Koinonia Dicembre 2019


GLI ANTI-COMANDAMENTI

 

Il discorso di Francesco del 15 novembre è storico. Parlando all’associazione mondiale dei penalisti, il Papa ha condannato un sistema sanzionatorio al servizio dei potenti del mondo, cieco davanti ai grandi crimini e violento con i più deboli. Contestualmente, ha invocato una nuova giustizia in difesa del pianeta e dell’umanità. La denuncia e la proposta giungono a un anno di distanza dalla conclusione della catechesi dedicata da Francesco ai comandamenti biblici. Da millenni il decalogo ricevuto da Mosè ha guidato ebrei, cristiani, in un certo senso i musulmani, e chi a esso s’ispira anche senza ritenerlo di origine divina. Non era necessaria l’osservanza. Anche violati, i dieci precetti restavano il punto di riferimento. Oggi i dieci comandamenti non sono più semplicemente violati, come lo sono stati per secoli, senza venire messi sostanzialmente in discussione. Nel mondo contemporaneo, essi cambiano. Alcuni vengono abbandonati; altri acquisiscono un significato inedito; altri ancora, impensabili in passato, premono per aggiungersi al catalogo.

Tutto è cominciato nella lenta, progressiva erosione del primo comandamento: non avrai altro Dio all’infuori di me. Nel mondo globale multi-religioso la difesa dell’unicità del mio Dio è disperata: lo testimoniano i crociati in terra d’islam, gli ebrei ostili ad altre fedi in Israele, i musulmani che uccidono in nome di Allah. Persino i politeismi s’immaginano unici davanti alla multi-religiosità globale. L’induismo di Narendra Modi è una chiesa gelosa; il buddhismo birmano è spesso intollerante. E anche tanto ateismo contemporaneo pretende il culto dovuto all’unico Dio. L’estrema difesa dei monoteismi è tuttavia illusoria. In un modo o nell’altro capitoleranno. La mobilitazione per la libertà religiosa e per il dialogo interreligioso segnalano il rovesciamento del primo comandamento. Come comprendono bene i resistenti più puri, i cattolici intransigenti e i testimoni di Geova, troveremo sempre più normale, e sempre più giusto, avere tanti dei; e ci suonerà sempre più ingenua, e inutile, la premessa oggi di rito a ogni incontro di leader religiosi, che il dialogo presuppone le identità, e le rafforza, e che nessuno vuole il sincretismo, cioè la fusione tra religioni. Avremo il nostro dio, e al contempo condivideremo il dio altrui.

Ormai legittimi, e necessari, i tanti dei delle religioni dovranno a loro volta coabitare con le infinite divinità della società secolarizzata: gli idoli contingenti dell’innovazione scientifico-tecnologica, le mode politiche e mediatiche, i dati. Tutto, infatti, si sacralizza. Sempre più velocemente e comunemente chiamiamo divine le cose, le persone, i sentimenti.

Si rovesciano di conseguenza anche il secondo e il terzo comandamento: non nominare il nome di Dio invano; santifica le feste. Essi si riscrivono nel loro contrario: non esitare, non aspettare, non ponderare, non razionare il nome di Dio. Usalo più che puoi, senza timore. Espandi, intanto, il tempo della festa ai giorni feriali, e passa la domenica naturalmente al centro commerciale.

Mutati i comandamenti sui rapporti con dio, mutano anche i comandamenti sui rapporti tra gli uomini. Il quarto comandamento, onora il padre e la madre, non ha senso in società che accettano e promuovono le forme genitoriali più diverse: più padri e più madri, anche dello stesso sesso, non sono più, come in passato, un’eccezione da tacere o da reprimere. Al contempo, onorare i figli è altrettanto importante, e forse di più: i diritti dei minori fanno concorrenza ai diritti dei genitori. Altri comandamenti vengono riscritti perché la cultura e la tecnologia hanno cambiato il corpo. Si rovescia il quinto comandamento, non uccidere. Se voglio che mi aiuti a morire, il tuo uccidere diventa non solo lecito, ma doveroso. Come diventa doveroso impedire lo sviluppo di feti con malformazioni, o la nascita di nuove bocche da sfamare in aree sovrappopolate. Il diritto al desiderio cambia i comandamenti. Vanno gambe all’aria il nono e il decimo comandamento: ho il diritto di desiderare la moglie e i beni del mio prossimo, e persino il dovere di farlo, se voglio sentirmi integrato nella società della libera circolazione di persone, capitali, beni e servizi. Si rovescia anche il sesto comandamento: adulterio e atti impuri diventano parole senza senso; si impone la norma del libero esercizio della sessualità virtuale e reale.

La crisi del modello economico, il primato del desiderio e il diritto al benessere riscrivono poi il settimo comandamento, non rubare. La competizione globale comanda un vertiginoso spostamento di risorse: per i poveri come per i ricchi, il rubare non esiste nemmeno più.

È infine rovesciato l’ottavo comandamento. Vero e falso si fanno a tal punto soggettivi, volatili, intercambiabili, che all’ingiunzione di non dire falsa testimonianza si sostituisce il comandamento della comunicazione a ogni costo, della connessione senza bisogno di contenuti, della trasformazione della realtà in dato indipendentemente dalla sostanza e dallo scopo. Così rovesciato, l’ottavo comandamento diventa l’architrave della società dell’informazione.

I comandamenti sottosopra esprimono i principi di una nuova civiltà di cui l’Occidente è il laboratorio. Nel sesso, nell’autorità, nella medicina, come nel trattamento dei dati, conta il consenso: un consenso tanto più fondamentale quanto più avvertiamo la fragilità dell’individuo contemporaneo. Lo stesso vale per l’eguaglianza di genere e di orientamento sessuale che sbaraglia il maschilismo patriarcale del passato.

Del resto, i nuovi comandamenti hanno al centro non più l’uomo, ma il pianeta: non ferire l’ambiente; non maltrattare gli animali; rispetta ogni vita e ogni materiale; tutela alberi e montagne sacre come tuteli le chiese. Si proiettano già verso il cosmo, i nuovi comandamenti. E si preparano a proteggere le macchine intelligenti che rivoluzioneranno l’umanità: sarà dedicato a tutelare la loro dignità, un giorno, il più nuovo dei comandamenti. Nella sua catechesi del 2018 sul decalogo biblico, papa Francesco ha invitato a combattere il legalismo. I comandamenti sono molto più che regole da seguire. La loro forza sta nel principio, nel senso, nel valore che essi trasmettono. Di quella forza l’individuo beneficia se non rinuncia alla propria responsabilità di interprete. Hanno funzionato così per millenni i dieci comandamenti: di volta in volta reinterpretati, si sono rinnovati nelle società e nei contesti più diversi. Tale è stata la capacità di adattamento del decalogo, che ancora oggi, davanti all’emergere di nuovi comandamenti così contrastanti con i tradizionali, non può non restare il dubbio che ci si trovi di fronte a un’ennesima prova di elasticità delle tavole ricevute da Mosè.

Per questo il Pontefice denuncia il legalismo e scende quanto più possibile alla sorgente del decalogo e al suo significato ultimo. Per Francesco, quel significato sta nella relazione tra Dio e l’uomo, tra il padre e il figlio; con le parole del Pontefice nell’udienza generale del 20 giugno 2018, «il mondo non ha bisogno di legalismo, ma di cura. Ha bisogno di cristiani con il cuore di figli». La parola «figlio» è la più ricorrente nella catechesi sul decalogo di Francesco. I comandamenti non stanno nelle negazioni, nell’obbedienza del suddito, ma nelle affermazioni e nella fiducia che si instaura tra il padre e il figlio. Proprio questa relazione asimmetrica di autorità, per quanto mitigata da decenni di teologia sulla bontà del padre, marca la differenza tra il vecchio decalogo e i nuovi comandamenti sottosopra. Ancorché ammorbidito e ammodernato, e soprattutto, ancorché transitato dalla freddezza del comando al calore della relazione, il vecchio decalogo resta fondato sull’autorità di Dio sull’uomo, e dell’uomo sull’uomo.

Il vecchio decalogo è cioè per eccellenza verticale. I nuovi comandamenti sono paritari, simmetrici, orizzontali, non riconoscono autorità a priori: non quella di un Dio ormai sostituito dagli dei della società multi-religiosa secolarizzata; non quella di uomini e donne sempre più tentati di delegare la decisione alle procedure, alle emergenze, agli algoritmi. Sicché, in fondo, quanti si identificano ancora nel vecchio decalogo e quanti già seguono i nuovi comandamenti hanno in fronte a sé la stessa sfida dell’uomo che cambia: e delle regole migliori con cui accompagnare il cambiamento.

 

Marco Ventura

in “la Lettura” del 24 novembre 2019

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