella pratica.

Tralasciando la nota diatriba sui fratelli e le sorelle di Gesù, Gesù non insiste molto sul tema della fratellanza come legame di sangue ma indica nell’amore verso Dio e verso il prossimo (ama l’altro come te stesso) il superamento di ogni limite insito nella carnalità del rapporto di sangue tra fratelli e sorelle: un insegnamento che tuttavia non è affatto semplice da mettere in pratica.

Uno degli esempi più emblematici di questo limite è la parabola del figliol prodigo (Luca 15,11) che potrebbe essere chiamata anche la storia del padre sfortunato a causa del comportamento dei suoi due figli.  Il minore ritorna a casa ma a leggere bene non lo fa mosso dall’amore verso il padre, piuttosto pensando a sé stesso, a causa della condizione in cui si è venuto a trovare per i propri errori, ben consapevole che anche se dovesse vivere da servo presso il padre starebbe comunque molto meglio di come si è ridotto a causa della propria condotta scriteriata. E’ vero che si pente apertamente e dichiara di aver peccato contro il padre, ma la spinta per questo pentimento è l’amore per se stesso e la necessità di trovare un rimedio ad una situazione personale ormai compromessa ed insostenibile. Il maggiore si sente offeso e defraudato per la scelta del padre di accogliere il ritorno del fratello addirittura con una festa. Nonostante che il padre gli vada incontro per rassicurarlo e invitarlo ad entrare, il figlio mantiene nei suoi confronti un atteggiamento risentito, duro e ostile sentendosi vittima di un’ingiustizia, defraudato dei propri diritti e danneggiato dal padre e dal fratello. Il primo non pensa alla gioia che ritornando a casa darà al padre e il secondo si scandalizza e recrimina per questa gioia e i festeggiamenti.

A guardar bene nella parabola è completamente assente ogni forma di relazione tra i due fratelli: nessuno dei due chiede, si interessa e si cura dell’altro. Siamo di fronte ad un dramma dell’incomunicabilità che non sembra sciogliersi e trovare soluzione positiva neppure nelle braccia accoglienti del padre che si è mosso per primo verso ciascuno dei due.

In questa assenza di relazione e di condivisione tra i due fratelli si ripropone ancora una volta perentoriamente la domanda: “Dov’è, Abele, tuo fratello?”.

E questa domanda si è riproposta drammaticamente nel corso della storia umana, in occasione delle guerre e dei genocidi,  e interroga le nostre coscienze ogni giorno come un interrogativo inquietante urgente e pressante prima di tutto in quanto esseri umani e poi come cristiani. Una domanda che ci viene riproposta in modo ancor più inquietante quando ascoltiamo leader politici e religiosi che parlano di “guerra santa”, di “dio con noi”, “in nome di dio”. Come cristiani non solo siamo chiamati a lavorare e operare per la pace ma prima di tutto a rifiutare ogni strumentalizzazione, ogni uso blasfemo del nome di Dio per giustificare guerre, violenze e discriminazioni.

 

Valdo Pasqui

(1.continua)

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