Koinonia Novembre 2019


UMANESIMO CRISTIANO

 

Si parla molto di Umanesimo, da qualche tempo. Ha avviato una forte attenzione al termine e al concetto il convegno della CEI di Firenze, dedicato appunto ad un “nuovo umanesimo”. Ne ha parlato di recente il Presidente del Consiglio, ribadendo l’idea di un “nuovo umanesimo” come orizzonte ideale del nostro Paese. Gli ha fatto eco il vescovo Bruno Forte, cogliendo l’occasione per distinguere (distinzione peraltro sistematica all’interno del convegno ecclesiale) tra “umanesimo cristiano” e “umanesimo laico”, il quale ultimo in qualche modo si rifarebbe allo specifico Umanesimo della nostra storia culturale e letteraria.

 

Io credo che occorra introdurre alcune opportune precisazioni o, meglio, disambiguazioni, per precisare meglio il valore dei termini, senza confusioni o sovrapposizioni, e per non rischiare, nel contempo, di perdere di vista contenuti importanti, sommersi da equivoche e sbrigative semplificazioni.

Lasciando da parte il senso attribuito al termine umanesimo da Giuseppe Conte (che risponde certamente all’idea generica di una società più giusta), vorrei fermarmi sull’intreccio di problemi nato in ambito ecclesiale. Che cosa è l’umanesimo cristiano e che rapporto ha con l’Umanesimo della nostra tradizione? La risposta alla prima domanda da parte della Chiesa è lampante: il nuovo umanesimo cristiano è il vero umanesimo, che si realizza in Cristo, poiché solo in lui si attua la vera umanità. Ma quanto alla seconda domanda, dobbiamo rispondere che nulla ha da dire al cristianesimo il vecchio Umanesimo storico?

 

Io penso che si debba prendere coscienza degli autentici contenuti (molto spesso misconosciuti o misinterpretati) dell’Umanesimo e coglierne tutta la portata propositiva: poiché ancora oggi possono aiutare in modo stimolante la società cristiana in una evoluzione positiva.

 

Innanzitutto va chiarito che cosa si intende storicamente per Umanesimo. Si tratta di un movimento complesso, che si dipana dal Petrarca fino alla seconda metà del ’400, e che si sviluppa in varie sedi, con differenze anche significative nel tempo e nella geografia, ma comunque caratterizzato da un notevole rinnovamento culturale, ideologico, civile e figurativo (l’Umanesimo letterario convive con la riforma architettonica del Brunelleschi e con la nascita della prospettiva di Masaccio, Donatello, Leon Battista Alberti, e infine Piero della Francesca, per citare solo i vertici). L’Umanesimo non si identifica dunque, come spesso si ritiene, con la fase finale del Quattrocento, incentrata nelle figure di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, che avvia un percorso notevolmente diverso rispetto ai decenni precedenti, connotato da una forte tendenza spiritualizzante, dalla teologia cristiano-platonica, dall’ermetismo.

 

Quali furono dunque gli elementi caratterizzanti dell’Umanesimo storico, almeno nelle sue punte più avanzate? In particolare (poiché questo è l’ambito del discorso che ci interessa) quale fu la sua religiosità?

Devo dire prima di tutto che la ‘radice’ dell’Umanesimo non fu cristiana, ma classica. Ciò che unifica in modo incondizionato tutto l’Umanesimo è la ‘riscoperta’ del classici: uno straordinario fenomeno culturale, sui cui particolari non posso certo soffermarmi, ma che riportò alla luce classici latini sepolti in vecchie biblioteche e soprattutto riportò in occidente tutto il patrimonio della cultura greca, in larghissima parte ‘dimenticato’ nell’età medievale per la divisione tra Occidente ed Oriente. Senza l’Umanesimo la cultura europea sarebbe rimasta priva di testi fondativi – poetici (come Omero, Esiodo, i lirici…), tragici, comici, satirici, storici, filosofici (come Platone, noto solo molto parzialmente nell’età precedente), grammaticali, scientifici e medici – e avrebbe perso metà delle sue radici. Il Medioevo non aveva certo rotto i ponti con la cultura classica, ma l’Umanesimo rinfranca i rapporti con la classicità in modo diretto, esplicito, autentico, integrale, senza arbitrarie selezioni, travestimenti, mistificazioni. È una rivoluzione culturale potente, unica nella storia, e a cui siamo debitori tutt’oggi.

 

Ma non si tratta solo di una svolta culturale, pur grande, e tanto meno di una svolta erudita. Il ‘ritorno ai classici’ origina da una rinnovata concezione dell’uomo e nel contempo la fortifica. Privilegiare la linea ‘classicistica’ significa, per gli umanisti, puntare l’attenzione su di una particolare visione dell’uomo che dai classici appunto deriva, laica, storicistica, naturalistica, critica, dialogica, tollerante.

 

E questa concezione dell’uomo ‘classico’ aiuta anche a realizzare una spiritualità cristiana di tipo nuovo. È proprio grazie al ‘dialogo’ coi classici (Petrarca parla di ‘colloquio’ con gli auctores, come con amici del cuore), nella integrazione e non nella distinzione dei punti di vista, che l’Umanesimo matura una spiritualità cristiana in larga misura diversa da quella del Medio Evo e molto vicina a quella moderna. Insisto su questo aspetto. La verità cristiana è una, ma la comprensione che si ha di essa matura nel tempo, anche a contatto con altre esperienze. Senza una apertura ad un mondo ‘altro’ come quello classico non sarebbe stato possibile operare la svolta verso un cristianesimo meno ascetico, più incarnato, più dialogico.

 

Vediamone alcuni aspetti.

 

L’Umanesimo cristiano valorizza l’uomo completo, anima e corporeità, spirito e materia, entrambi positivi, senza nessuna fuga verso l’ascetismo, il distacco, la rinuncia. Un dialogo sul vero bene di Lorenzo Valla (un autore largamente rappresentativo del migliore Umanesimo) presenta il corpo, il piacere, la sessualità come elementi validi del vivere, anche nella prospettiva della Vita Eterna, dove il Cristo glorioso viene incontro agli uomini accogliendoli nella integralità del loro essere. Giannozzo Manetti scrive un De dignitate hominis (in contrapposizione al De contemptu mundi di papa Innocenzo III) che considera in positivo l’uomo in tutti i suoi aspetti, anche materiali. La riforma pittorica insiste sulla fisicità delle figure, immerse in uno spazio prospetticamente disegnato, ben lontane dalla linearità delle figure gotiche. Nel contempo, l’esaltazione dell’uomo (centrale certo nell’Umanesimo, ma non così radicale come sempre si dice) si accompagna alla coscienza del suo limite, senza idealizzazioni eccessive. La voce più chiara in questo senso è quella di Leon Battista Alberti che in molti scritti umoristici, dissacranti ed amari, smaschera le doppiezze dell’uomo e le sue interne contraddizioni: l’anelito puro alla virtù e insieme la incapacità di realizzarla e quindi la creazione di una falsa facciata virtuosa che cela in realtà il suo opposto; l’illusorietà di certi troppo alti obiettivi, che inevitabilmente degenerano, negli animi angusti, in surrogati penosi, risibili o sconci; la difficoltà di una gestione onesta del potere, spesso sopraffatta dalla cupidigia e dall’uso avido del denaro.

 

L’Umanesimo cristiano vive nella storia, non più ‘valle di lacrime’, ma luogo efficace di costruzione della città terrena, anche in vista di quella futura. Il cosiddetto ‘Umanesimo civile’ fiorentino di primo Quattrocento vede gli intellettuali impegnati nella società, con prestigiose cariche pubbliche nelle quali la cultura viene intenzionalmente messa a servizio del bene comune. Un’ampia trattatistica riguarda la vita familiare, la gestione dell’economia, le relazioni sociali, la politica, con acuta attenzione a organizzare e pianificare la vita, a realizzare le capacità umane, a prevenire o sostenere, con sagacia, i possibili colpi della fortuna.

L’Umanesimo cristiano dà voce ai laici credenti, che, sia pure tra difficoltà, si assumono l’onere di mettere la propria competenza di studiosi al servizio della chiesa, osando ad esempio affrontare con gli strumenti umani del sapere anche questioni religiose, come la revisione della traduzione della Vulgata del Nuovo Testamento, sacro appannaggio, per secoli, del clero. Quella degli umanisti è, quindi, la scelta, molto moderna, del laico cristiano, impegnato nella realtà terrena a utilizzare in modo positivo e responsabile tutte le proprie attitudini e potenzialità e a ‘preparare’ in questo modo, su questa terra, ‘i cieli nuovi’ prefigurati dalla Scrittura.

 

L’Umanesimo cristiano è dialogico, aperto agli altri e alle idee degli altri senza dogmatismi e preclusioni. Gli umanisti ‘ri-inventano’ il dialogo (moltissime opere degli umanisti sono dialoghi), ben diverso dalla quaestio medievale – dove l’apparente dibattito tra due punti di vista approdava poi alla fine nella risoluzione definitiva ed univoca del magister – e invece organizzato come la disputa in utramque partem di classica memoria. Si costruisce la ricerca della verità valorizzando ed intrecciando posizioni diverse, ugualmente rispettate ed ugualmente valide, e si conclude in modo aperto, o con una valorizzazione degli elementi positivi emersi, oppure, molte volte, con un rinvio ad una indagine ulteriore e ad ulteriori prospettive che possano emergere dal confronto con altre parziali verità. Lo stesso dialogo coi classici cui accennavo prima è sintomatico: l’umanista non si rapporta ai classici per ‘adattarli’ alla propria sensibilità (basti ricordare le molte mistificazioni nei confronti dei classici di età medievale, in cui, per giustificare la lettura di quegli autori, si cercavano in essi improbabili sensi riposti di tipo cristiano, oppure si inventava un Seneca cripto-cristiano o si attribuivano valori messianici all’egloga IV di Virgilio), ma per ascoltarli e conoscerli nella loro verità e per imparare da essi, e quindi per rivedere alla luce della loro lezione anche la propria religiosità.

 

L’Umanesimo cristiano è, infine, quello di un uomo libero e critico: tutta la vita di Lorenzo Valla è consistita in una battaglia per la libertà, contro l’adesione a-critica verso autorità e tradizioni, contro falsità o leggende pur consacrate dalla communis opinio (anche ecclesiale), contro asserzioni non verificate. Una figura di un uomo altamente autonomo e responsabile, in una certa misura padrone della sua vita e delle sue scelte, ma sempre al servizio della verità.

 

Ho parlato non a caso, e sempre, di umanesimo cristiano, perché tutti gli aspetti che ho rilevato connotano, come è evidente, il peculiare cristianesimo degli umanisti. Non Umanesimo anti-cristiano, come pure è stato denunciato da più parti e in più momenti, addirittura da taluni contemporanei degli umanisti, dotti uomini di chiesa scandalizzati dalla lettura dei classici ‘licenziosi’ e dal distacco dalle forme della cultura medievale. Ma Umanesimo portatore di uno specifico cristianesimo.

 

Quali allora, per chiarire fino in fondo, i rapporti degli umanisti con la chiesa e con la verità rivelata?

 

Nei confronti della chiesa istituzionale (papi, curia, alti prelati) l’atteggiamento generale è fortemente critico, senza una grande distinzione, in questo, rispetto alle accuse di ipocrisia, sete di potere, avidità espresse dalle voci più aspre del Medio Evo (basti pensare a Dante). Caso mai cambiano le modalità: dove Dante non poteva far altro che deplorare amaramente la cosiddetta ‘donazione di Costantino’, causa di degenerazione dell’autentico spirito evangelico del papato e della comunità ecclesiale, Lorenzo Valla, animato dallo stesso desiderio di rigenerazione della chiesa, ebbe invece gli strumenti, in quanto filologo e linguista, per dimostrare la falsità di quel documento che per secoli aveva sostenuto il potere temporale della chiesa di Roma.

 

Nei confronti dell’adesione di fede, pur tra comportamenti diversi tra umanista e umanista (da una fede convenzionale ad una fede partecipata e vitale), permane una costante, da Petrarca in avanti: il rifiuto della teologia basata sulla metafisica Aristotelico-Scolastica. Il tortuoso sistema sillogistico soprattutto della tarda Scolastica che mirava a ‘dimostrare’ in qualche modo i fondamenti della verità rivelata, risulta ostico, astratto, e per di più limitante nei confronti della immensità e indicibilità del Mistero. Lo stesso linguaggio specialistico e tecnicizzato della dialettica Scolastica, appositamente creato modificando la lingua comune, con la pretesa di designare così i concetti universali (i ‘trascendentali’ e le ‘categorie’) e quindi di ‘definire’ e ‘conoscere’ l’essenza delle cose, risulta illegittimo e privo di senso, poiché si percepisce che la ragione umana e la lingua che ne è il veicolo espressivo sono incapaci di ‘dire’ con verba ciò che è superiore alla ragione stessa.

 

Che tipo di discorso utilizzare, allora, in teologia, per parlare del Dio cristiano? Vano il tentativo, anzi foriero di eresia, di ‘definire’ il Mistero con parole filosofiche, resta agli umanisti il modello della Sacra Scrittura o dei Padri della Chiesa, che ricorrono al linguaggio delle immagini, dei simboli, delle figure, della storia di un Popolo che via via introduce alla Salvezza divina. È attraverso questa strada che l’uomo dell’Umanesimo si accosta all’Assoluto. Nella faticosa ricerca delle verità attraverso la storia, nel dialogo aperto e libero con quanti la cercano con onestà, per un cristiano la «veritas idest Deus» si offre, attraverso la parola della Sacra Scrittura, come criterio ultimo di giudizio e permette di ancorare ogni forma di verità parziale conquistata alla Verità infinita, uscendo quindi dall’autonomia e dal soggettivismo assoluti.

 

L’ultimo scritto di Lorenzo Valla, una predica sull’Eucaristia (Sermo de mysterio Eucharistie) è assolutamente sintomatica. L’umanista spazza via tutte le ansiose disquisizioni di come il pane diventi Gesù o Gesù diventi pane, senza mai nemmeno menzionare il termine transustanzazione, e utilizza invece tutti i possibili riferimenti scritturali, parlando dell’Eucaristia come mistero di Grazia, come dono dell’amore del Padre e del Figlio, come alimento concreto (Dio si fa carne che noi mangiamo nutrendoci materialmente e spiritualmente), come comunione perenne tra Dio e l’uomo.

 

Credo a questo punto che risulti ben chiara la particolare spiritualità dell’Umanesimo. La fine del Quattrocento segna però, come dicevo, uno stacco, che si accentua col Cinquecento, in parte erede della stagione umanistica per la grande poesia e i grandi storici, ma anche da essa distante per uno studio del classici più erudito e grammaticale e, in ambito ecclesiale, per un clericalismo ancora più accentuato. Ma il vero arresto della spinta propulsiva avviene col Concilio di Trento, dove una Chiesa timorosa serra i ranghi, rinnova il trionfo della metafisica Aristotelico-Tomista, riconosce come unica espressione legittima della Sacra Scrittura la Vulgata, emarginando di fatto la prospettiva biblico-patristica dell’Umanesimo, chiude nel dogmatismo e nella precettistica ogni libertà di pensiero. L’Umanesimo risultò perdente in Italia, a parte riaffiorare (pur con opportuni distinguo) in talune figure isolate e potenti, come Giordano Bruno e Tommaso Campanella, la cui dolorosa fine ci è purtroppo ben nota. Ma il testimone passò altrove. Ce lo dice la circolazione dei libri degli umanisti, in manoscritti prima e in stampe poi, che valicarono le Alpi ed arrivarono ad alimentare il pensiero dell’Europa moderna. Troppo lungo sarebbe elencare i molti tramiti, taluni nettissimi, talaltri oscuri, attraverso cui l’Umanesimo circolò Oltralpe, come si riprodusse in Erasmo (grandissimo estimatore del Valla), come incise sulla Riforma e sul rinnovamento della chiesa, come penetrò in filosofi illustri, Hobbes, Kant, gli illuministi, come contribuì a rimodellare la pedagogia e in genere ogni forma di cultura. Nell’impossibilità di ripercorrere tutte le vie della diffusione e tutti i contributi che l’Umanesimo fornì all’Europa, mi piace accennare almeno ad un aspetto, più recente. La teologia biblico-patristica dell’Umanesimo visse sommersa, rivitalizzata via via da taluni teologi. Ma riesplose con l’ultimo Concilio. Ricordo ancora il mio stupore e la mia commozione quando leggendo la Lumen gentium non vi ho più trovato le definizioni filosofiche delle realtà di fede (ancora praticate nei corsi di teologia dell’Università Cattolica da me frequentati negli stessi anni del Concilio!), ma, al contrario, come nella teologia di stampo umanistico, le immagini bibliche del popolo di Dio, di Cristo pastore, del sacerdozio universale su fondamento cristocentrico, ecc. ecc.

 

Credo dunque, per concludere, che l’Umanesimo possa effettivamente essere, se ben conosciuto e correttamente stimato, una fonte esemplare del rinnovamento cristiano, soprattutto nel mondo attuale, a fronte delle forme ricorrenti di intolleranza, dogmatismo, integralismo che dominano la nostra società, e spesso la nostra chiesa. Credo anzi che in questi termini possa davvero proporsi come un modello nella ricerca di un “nuovo umanesimo”.

 

Mariangela Regoliosi

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