Koinonia Febbraio 2020


LO SVILUPPO DELLA SINODALITÀ È LA RIFORMA PIÙ PROMETTENTE DI QUESTO PONTIFICATO

 

Papa Francesco sta diventando protestante? Dietro l’imbarazzo (oserei dire stupidità?) della domanda, sento tutti i soliti cliché sull’identità protestante contro l’identità cattolica ... Quale miseria, nel bel mezzo della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, dover ancora constatare che siamo tuttora prigionieri di stereotipi così logori! Nonostante la fuga editoriale degli ultimi giorni, e così forte di simboli come l’apertura del sacerdozio agli uomini sposati, non vedo come questa ipotetica decisione del Papa lo avvicinerebbe al protestantesimo piuttosto che all’ortodossia che, come tutti sanno, ha sempre attuato questa pratica nel suo clero!

Ovviamente, il Papa non sta diventando protestante, nonostante la simpatia che suscita in molti di noi per il modo singolare che ha, dalla sera della sua elezione, di vivere la funzione. Grazie alle audaci e inaspettate dimissioni di Benedetto XVI, è il primo papa della storia che non è chiamato a “regnare fino alla sua morte” sulla Chiesa cattolica romana, ma piuttosto a “governare” , per un periodo di tempo limitato, con il chiaro mandato di “riformare” la sua amministrazione. Oltre alle decisioni urgenti e tanto attese richieste dalle crisi accumulate della curia romana, dalle finanze vaticane e dagli scandali sessuali, mi sembra che papa Francesco abbia intrapreso una vera riforma fondamentale in materia di “governance” che attira l’attenzione di molti osservatori. Questo progetto, che dovrebbe essere di particolare interesse per coloro che affermano di essere eredi di una Ecclesia reformata sempre reformanda, è quello della sinodalità.

Certamente il soggetto non farà notizia, come nel caso degli scandali della pedofilia nella Chiesa, e quindi non fornirà un soggetto ideale per alimentare conversazioni appassionate alla fine del pasto. Eppure questa è forse una delle strade più promettenti per le riforme in questo pontificato. Più di mezzo secolo dopo la creazione del Sinodo dei vescovi, - anche quando i protestanti ricordarono il gesto di Lutero - nel 2017, la Commissione teologica internazionale (CTI) pubblicò il suo importante documento Sinodalità nella vita e nella missione di la Chiesa. Questo testo, che definisce la sinodalità come il coinvolgimento e la partecipazione di tutto il popolo di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, sottolinea anche il concetto di collegialità nell’esercizio del ministero dei vescovi. Da allora Papa Francesco lo ha martellato come uno slogan: “Il percorso verso la sinodalità è quello che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”! Per lui, questo è il percorso che deve essere seguito a tutti i livelli della vita della Chiesa, dalle comunità locali alla curia, dalla più piccola diocesi alle conferenze episcopali.

Un’indicazione discreta, ma del tutto significativa, di questo accento sinodale può essere decifrata nelle note a piè di pagina delle sue encicliche (in particolare in Laudato Si) e nelle sue esortazioni apostoliche (Evangelii Gaudium, Christus Vivit), in cui egli cita molto più facilmente di quanto non facessero i suoi predecessori i testi adottati da diverse conferenze episcopali nazionali o regionali, riconoscendoli come un’autorità molto reale. Questa implicazione necessaria e desiderabile del popolo di Dio può essere vista anche nell’attenzione particolarmente sostenuta che Papa Francesco presta all’attuazione, nel processo sinodale, di un concetto che era caro a Jean Calvin: il sensus fidei, il “Flair of the sheep”, la coscienza personale dei credenti illuminata dall’esperienza dello Spirito Santo. E da protestante quale sono posso solo riconoscere che si tratta di una profonda comprensione del sacerdozio universale, che non solo collega la vocazione missionaria di ogni credente e quella di tutta la Chiesa, ma che mette anche in prospettiva la solita distinzione nel cattolicesimo tra “insegnamento della Chiesa” e “insegnamento della Chiesa”. Inoltre, questa attenzione alla coscienza di tutti e, in effetti, alla responsabilità personale (così apprezzata nei nostri circoli di parpaillot [1]), mi sembra essere al centro dell’approccio del Papa su molti argomenti in cui dà priorità alle risposte di tipo pastorale su quelle di tipo dottrinale ... È, credo, il suo modo di affermare la priorità che dà alla missione essenziale della Chiesa che è quella di proclamare il Vangelo e la misericordia di Dio.

Detto questo, cosa è la “conversione sinodale” che il sinodo sull’Amazzonia ha chiesto di tradurre concretamente in termini di ministerialità? Nella tanto attesa esortazione apostolica post-sinodale, il Papa aprirà la possibilità di audaci esperimenti? Nessuno lo sa fino ad oggi. Resta il fatto che, facendo della sinodalità l’asse maggiore del suo pontificato, papa Francesco ha lanciato alcune aperture ecumeniche.

“Abbiamo l’opportunità di imparare dall’esperienza sinodale di altre tradizioni”, ha dichiarato lo scorso settembre, mentre riceveva una delegazione di teologi ortodossi! Avrebbe fatto la stessa dichiarazione davanti a una delegazione di teologi protestanti? Ne dubito un po’. Ma piuttosto che cercare di individuare i presunti segnali di un’ipotetica “protestantizzazione” di Papa Francesco, trovo più fruttuoso lasciarmi sfidare dai suoi manifesti sforzi per sviluppare una sinodalità più efficace nella sua Chiesa.

È quindi la capacità della mia stessa Chiesa - così orgogliosa del suo governo presbiter-sinodale - che è interpellata su ciò che essa concretamente attua affinché l’esercizio della sinodalità rimanga nel protestantesimo una dimensione dinamica, creativa e stimolante per la sua missione di testimonianza

 

 

Pierre Blazant

Pastore della Chiesa Protestante Unita di Francia (EPUdF) a Lione, membro del comitato guida del Forum cristiano francofono e responsabile delle relazioni ecumeniche del polo lionese della Federazione protestante di Francia

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