Koinonia Gennaio 2020


ANGELA

 

Anni addietro, nell’ultimo incontro che avemmo con Piovanelli, Angela, malata ormai da molto tempo, espresse la sua paura di morire. Al che il cardinale rispose, quasi meravigliato: “Di che hai paura? Non della morte bisogna aver timore, perché significa il passaggio a un mondo altro, alla presenza di Dio. Ma, semmai, del dolore che precede la morte”.

Il dolore, come la gioia, è connaturato alla natura umana. Ognuno di noi, chi più chi meno, ha provato il dolore fisico. Ma quando il dolore si protrae per decenni, quando la malattia ti perseguita tanto presto come nel caso di Angela, c’è da chiedersi che senso abbia. E allora metti in dubbio tutto quanto, anche la stessa fede. E se riesci, nonostante tutto, ad affidarti a Dio e accettare la tua sorte, anche se non ne comprendi il significato, non fai che seguire la parola di San Paolo: credo perché è assurdo.

In questi giorni passo quasi tutto il mio tempo accanto ad Angela, ormai incapace persino discendere dal letto, quasi sempre assopita a causa dei farmaci; e di fronte a lei così martoriata nel corpo (irriconoscibile se penso a quello che era solo pochi anni fa), la ricordo come mi apparve per la prima volta: una ragazza mora, carina, snella, con una vita sottile, quella vita che in seguito, per gioco, avrei preso tante volte per sollevarla, e senza troppa fatica. Ma la cosa che più mi colpì furono gli occhi: vivi, profondi, guizzanti. Furono quelli che mi fecero innamorare fin dal primo momento.

Ci sposammo, dopo pochi mesi di convivenza, ma solo in Comune: il matrimonio religioso, com’era vissuto dai più, ci sembrava solo una manifestazione di sfarzo e di ipocrisia, spesso fatto per compiacere la famiglia degli sposi. L’abito bianco poi, lungo e costoso, ci pareva del tutto inopportuno, sia nel caso che nascondesse una verginità inesistente, sia nel caso testimoniasse una verginità fisica che nessuno di noi due avvertiva come valore, perché la purezza vera è ben altro. Solo più tardi, dopo la nascita di nostra figlia, avendo maturato l’idea del matrimonio come sacramento, ci sposammo in chiesa. Una cerimonia semplice, con pochi amici, come era stata quella di anni prima, in Comune.

Le nostre strade, di Angela e mia, si sono incrociate nel 1971, a Firenze, dove entrambi ci eravamo trasferiti, io da Milano, lei da Reggio Calabria.

Due persone molto diverse per tanti aspetti: Angela riservata, riflessiva, dotata di un’intelligenza fuori del comune; tutte doti che, dato il suo carattere, non sempre palesava di primo acchito e per questo lei stessa tendeva a sottovalutarsi. Io, al contrario, supplivo alle mie carenze intellettuali con una buona capacità comunicativa e a differenza di lei, molto più curiosa di me e capace di interessarsi a discipline diverse fra loro (dalla letteratura alla linguistica, dall’arte alla musica, dalla biologia alla medicina)  avevo interessi molto più limitati, concentrati nell’ambito storico.

Pur lontani per carattere e sensibilità, per certi versi avevamo vissuto esperienze simili. Entrambi venivamo da famiglie agnostiche (a parte la madre di Angela che era credente) e ci eravamo accostati alla fede solo in età adulta; tutti e due avevamo frequentato ambienti cattolici progressisti e sul finire degli anni ‘60 avevamo aderito alle comunità cristiane di base. Angela ed io, inoltre, l’uno indipendentemente dall’altra, abbiamo operato scelte politiche di sinistra ritenendo il “partito dei cattolici”  malato di clericalismo e subalterno al dominio del capitalismo da noi considerato, per sua stessa natura, lontano dalla Parola del Vangelo. Caratteri diversi, dunque, ma convergenza sui valori di fondo.

Una nota curiosa, che mi piace sempre ricordare. Mia moglie ed io, a distanza di tempo, abbiamo vissuto un’esperienza identica, che avrebbe potuto finire in tragedia.

All’età di vent’anni, in vacanza con amici, la macchina su cui viaggiavo slittò paurosamente, volando in un burrone. Tanta paura, ma tutti illesi. Un vero miracolo.

Anni dopo, a Firenze, Angela, venuta come commissario agli esami di maturità, fu sbalzata fuori dall’auto che la stava portando. Non ancora svenuta, si accorse della ruota di una macchina che stava sopraggiungendo vorticosamente. Voltò la testa e si salvò: “Dio c’è”, pensò in quel momento.

Entrambe le volte, per Angela e per me, proprio nell’attimo in cui ci sembrava di dover morire, tutta la nostra vita ci passò davanti: la nostra infanzia, i nostri cari, gli amici, i nostri primi amori, le nostre esperienze di studio e di lavoro, la nostra fede, da poco conquistata, ma sempre messa in discussione.

Dopo sposata, la vita di Angela fu presto funestata da una serie di malattie, non sempre riconosciute in tempo, e il suo stato di salute andò progressivamente peggiorando. Nonostante tutto lavorò per più di trentacinque anni, da tutti apprezzata prima come docente di liceo, poi come preside (1). Ebbe sempre un rapporto meraviglioso con gli studenti che ancora oggi, donne e uomini maturi, la ricordano con grande affetto.

Raramente ho incontrato una persona dotata del suo intuito. Se si fosse dedicata alla politica forse non avrebbe fatto carriera, dato che sempre rifuggiva dal mettersi in luce, ma certo avrebbe dato un notevole contributo data la sua capacità di prevedere le conseguenze di determinate scelte.

Voglio qui ricordare due fatti che attestano le sue doti in questo campo.

Ci fu un momento, anni addietro, in cui si ventilava la fusione tra la FIAT e la Opel tedesca, a opera di Marchionne. Angela, che pure non si era mai occupata di economia, colse subito il pericolo di tale operazione, che pure veniva accolta con favore da tutte le parti politiche. Che conseguenze ci sarebbero state sull’occupazione? Quanti posti di lavoro si sarebbero persi? Quale ruolo avrebbe mantenuto la Fiat in Italia?

Poco più tardi, di fronte al trionfo di Matteo Renzi, quando ancora nessuno, nemmeno i sindacati, mettevano in discussione i progetti di questo discutibile personaggio, subito ne colse la pericolosità: la politica di Renzi significava infatti la vittoria del neoliberismo (che papa Francesco condanna senza mezzi termini), con la compressione dello stato sociale, la messa in discussione dei diritti dei lavoratori, la trasformazione del lavoro sicuro in precariato.

In quanto alla fede, Angela ha sempre avuto con Dio un rapporto “tormentato”, con alti e bassi: a momenti di abbandono fiducioso si sono alternati momenti di dubbio e di sconforto. Dopo anni di sofferenze, in questa fase della sua vita in cui sente avvicinarsi il momento del trapasso, Angela si sente tranquilla, sente che Dio le è vicino, che non le farà mancare il suo abbraccio.

Per questo suo modo di vivere la fede, in cui la dimensione verticale, al di là di dubbi, incertezze e cadute è stata sempre presente, spesso mi criticava per il mio modo di credere, prevalentemente orizzontale, di scarsa spiritualità, a suo parere. Penso avesse ragione. Se per lei, ad esempio, la preghiera era importante sempre, io ho pregato in tutta la mia vita quasi esclusivamente nei momenti di difficoltà, mentre ho sottovalutato l’importanza della preghiera come ringraziamento; e

a questo proposito mi torna alla mente un episodio dell’infanzia di Angela che lei spesso ricordava.

Ancora molto piccola (quattro o cinque anni al massimo) chiese un giorno a sua madre: “Chi ha fatto il cielo?”. “Dio” rispose la mamma. “E chi ha fatto il sole e le stelle?”. “Dio”. “E chi la terra?”. “Sempre Dio”. “Grazie, Dio”, rispose Angela bambina.

 

Bruno D’Avanzo

 

 

NOTE

(1) Come preside Angela tenne sempre un comportamento esemplare, autorevole ma mai autoritario. Un atteggiamento non comune, soprattutto in passato, per una donna; infatti tra le dirigenti scolastiche, in linea di massima, si alternavano quelle che si affidavano completamente a collaboratori uomini a quelle che, per ipercorrezione, mostravano un autoritarismo eccessivo.

Voglio citare un episodio che mette in rilievo l’autorevolezza, ma al tempo stesso la delicatezza di Angela. Tra i docenti del liceo dove era preside c’era un professore di Storia dell’Arte indubbiamente preparato e creativo. La sua pecca, non di poco conto, era l’assenteismo. Spesso lasciava la classe al solo assistente. Inoltre, durante tutti i periodi di vacanza, quando andava lontano a trovare i suoi, trovava sempre una scusa per fermarsi più del dovuto, accampando ogni volta nuove scuse.

Senza colpirlo con sanzioni, come un altro preside avrebbe fatto sicuramente, Angela lo chiamò da parte: lodò le sue doti di artista, ma al tempo stesso gli disse che il suo comportamento non era  accettabile. Innanzitutto non poteva mai allontanarsi dalla classe, e se poi avesse avuto la necessità di raggiungere i suoi per ragioni serie, gli avrebbe concesso sicuramente congedo.

Mortificato, ma al tempo stesso pieno di gratitudine, il docente si mostrò pentito e in effetti il suo comportamento successivo migliorò sensibilmente.

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