Koinonia Novembre 2019


RICORDANDO SORELLA MARIA :

spingersi al largo (III)

 

3) assiduità con la Parola di Dio. Il 29 febbraio del 1948 commemorando al crepuscolo la memoria di Bapu (Gandhi) legge un suo discorso sulla Gita, che egli chiama la Madre:   

La Gita non è soltanto la mia Bibbia o il mio Corano, scrive il Mahatma, è ben più di ciò: essa è mia Madre. (...) Quando io sono in difficoltà o in afflizione cerco rifugio nel suo seno. Mi offre lezioni sempre nuove. E se qualcuno mi dicesse ch’io m’inganno, gli risponderei che abbraccerò questo inganno come il più ricco dei miei tesori. Consiglierei di cominciare la giornata con la meditazione di un versetto o di alcuni versetti. Il ricordarli vi sosterrà nella prova e vi consolerà nei dolori, anche nell’ oscurità della solitudine.

Osserva la Minore: Possiamo imparare da lui la venerazione e la fede nelle Sacre Scritture (per noi la Bibbia e in modo speciale il Vangelo e il Nuovo Testamento). Vorrei condurre voi pure alla Madre, che illumina e alimenta, purifica e perdona.

Era comune all’Eremo la ripetizione e la memorizzazione di brani della Scrittura ed anche la lettura di alcuni apocrifi, della Didachè «per noi un gioiello di semplicità pura» o della Lettera a Diogneto.  Tutto ciò dimostra come sia essenziale tra le sorelle l’abitudine a pregare la Parola, certo anche i canti e le composizioni devozionali, certo anche il rosario, costante nella Minore, che considera «una perla la devozione a Maria” pur non ritenendola “un necessario”. «Vi sono spiriti che non sentono questo bisogno» afferma, «ma chi lo sente trova una perla. Lasciatelo dire ancora una volta a questa vecchia devota che non si è davvero pentita della sua fedeltà e fiducia in Lei». Ciò che è centrale resta tuttavia pregare con la Parola, anche l’Ave Maria evangelico (senza cioè la seconda parte) e soprattutto il Padre Nostro di cui Sorella Maria dice: «Fate sì che il Pater sostenga per tutta la vita e accompagni la vostra ricerca religiosa. E allora il Pater Noster diverrà per voi una luce che condurrà il vostro cuore verso l’apertura universale e cattolica che è la meta del nostro cammino religioso e di figli della Chiesa cattolica». E poi ancora: «devono esserci cari i salmi perché erano i canti di Gesù, di Maria. Perciò invece di tante preghieruzze che non si sa di dove sono uscite e sono tante melensaggini, si dovrebbe conoscere i salmi appunto per ricordo di Gesù». Quella di Sorella Maria è quindi una forte spiritualità biblica, la ruminazione continua della Parola è stata alimento della vita dell’Eremo. Non con un approccio da esegeti e tanto ‘meno con una mentalità letteralista. No, a Campello la Scrittura illumina la cultura e la vita ma anche la vita, la poesia, la letteratura, l’arte, la musica, la sapienza umile migliorano l’ascolto della Parola di Dio, ci fanno crescere in una comprensione sempre maggiore e però sempre inesauribile, capace di novità permanente da attendere più che da catturare. Va detto con chiarezza tuttavia che né l’ascolto della Parola né «le opere del culto servono se non si è misericordiosi».

 

4)Servire la vita nel mistero del dolore e della sofferenza

Abbiamo visto in altro momento come Sorella Maria escluda per sé e per le sue compagne la vocazione all’apostolato, perciò è tanto più significativa l’assoluta centralità che ha nella vita dell’Eremo l’attenzione alla sofferenza, la quale in alcuni casi, si traduce in una totale apertura a qualsiasi bisogno. Attenzione alla sofferenza è anche nell’ordinarietà delle situazioni umane, farsi carico del dolore, con soffrire con chi è in difficoltà, nel l’angoscia, nella sventura, ascoltare, star vicino, saper tacere accompagnando o pregando.

Io non ho scelto una religione - così rispondeva Sorella Maria nel 1939 ad un amico sofferente - la mia religione è la mia comunione con chi amo e con chi soffre. L’altare cui mi avvicino con cuore tremante e appassionato è il corpo lacerato del male. La mia fede è nel potere unico dell’affetto.

Questo equilibrio tra rito e vita è una caratteristica essenziale dell’esperienza di Campello. Senza di ciò non si comprenderebbe una così netta affermazione del primato dei poveri e dei sofferenti: «ai sofferenti si deve dare sempre la precedenza in qualunque giorno e in qualunque evento».

Questo primato dell,amore anche sulla fede («senza l’amore dei fratelli l’amore di Dio è un’illusione”) fa pensare a quanto Charles Peguy (1873-1914) fa dire al Padre con fortissima tensione lirica, a proposito della svolta radicale nata sul Golgota: «L’avventura con la quale mio Figlio m’ha legato le braccia / Eternamente legando le braccia della mia giustizia, eternamente sciogliendo le braccia della misericordia / E contro la giustizia inventando un’altra giustizia / Una giustizia d’amore».

Tipica della Minore è anche l’attenzione a non creare sofferenza e turbamento, a mettere “una goccia d’olio” sugli attriti, non per un vogliamoci bene melenso e zuccheroso ma perché la chiarezza delle posizioni ed anche la parresia con le sorelle e i fratelli, che mai le ha fatto difetto, non cali su di essi come un “occhio censore” e non getti il turbamento che crea rancore.

5)«Quella di voi che fa più sforzo per rallegrarsi e per rallegrare», dice Sorella Maria alle sue compagne, «è quella che più serve la vita». In lei la gioia è l’altra faccia della sofferenza, come essa è un mistero; «io conosco la mia arpa, (...) io che nonostante tutto, nonostante la mia partecipazione alla passione di chi soffre, la mia ansia per chi amo, sono capace di gioia. Ed è questa la mia arpa (...). Possiamo giungere alla virtù della gioia! Ma è uno sforzo violento; del resto il Cielo è per i violenti». Si può giungere a conquistare tale serenità. E non tenere accesa «la lampada della serenità è una colpa». Ma la serenità e la pace sono prima di tutto frutto di una disciplina e di uno sforzo, di una crescita che costa fatica, chiede preghiera, domanda grazia. D’altra parte non si può essere operatori di pace se non si è uomini maturi e pacificati con se stessi: «per dare la pace non basta mettersi sul volto la maschera della pace; bisogna crearla dentro di noi». Inoltre la pace richiede capacità di perdono, il più difficile e il più necessario compito di un cristiano; solo esso infatti rompe la catena delle risposte colpo su colpo e crea un’asimmetria che spiazza l’aggressività e consente di “ricominciare sempre”. E la pace richiede non “resa”, ma rispetto per gli altri e realistica consapevolezza che “gli altri non si possono riformare”.

Sorella Maria dialoga sul valore della pace con Gandhi, con Aldo Capitini , con Primo Mazzolari, con Ambrogio Donini; si sente vicina allo spirito della non violenza ma senza alcuna adesione ideologica. In realtà il suo ancoraggio è alla pace non come la dà il mondo ma come la può dare Gesù: «vi dò la mia pace».

Sorella Maria ha fortemente presente la profondità del male ed intuisce che spesso gli uomini chiamano pace una sorta di tregua armata, magari scaricata su qualche capro espiatorio. Questa non è vera pace e «Cristo non può recare agli uomini la pace che è propria di Dio senza prima toglierei l’unica pace di cui disponiamo». La Minore non banalizza la ruvida dialettica della terra. Per questo, secondo la Minore, la fede è Gesù, è lui che ci fa l’esegesi del Padre, è lui «olio per chi lo cerca, luce, cibo, medicina». È Gesù che può concederei “il dono di sanare e dare la pace”.

Quelli che ho chiamato assi del pensiero religioso di Sorella Maria ci fanno capire perché e quanto la sua esperienza abbia parlato e continui a parlare a coloro che con sincerità cercano, nella fede ed anche in un’onesta e pensosa incredulità, il senso della vita e il destino dell’uomo; a quanti cercano di vivere una vita bella e buona in questa terra nella compagnia degli uomini e delle altre creature; a chi spera che la morte non sia l’ultima parola e che sia più forte l’amore o a quelli che confidano nella promessa di Dio, seguono il Signore ed attendono il suo ritorno. A Valeria Pignetti fu concesso di aspettare, ormai vecchia, la sua ora come un transito, di salutarla ogni giorno pregandola di “essere lieve, di non far male”. «Che farei se fosse l’ultimo giorno della mia vita? Vorrei avere riposato mezz’ora di più. Non mi affretterei, getterei amore dovunque (...). Bisogna familiarizzarsi con Sorella Morte, ve lo dice una che ama appassionatamente la vita (...). Ed è pure tempo che lavoriamo a filare e a ingemmare la nostra veste nuziale; ed è lui, quello che osiamo e non osiamo chiamar sposo che vuole la veste nuziale. Finora non abbiamo che stracci».

Il 24 aprile 1943, al lucernarium, la Minore, dopo aver ricevuto da Sorella Iacopa l’ultimo versetto d’augurio con scritto “sarà lieta nell’ultimo giorno”, così esprime il senso della vita sua e delle sue compagne all’Eremo di Campello: “Sarà questa la mia serenità nell’ultimo giorno: che la nostra comunione sia stata una realtà quotidiana sacra. E poiché tanto ho ricevuto da voi (...) vi offro io pure la mia piccola ostia vivificante: «ubi enim sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum» (Mt 18, 20). Questa presenza del Signore in mezzo a noi sia la nostra luce perenne, la nostra gioia, la nostra fortezza, la nostra pace. Fino al giorno in cui ci ritroveremo nei «domestici eterni” .

 

Mariano Borgognoni

(3. fine)

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