Koinonia Dicembre 2019
SIAMO NEL TEMPO DEL POST-UOMO?
Siamo in un tempo che definirei del post-uomo, un uomo che corre sempre più il rischio di non essere più né corpo né anima per essere un tutt’uno col proprio computer o il proprio cellulare. E tra qualche anno rischia di non essere più né anima, né corpo, né computer, ma un tutt’uno o succube di un qualche robot al quale sono state trasferite le informazioni dettagliate del vivere da uomo e le capacità di interconnessioni tipiche del cervello umano.
Ci illudiamo in questa maniera di avere il potere assoluto, il potere di fare tutto, di manipolare la realtà e il mondo e di plasmarlo a nostro piacimento. Ci illudiamo di moltiplicare le nostre capacità, di amplificare a dismisura il nostro controllo sulla natura stessa dell’essere.
Però, di fatto andremo perdendo, o forse stiamo già perdendo, l’identità dell’uomo come essere e, con essa, la libertà e l’autonomia della persona cioè dell’essere nel suo insieme. Ma se questo è il vento che passa e travolge tutto, difficile sarà correre contro quel vento. Cosa fare? Una sola via di uscita: l’uomo deve riscoprire l’uomo nella sua imprescindibile identità ed interiorità.
Non è difficile ma serve un cambiamento di prospettiva, un cambiamento culturale, tutti assieme per rivendicare l’uomo, un’azione di tutti che guardi oltre i confini e torni ad essere pervasa della indefinitezza, al di là dei limiti di spazio e tempo, che spingono l’uomo in un vicolo cieco e, lì, lo stringono
In realtà si percepisce. C’è un bisogno collettivo di cielo, di ciò che trascende dall’individualità egoistica e si apre in una dimensione diversa, direi, collettiva, che ritrova spazi infiniti dove muoversi alla ricerca dell’umano in senso ampio e vero, un umano collettivo. In fondo questa è la sola via di uscita. Che l’umano ritrovi la sua ragione di essere e la sua libertà. Ma dove se non nella fraternità e nella solidarietà?
Questo è veramente l’umano che stiamo perdendo, o forse solo dimenticato in nome del potere su tutto. L’umano è ciò che costruisce, che trasforma, che adegua e che plasma per far emergere l’Altro nella sua bellezza e nella sua identità. Solo così, ci toglieremo di dosso l’autoreferenzialità che ci schiaccia e ci deforma.
Davanti al fare i soldi con i soldi l’uomo non acquista importanza ma la perde, non raggiunge un equilibrio ma lo perde. Questo è veramente un tempo di crisi, questa è crisi con la C maiuscola, una crisi di cui nessuno, o pochi, sembrano rendersi conto o nessuno, o pochi, hanno il coraggio di riconoscerla come tale. A noi avere il coraggio di additarla, in questo sta la nostra responsabilità.
Lo dovremmo fare con metodo e con le armi della volontà e della responsabilità che partono unicamente dalla riscoperta del senso di fraternità e solidarietà, le sole che portano inequivocamente a superare l’Altro, l’ostile IO. Perché è nell’andare verso l’altro che si esprime il nostro bisogno dell’altro, è nell’andare verso la “nullezza” dell’altro che si vince la nostra nullezza, ed ecco allora la reciprocità delle azioni. È crisi dell’umano che deve tornare a svelare la sua identità e le sue potenzialità attraverso l’umano che NON SONO IO. È la dimensione di farsi Prossimo, andare verso l’altro per volontà e per gratuità. È nel farsi prossimo che brilla la luce del donare.
L’umano vive nella dimensione dell’altro in un tempo infinito. La vera sfida è quella di far vivere il tempo e l’arma è la speranza. Come un dono che ci è stato fatto lo dovremmo curare e coccolare per renderlo eterno e trasmetterlo nella sua integrità, nella consapevolezza di un comune destino, di una uguaglianza che non fa distinzioni ma tutto avvolge e modifica. Il senso dell’umano e l’ordine delle cose si realizzano nella giustizia che trova il suo equilibrio nella verità e nell’amore.
Elisabetta Meacci