Koinonia Dicembre 2019
Convegno nazionale rete Viandanti*
Dottrina e pastorale: continuità nel cambiamento
Il tema del terzo convegno nazionale della rete “Viandanti” (“‘Lo Spirito e noi...’ Dottrina e pastorale: continuità nel cambiamento”) è di scottante attualità nella Chiesa. È stato così anche per quelli precedenti, ma questo lo è in modo speciale. «Con papa Francesco le questioni e il dibattito interno alla Chiesa si sono concentrati sul problema che intendiamo affrontare oggi», ha affermato Franco Ferrari, presidente della rete, introducendo i lavori. L’accusa rivolta al papa dai tradizionalisti è che i cambiamenti da lui introdotti nella pastorale comportano l’abbandono dell’immutabile dottrina della Chiesa. In realtà, nella bimillenaria storia della Chiesa, la dottrina è stata modificata più volte alla luce delle esigenze pastorali via via imposte dai tempi. Lo hanno mostrato molto bene i vari relatori. Daniele Menozzi, professore emerito di Storia della Chiesa alla Normale Superiore di Pisa, ha tratteggiato i cambiamenti della dottrina della libertà religiosa nel periodo che va dalla rivoluzione francese a oggi. I tradizionalisti ignorano quel che effettivamente è successo nel cattolicesimo. Le loro accuse al papa e la minaccia di scisma, hanno in realtà scopi meramente politici e puntano a impedire il recupero da parte di Bergoglio di quell’idea di Chiesa messianica e attenta ai “segni dei tempi” che è presente nel Concilio Vaticano II, ma non è stata sviluppata dai papi successivi. L’attenzione ai “segni dei tempi” cambia la Chiesa calandola nella storia e permettendole di non essere più in ritardo rispetto al tempo in cui vive: un ritardo a cui fatalmente è condannata, invece, se segue come criterio per l’azione pastorale l’astrattezza della dottrina. La storia aiuta la Chiesa ad approfondire il significato del Vangelo e a comunicarlo per quello che è: la Buona Novella di misericordia di cui quanto mai hanno bisogno gli uomini contemporanei.
La misericordia è il cuore del Vangelo, il modus vivendi Christi, ha sostenuto Giovanni Ferretti, professore emerito di filosofia dell’Università di Macerata. Essa dunque costituisce il criterio fondamentale per interpretare Cristo, il vangelo e il mondo. Scaturisce dal riconoscimento della dignità sacra di ogni persona di cui ha di mira non la condanna ma la salvezza e commisura, quindi, la sua “validità” non in riferimento a norme etiche astratte ma a ciò che è di vantaggio alla pienezza della sua vita, come Gesù ha fatto riferendosi alla norma del sabato.
Per applicare il criterio della misericordia in modo adeguato occorrono dei “ripensamenti” profondi. Innanzitutto del modello fondamentalistico-sacrale della Scrittura e dei dogmi della Chiesa, imparando a distinguere la verità che in essi ci interpella dai condizionamenti storici che vi si trovano per darne una formulazione comprensibile nel linguaggio della cultura attuale. Si tratta di una svolta ermeneutica nella missione evangelizzatrice della Chiesa, la cui importanza è sottolineata da papa Francesco nella Evangelii gaudium per non cadere nel rischio, usando formule “ortodosse”, di comunicare un “Dio non evangelico” e un ideale umano non veramente cristiano: espressioni molto forti, mai usate nel magistero. La mancanza di questa coscienza ermeneutico-teologica, che impedisce la corretta interpretazione del criterio della misericordia, è evidente nelle critiche al papa di travisare la dottrina.
Un altro ripensamento è quello della concezione di Dio che ha caratterizzato il cristianesimo sino ad oggi, ampiamente presente nell’Antico Testamento ma di cui ci sono tracce anche nel Nuovo. Essa ci presenta un Dio capace di misericordia ma anche di estrema violenza nelle sue punizioni. Il Dio di Gesù Cristo, invece, è incondizionato amore, vuole misericordia e non sacrifici. Per questo anche quella concezione arcaico-sacrale di Dio viene corretta nell’Evangelii gaudium.
Un terzo ripensamento infine riguarda il rapporto tra Bibbia e morale. I principi etici della Bibbia, come è detto ancora nell’Evangelii gaudium, corrispondono all’esigenza di pienezza di vita dell’uomo. Non sono di tipo impositivo ma maieutico. Pure la rivendicazione moderna dell’autonomia razionale della morale, in questa prospettiva, può assumere per la Chiesa un valore positivo, permettendo, tra l’altro, di non svalutare la ricerca etica dei non credenti.
Questi “ripensamenti” diventano possibili se la Chiesa impara a muoversi con “sensibilità rabdomante”, andando a scovare nella storia ciò che del Vangelo vi è presente: se, in altri termini, anche per Ferretti, va alla ricerca dei “segni dei tempi”.
La dialettica tra dottrina, evoluzione storica e pastorale è emersa pure nella relazione di Severino Dianich, docente emerito di ecclesiologia della facoltà di teologia di Firenze. Egli ha esaminato la dottrina del sacerdozio. Il Nuovo Testamento ha sancito la fine del sacerdozio antico affermando l’unico sacerdozio di Cristo, come si legge nella Lettera agli Ebrei. Paolo si riferisce ad una missione “sacerdotale” individuandola nell’annuncio del Vangelo e nella predicazione, affidata come dono dall’alto tramite il rito dell’imposizione delle mani da parte degli apostoli. Ad essa egli connette l’autorità nella custodia della fede e, di conseguenza, nel governo della comunità: grande questione, quest’ultima, rimasta sempre aperta. Quanto si estende la funzione di guida da parte di chi ha il compito di conservare e annunciare la fede, fin dove è legittimo che arrivi?
Un passo ulteriore è compiuto da Ignazio di Antiochia che attribuisce al vescovo-presbitero in modo esclusivo la celebrazione eucaristica. Nessuna testimonianza del Nuovo Testamento dice questo. Da qui si sviluppa più tardi, soprattutto in Agostino, il senso del sacramento ministeriale. L’azione della Chiesa, per lui, è segno e strumento di un’azione che in realtà è di Cristo e, quindi, trascende il potere umano.
La dottrina cattolica ha subìto anche sviluppi ambigui, dovuti ad una progressiva “sacerdotalizzazione” del ministero: ha ereditato dal sacerdozio pagano titolo, paludamenti, ritualità. La figura del prete e del vescovo è diventata sempre più una figura sacra. In questo lungo processo è andato perduto il ruolo dei laici che solo col Vaticano II è stato recuperato grazie al ritorno alla dottrina biblica del sacerdozio comune di tutti i fedeli.
Il relatore ha considerato pure la tradizione luterana del ministero, che si discosta molto da quella cattolica sulla concezione del sacerdozio. Tuttavia Lutero non ha mai pensato ad una laicizzazione del ministero, sostenendo che il pastore agisce in persona Christi. Non intende poi la sua funzione come pura delega da parte della comunità, riconoscendole quindi una certa “sacramentalità”.
Dianich non ha trascurato il grande problema del ministero ordinato della donna, sostenendo che il cammino verso di esso è inesorabile nonostante il blocco dottrinale posto da Giovanni Paolo II. Il no attuale ha sue motivazioni che, tuttavia, è difficile qualificare come talmente rigorose da giustificare una chiusura definitiva.
Nel corso della storia la dottrina si è dunque modificata, adattandosi ai mutamenti storici. Merito della lectio di Flavio Dalla Vecchia, che insegna Sacra Scrittura nello studio teologico “Paolo VI” di Brescia, è di aver mostrato come questo sia in qualche modo richiesto dal testo evangelico stesso. Nella sua relazione, che ha aperto il convegno, ha commentato il capitolo 13 di Matteo dove Gesù afferma: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove da cose antiche». È proprio tale azione che rende possibile al Vangelo di parlare al proprio tempo. Lo stesso Matteo lo fa: traendo “cose nuove” dall’insegnamento di Gesù e, rimanendo perfettamente aderente a esso, egli cerca di renderlo più adeguato, più comprensibile, al suo uditorio, che non è più quello della gente di Galilea, ma è fatto di cittadini, forse di Antiochia.
Anche l’elezione, voluta dagli apostoli, di sette persone cui affidare il servizio delle mense e dei poveri, raccontata in Atti, è una cosa totalmente nuova rispetto all’insegnamento di Gesù. Lo stesso accade pure con la circoncisione. Gesù non ne parla. È Paolo che sceglie di non imporla più, cosa che poi diventa prassi di tutta la Chiesa. È sempre necessario, dunque, “trarre cose nuove” dalle parole di Gesù e, quando queste non ci sono, capire, seguendo lo spirito del Vangelo, dove ci vuole portare Dio.
Paolo Bertezzolo
*Non avendo potuto per ora “ripensare” in proprio il messaggio e gli interventi del Convegno della rete “Viandanti” del 26 ottobre a Bologna, riprendiamo da “www.adista.it” del 14 novembre 2019 l’articolo di Paolo Bertezzolo, saggista, già insegnante di Storia e Filosofia, dirigente scolastico e deputato nell’XI legislatura.