Koinonia Ottobre 2019
IL MIO RICORDO DI MARTINO NEL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE
In occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Martino, mi sono messo a rileggere un po’ a volo di uccello alcune pagine dei suoi scritti, soprattutto quelli apparsi nei due volumi L’erba e le pietre e Mai dire fine. Era qualche anno che non lo facevo più e mi sono accorto che non poche delle sue pagine sono inaspettatamente attuali ancora oggi.
Per il momento ho voluto tentare una specie di “prova finestra” (una pubblicità molto vecchia: si poneva qualcosa di bianco, appena uscito dalla lavatrice, di fronte ad una finestra aperta per dimostrare l’efficacia del detersivo usato), chiamandola “prova vent’anni”, per constatare se c’è o no una continuità o una contiguità tra ciò che ci ha lasciato Martino nei suoi scritti e ciò che penso io oggi su alcuni punti che sono per me di particolare rilievo. Mi riferisco a quella che viene chiamata “teologia post-religionale”, in particolare sul concetto di Dio, sulla missione di Gesù, sul ruolo della religione e delle chiese.
E parto da me. Da tempo non credo più ad un Dio-Theos personale. Vorrei qui citare la prima delle 12 tesi di J.S.Spong, che io condivido totalmente e che riguardano prevalentemente la parte “occidentale” del mondo: “Il teismo come modo di definire Dio è morto. Non possiamo più percepire Dio in modo credibile come un essere dal potere universale, che vive nell’alto dei cieli ed è pronto a intervenire periodicamente nella storia umana, perché si compia la sua divina volontà. Pertanto, oggi, la maggior parte di ciò che si dice su Dio non ha senso”. Questa prima tesi è determinante per tutte le altre 11, dalla cristologia, al racconto biblico della creazione con il peccato originale, alla nascita verginale, alle storie dei miracoli del Nuovo Testamento, all’interpretazione della morte di Gesù in croce come sacrificio per i peccati, alla risurrezione come evento fisico all’interno della storia umana, all’ascensione di Gesù al cielo, ecc. (per chi fosse interessato a questo autore come a molti altri che sostengono questo tipo di teologia consiglierei, per iniziare, il volume Oltre le religioni, Gabrielli editori).
Non credo, inoltre, che l’intenzione di Gesù sia stata quella di fondare una chiesa o una nuova religione con norme teoretiche e pratiche rigide ed immutabili, ma piuttosto quella di umanizzare l’umanità; il Vangelo, la buona novella, non è un messaggio religioso, ma un progetto di vita laico con al centro l’amore per gli altri, a cominciare dagli ultimi. Naturalmente tutto ciò vale per me oggi, anche se da un pel po’ di tempo. E lo espongo volutamente in modo super ristretto, solo per avere dei termini di riferimento da confrontare con ciò che Martino ci ha lasciato di scritto.
Ho consultato solo alcuni dei suoi scritti per fare un breve confronto con i temi che ho appena esposto. Ho individuato due delle prime “lettere ai nipoti” nelle quali parla esplicitamente di Dio. Nella prima (Ho ritegno a nominare Dio. Sono ateo?) dopo aver affermato che “anche Dio è invitato a lasciare la sua terra (definizioni ontologiche: chi è) e ad emigrare verso l’ignoto (la sua incontrollabile e sorprendente presenza nel divenire umano)”, dichiara che ha sperimentato su se stesso due atteggiamenti diversi: “tacere di e su Dio” oppure “parlare bene di e su Dio”. Nel primo caso “chi tace su Dio è ateo o sospetto di ateismo. Un rischio sopportabile”. Nel secondo caso si tratta di “una sfida carica di fascino che richiede supplementi di creatività, di fantasia e di altre sensibilità”. Doti che Martino trova soprattutto nel linguaggio delle donne (“un Dio leggero… dove non ci sono macigni di verità… che conduce ai mille volti dell’altro/a” – Carla Ermoli); “Credo che Dio vada soprattutto scoperto fra di noi più che detto o definito dall’alto” – Katharina Hess).
Nella seconda (Dir bene di Dio) affronta di nuovo il tema Dio, andando più in profondità. Un tema che riprende anche in La violenza nell’immaginario religioso. Prima accenna ai vari tipi di teologia su Dio: teologia negativa (quella del “non è”), teologia apofatica (su Dio sceglie il silenzio), teologia narrativa (non dice com’è Dio, ma indica dove è Dio nelle esperienze personali e collettive). Poi passa alla teologia speculativa, che lui chiama “la teologia… dell’impossibile”, quella cha ha maggior seguito e peso. A questa teologia si devono chiedere due cose: “essere consapevoli che si tratta sempre di un parlare di e fra uomini” e “cercare di proiettare su Dio, di attribuire a Dio, soltanto il bene dell’umanità”. Dio è “inevitabilmente proiezione dell’uomo, ma ciò non significa affatto Dio “invenzione” dell’uomo: Dio è o non è indipendentemente da noi”. Subito dopo aver affermato “Dio noi è teocentrico ma antropocentrico: la sua gloria è l’uomo vivente” passa ad affrontare brevemente l’ormai classico ed insoluto problema di dove era Dio ad Auschwitz.
Per chi non crede più in un “Theos” personale creatore e signore dell’universo e che interviene come e quando vuole in particolare nei riguardi dell’essere umano, la risposta alla domanda dove era Dio ad Auschwitz (ed in tutti gli altri tempi e luoghi in cui sono avvenute stragi, soprusi, ingiustizie, guerre, ecc.) è piuttosto semplice: non c’era, perché tale “Theos” non esiste e ciò che è successo è da ascrivere interamente agli esseri umani. Per chi invece è convinto della presenza di un Dio personale come lo abbiamo appena descritto, la risposta può essere solo una: non c’era ad Auschwitz ed in tutti gli altri tempi e luoghi perché non ha ritenuto necessario od opportuno esserci. Ma nessuno ha il coraggio di dare questa semplice risposta, preferendo mille modi diversi di difendere Dio dal suo non intervento. Perché questo è il problema: bisogna difendere Dio da tutto il “male” del mondo, non solo da quello operato dall’essere umano, ma anche da quello operato dalla natura: le malformazioni dei bambini, gli uragani, i terremoti, e via enumerando fino alle inondazioni ed altri disastri come punizioni di Dio (è stato detto anche questo!). La risposta di Martino è quella classica di alcuni (un po’ più moderni) appartenenti alle chiese ed alle religioni: “Dio non è intervenuto non perché non volle, ma perché non fu in condizione di farlo” (H.Jonas), perché nell’atto stesso della creazione Dio rinuncia alla sua onnipotenza e si “autolimita”. “Non è giusto, conclude Martino, addossare su Dio responsabilità che sono soltanto nostre”.
Fin qui nulla di nuovo. Ma leggicchiando qua e là in altri scritti di Martino al di fuori delle due lettere citate fino ad ora, ho trovato delle affermazioni che mi fanno percepire la sua posizione non così distante dalla mia. Se non in particolare su Dio, di certo sulla buona novella di Gesù e sulla chiesa. In una delle sue ultime lettere (Sto traslocando) scrive: “Il cielo non è affatto religioso… Rimanendo tutti nella sola (!) carità cioè tutti armonizzati nel senza confini, divisioni, contrapposizioni. Finalmente umanità e niente altro… Sopravvive ‘solo’ la carità. Senza etichette, nemmeno religiose, e nemmeno “cristiane”: vestire gli ignudi semplicemente perché è umanamente giusto che tutti abbiano protezione dal freddo e dal caldo; e sfamare e dissetare perché è umano, semplicemente umano che nessuno soffra la sete e la fame”. In Meccanismi sacrificali scrive: “In ogni caso ritengo valida la posizione di chi ritiene che le religioni vanno valutate in termini di “funzionalità”, in base alla loro positiva o negativa influenza sul mondo, a quanto sanno offrire in riferimento ai valori o disvalori universali che poi fanno il bene o il male dell’umanità”. E per finire con questo argomento in Livorno: inizio anni 70 e dintorni scrive: “Il fare chiesa è fine a se stesso o è funzionale alla crescita di buona convivenza umana senza sbarramenti ed etichettature?”. Per noi che li conosciamo sembra di leggere J.M. Castillo o J.M. Vigil.!: il ruolo futuro della religione è quello di umanizzare l’umanità.
Queste poche righe in ricordo di Martino vogliono essere, come dicevo all’inizio, solo un piccolo esempio di cosa si può ancora scoprire di profittevole per noi e per tanti altri rivisitando i tantissimi argomenti che Martino ha affrontato. E non solo per rimarcare convergenze o difformità di vedute, ma proprio per approfondire temi importanti di teologia, di storia, di comportamento, di relazioni, di connivenze, ecc., che raramente sono portati all’onore della riflessione.
Per chiudere vorrei proporre una immagine di Dio che forse Martino ha condiviso senza mai arrivare ad esternarla in modo esplicito. Quando afferma “finalmente umanità e niente altro” e “sopravvive ‘solo’ la carità”, e, usando le parole di K. Hesse “Credo che Dio vada soprattutto scoperto fra di noi più che detto o definito dall’alto” potrebbe anche aver voluto dire che non è importante un Theos personale, ma che può esistere un “divino” nell’istinto di bene che è presente in ogni essere umano quando non è soffocato da sconfinato egoismo personale. Ed in quel “divino” lì credo anch’io.
Leo Piacentini