Koinonia Gennaio 2020


CORRISPONDENZE P.CHENU-GIOVANNI XXIII

 

La scossa psicologica del concilio porta a una presa di coscienza che bisogna condurre a maturità in tutto il popolo cristiano.           

L’era costantiniana ci ha dato la magnifica riuscita di una ‘cristianità’. Ma cristianità non è Chiesa: è certo una distinzione che è difficile applicare nelle sue frontiere dottrinali e istituzionali, ma che è urgente fare, in un mondo le cui dimensioni umane oltrepassano da ogni parte i confini dell’Occidente e la cui storia ci conduce decisamente fuori della cristianizzazione di Costantino.           

Una cristianità non è la Chiesa, è una organizzazione in sé temporale, che comporta tutto quello che fanno i cristiani sulla terra, partendo dalla grazia, per realizzare nell’umanità la trasformazione delle sue condizioni di vita, individuale e collettiva, morale e culturale, necessarie allo sviluppo di questa grazia.

Si tratta dunque di una materia mutevole e contingente posta sotto il solo assoluto della Parola di Dio, che si può esprimere, testimoniare, introdurre e incarnare in altre comunità umane, nelle quali l’identica natura umana è modificata nelle sue condizioni materiali e spirituali nella sua storia oggi accelerata. L’incarnazione continua.

 

P.Chenu

in “La fine dell’era costantiniana”

 

Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi.

Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.

Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale.

 

Giovanni XXIII

Dal Discorso di apertura del Concilio Vaticano II

 

«Alla presenza dei miei collaboratori mi viene spontaneo ripetere l’atto di fede. Così sta bene tra noi sacerdoti, perché noi a beneficio del mondo intero trattiamo gli affari più alti, ispirandoci alla volontà del Signore.

Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a differenza anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della chiesa cattolica.

Le circostanze odierne, le esigenze degli ultimi cinquant’anni, l’approfondimento dottrinale ci hanno condotto dinanzi a realtà nuove, come dissi nel discorso di apertura del concilio. Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio.

Chi è vissuto più a lungo e s’è trovato agli inizi del secolo in faccia ai compiti nuovi di un’attività sociale che investe tutto l’uomo; chi è stato, come io fui, vent’anni in oriente, otto in Francia ed ha potuto confrontare culture e tradizioni diverse, sa che è giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di coglierne le opportunità e guardare lontano».

 

Giovanni XXIII

Dichiarazione 24 maggio 1963

 

La parola di Dio illumina e alimenta in permanenza la Chiesa, che trova in essa la sua respirazione elementare. Infatti la Chiesa «vive» di Vangelo, non di diritto romano e nemmeno di filosofia aristotelica o di cultura liberale. Ma, in certi momenti, in particolare in seguito a certe provocazioni del mondo, o per una più tenace speranza degli uomini, questa sensibilità al Vangelo è rinnovata e come esasperata, in un ritorno alla sua ispirazione, alla sua freschezza, al suo primo fremito. Il suo messaggio supera le abitudini, i conformismi, le strutture più valide, le migliori teologie.

È questa una legge costante della storia, anche nel corso delle nostra era costantiniana. Fu precisamente per una contestazione di questo genere che, nel XIII secolo, Francesco d’Assisi si svincolò dalla cristianità stabilita – con un ritorno alla lettera evangelica, superando le istituzioni monastiche allora vincolate, nella loro stessa affermazione, ad organismi sociali scaduti - con un’animazione di movimenti laici in contrasto con la clericalizzazione degli organismi collettivi. I discepoli di San Francesco furono i primi a muovere una severa critica alla donazione di Costantino, simbolo di una Chiesa temporale potente divenuta inadatta a portare la Parola di Dio al popolo minuto dei poveri.

 

P.Chenu

in “La fine dell’era costantiniana”

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