Koinonia Gennaio 2020


Rileggere oggi “La fine dell’era costantiniana”

del P. M.Dominique Chenu

 

PRIMA DEL CONCILIO E OLTRE IL VATICANO II

 

Il collegamento tra la formula “fine dell’era costantiniana” e quello che sarà poi il Vaticano II è intuizione e proposta del P.Chenu. Nel suo intervento in tema  del 1961 afferma che, nella prospettiva e nelle speranze del concilio, esso “dà alla congiuntura dimensioni di grande fatto storico, diventa quasi provocante nella sua forza suggestiva e per la sua stessa indeterminatezza”. Proietta già il futuro Concilio oltre l’ostacolo, rappresentato  storicamente da una “cristianità” che avrebbe fatto il suo tempo. P.Chenu prevede che “la scossa psicologica del concilio porta a una presa di coscienza che bisogna condurre a maturità in tutto il popolo cristiano”. E ancora: “Che l’era costantiniana, la «cristianità» occidentale, siano poste in discussione, è un problema drammatico, ma è una magnifica speranza”. Una speranza fondata sul fatto che a determinare l’esaurimento di una secolare fase storica sono la vitalità del popolo cristiano e il dinamismo proprio del vangelo, “quegli stessi che sorreggono la speranza di Giovanni XXIII quando assegna al concilio il compito di rendere la Chiesa pura e attraente, stendardo innalzato tra le nazioni”.

Altro tratto proiettato sul prossimo concilio è in queste parole che appaiono quasi alla lettera nel discorso di apertura del Vaticano II a proposito del “punctum saliens” di tutto l’evento: “Non si tratta di verità di fede, di dogmi e neppure di dottrina in generale, ma psicologicamente ad una maggiore profondità, dell’inserimento della Chiesa in un mondo decisamente nuovo, in un altro tipo di civiltà. Se è vero che il cristianesimo comporta sostanzialmente un inserimento nel mondo e se questo inserimento non è un accidente marginale, ma la legge stessa della sua incarnazione e la «condizione» della sua esistenza, il problema della cristianità stabilita, il problema stesso del concilio si pone in un mondo che non è ancora stato battezzato, che indubbiamente presenta al battesimo impreviste opposizioni: l’era costantiniana non volge alla fine?”.

Si guarda ad uno sblocco dall’Occidente e dal formalismo tradizionale, per allargare gli orizzonti psicologici e spirituali: “Senza dubbio, grazie alla coscienza, di un concilio sbloccato dall’Occidente, avremo l’occasione di uscire dal classicismo, per dare stima ed efficacia alle risorse psicologiche e spirituali dell’India o dell’Africa, per ridare valore al carattere di «iniziazione» che comporta la catechesi, per ritrovare una certa forza di invenzione e di immaginazione (che ci manca in un modo da far pietà, perfino nei vocabolari)”. E si prevede la novità di un concilio che rinnovi la coscienza stessa della chiesa: “È un momento fortunato quello in cui il presentarsi di una nuova civiltà, comprese le tentazioni che essa può comportare, obbliga il cristiano a portare la sua testimonianza alle frontiere sociologiche della sua comunità. Nei tempi moderni non accadde mai che un concilio dovesse esprimere la coscienza della Chiesa per una simile decisione”.

È facile riconoscere che sono questi i motivi che animeranno e attraverseranno tutto il dibattito e le elaborazioni conciliari e che ora si ripropongono come spinta propulsiva che sembrava esaurita, ma che ha ricevuto un impulso decisivo e irreversibile dalla parola del papa sulla cristianità: che appunto non c’è più come idea e progetto storico di chiesa ma che sopravvive nelle strutture, nelle mentalità, nella prassi pastorale o stile di evangelizzazione.

È importante prima di tutto fare il punto sulla situazione in cui ci ritroviamo dentro una cristianità che prolunga l’era costantiniana da cui uscire come nuovo esodo o come rinnovata diaspora. Volendo dare un senso non solo storico-sociologico a questa operazione, ma anche un significato teologico, lo possiamo cogliere nelle parole di Efesini 2,14-15, quando si dice che Cristo è la nostra pace, “colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo”.

Attraverso una lettura del testo di P.Chenu possiamo cercare di chiarire qual è questo muro che si è creato tra il vangelo e il mondo - appunto la cristianità esaurita - e quali sono  i mezzi suggeriti per abbatterlo. Certamente questo lavoro è stato fatto in grande nel concilio e attraverso il concilio, ma forse solo ora sono maturi i tempi per un cambiamento d’epoca avvenuto fino a ora solo in maniera epidermica. Dobbiamo riconoscere che lo stesso concilio più di tanto non poteva fare, salvo aprire orizzonti e scenari nuovi e fissare principi orientativi di un cammino epocale tutto da intraprendere.

Forse avevamo dimenticato o sottovalutato il fatto che si trattava già di un cambiamento d’epoca e ci siamo fermati a rimpiangere le cipolle d’Egitto o a crearci gratificanti vitelli d’oro! Ora siamo avvertiti da segni dei tempi e da richiami ripetuti che questo cambiamento d’epoca ci coinvolge e ci vuole protagonisti. Se si pensa che le cose possano andare avanti per forza d’inerzia, vuol dire che abbiamo abdicato alle nostre responsabilità.

Seguendo P.Chenu nel suo intervento profetico, possiamo prendere atto che il muro di separazione tra chiesa e mondo, fatto di prescrizioni e di decreti, altro non è che il mondo cristiano che sopravvive agli stessi cristiani in fase di recessione: un complesso di poteri, di istituzioni, di culture, di tradizioni che nel tempo hanno assunto nomi quali sacro romano impero, popolo cristiano, nazioni e stati cristiani, civiltà cristiana, pace cristiana, cittadini cristiani, società cristiana, tanto da creare equivalenza tra cristiano e individuo. Ogni persona non poteva che essere un cristiano!

Certamente ci sono state variazioni continue nella storia, ma il rapporto di fondo è rimasto uguale a se stesso, o in positivo o in negativo. Ed è lì che occorrerebbe intervenire per una necessaria modificazione genetica del rapporto chiesa-mondo. Per la verità, “mentre gli elementi politici dell’era costantiniana sono stati poco a poco eliminati con vantaggio della purezza evangelica della Chiesa, le implicazioni spirituali della cultura, in una comune concezione dell’uomo e della società, agiscono in modo più interno, più sottile e più valido. Non siamo sul piano della ‘potenza’ della Chiesa ma su quello della sua ‘influenza’”. E a proposito di influenza, anche se è sempre più ridotta sul piano culturale non si rinuncia affatto a far valere quella che è “l’anima dell’era costantiniana, il suo umanesimo”.

Sempre a proposito di zone di influenza, rimane molto attiva quella in campo economico-sociale, in cui si interviene come dottrina e sempre di più come organizzazione assistenziale. A questo proposito Chenu scrive: “La fede non è legata a una determinata economia, sociologia o politica. Le belle lezioni del ‘cattolicesimo sociale’ del 1920-50 non possono avere che un’applicazione molto parziale presso i popoli che non hanno vissuto il regime del diritto romano e della proprietà privata e nemmeno quello della libertà borghese. In breve si identificava, e si identifica ancora nella retorica corrente, la civiltà dell’era costantiniana alla ‘civiltà cristiana’. Realtà e mito sono tuttavia contestati, sia perché parecchi suoi elementi costitutivi intralciano il vangelo e restano non-cristiani, sia perché altre civiltà non sono a priori inadatte a diventare terre umane della grazia”.

È una diagnosi della cristianità prima del concilio, ma che rimane valida anche a concilio avvenuto e avanzato, che però non è il capolinea  di una nuova epoca, ma solo una tappa importante di un processo che lo attraversa e lo oltrepassa; tanto è vero che se fino ad ora abbiamo parlato di aggiornamento e di riforma come operazioni interne, ora si parla di cambiamento d’epoca o di riposizionamento esterno della chiesa nel mondo, nonostante i passi avanti del concilio. Questo passaggio è possibile perché, mentre si chiude una lunga fase nel modo di essere nella storia  - la cristianità appunto - si apre in maniera irreversibile la necessità di proiettarsi  in maniera totalmente diversa verso il futuro.

Ed è esattamente qui che il discorso di P.Chenu non è più soltanto di uno storico ma di un profeta, in quanto anticipa dinamiche e tematiche che daranno vita e forma al concilio e che ispireranno i suoi documenti. Basti elencare i fattori di superamento della cristianità che “provengono dalla vitalità stessa del popolo cristiano, dal dinamismo proprio del vangelo, dalle sue risorse originali ritrovate sotto lo spessore dei depositi successivi”: il risveglio evangelico il primato della Parola di Dio, una chiesa missionaria, i poveri che ascoltano la Parola di Dio!  Nessuno può nascondersi che sono ancora queste le istanze a cui rispondere per un passaggio di epoca. Per arrivare a dire - sospendendo per ora il nostro discorso - che c’è una fine dell’era costantiniana per consunzione e inconsistenza della fede; ma può e deve esserci la fine della cristianità togliendo via “il lievito vecchio, per essere pasta nuova” (1Corinzi 5,7) Non è il vangelo che cambia, ma è il vangelo  il motivo e il motore del cambiamento!

“Il mito di Costantino lascia il posto, come nel XIII secolo presso gli ordini mendicanti, al mito della comunità primitiva di Gerusalemme. E questo non è falso archeologismo se è vero che il ritorno al Vangelo è la garanzia di una presenza al proprio tempo”. Così chiude il suo intervento il P.Chenu, con un richiamo agli ordini mendicanti che ci chiamerebbe in causa anche come Frati predicatori!

 

Alberto Bruno Simoni op

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