Koinonia Settembre 2019
LA FEDE VEDICA COME AUTENTICA ESISTENZA UMANA
La fede vedica non è essenzialmente un assenso intellettuale perché, se lo fosse, sarebbe sottomesso alla “cosa” alla quale si dà assenso con la mente. Né è una sorta di fede cieca in alcuni esseri sovrumani. Abbiamo esempi di inni che esprimono non solo dubbio, ma ciò che qualcuno oggi chiamerebbe incredulità. La fede vedica, inoltre, non è un risultato o un prodotto della volontà, quindi non pone l’accento sulla responsabilità morale di colui che crede. È piuttosto una qualità dell’essere umano completo, è qualcosa di dato, o meglio di innestato, in questo essere. L’uomo è dotato di fede così come è dotato di altre qualità umane. Per questa ragione esistono in definitiva tanti tipi di fede quanti sono i tipi di uomini o persino quanti sono gli esseri umani.
La fede vedica è precedente al pensiero e anteriore alla volontà e alla decisionalità. È proprio la fede che rende possibile il pensiero; perché essa offre il fondamento senza pensiero da cui esso può emergere. È la fede che rende possibile la morale e altre decisioni, aprendoci l’orizzonte sul cui sfondo le nostre azioni diventano significative. Qualsiasi azione compiuta senza fede è solo un movimento istintivo o automatico senza un vero contenuto umano; a stento la si può definire veramente umana.
Si agisce con fede quando si agisce da una tale profondità che esclude ogni esitazione, quando si è sicuri di fare ciò che si sta facendo, cioè quando si compie un’azione che scaturisce dal sé più profondo e non da un’influenza o sollecitazione esterna. L’uomo di dubbia fede perisce; egli, infatti, distrugge se stesso. Non stiamo parlando dl esitazione intellettuale o di indecisione della volontà. Il nostro tema è la pulsione fondamentale e centrale dell’essere umano.
La parola della Bhagavad-gita (è il libro sacro più celebre della tradizione spirituale dell’India) citata più oltre è autoesplicativa; letale è il dubbio che penetra proprio nel cuore dell’àtman (l’essenza o il soffio vitale). La fede non si fonda sulle credenze, delle quali è possibile nutrire un dubbio intellettuale; essa si fonda su quelle convinzioni radicate nel nostro essere tanto profondamente da non esserne neppure consapevoli; la fede è la prima emanazione della vita, come leggeremo in un testo; è la radice nascosta dell’uomo dalla quale procede la reale crescita umana; è radicata nel cuore ed è costituita dall’intenzione del cuore, simbolo del nucleo dell’uomo. La fede viene espressa in credenze e azioni le quali, quando provengono direttamente da questa fonte interiore, possono essere chiamate autentiche, altrimenti sono credenze artificiose, pseudo azioni che falliscono il bersaglio. La fede è autentica esistenza umana.
Nell’Atharvaveda (una delle quattro suddivisioni canoniche dei Veda), una cintura è chiamata «Figlia della Fede» perché è nata dal tapas e vista come la sua dimensione più profonda. «La fede avvolge gli Dei, avvolge tutto questo mondo», afferma un altro testo, sottolineando la natura onnicomprensiva della fede. Senza di essa l’intero universo degenera in un modello meramente meccanico; tutto sarebbe automatico, risultato, al massimo, di un sillogismo logico, ma senza libertà e senza posto per l’ambivalenza umana. Sr?ddha, fede, ordine cosmico, vanno insieme. L’ordine cosmico non dev’essere equiparato alle “leggi di natura” scientifiche moderne: la fede dell’agente è parte integrante dell’azione eseguita. I tre gruppi di testi riportati sottolineano diversi aspetti della fede secondo le principali tendenze del periodo. i loro titoli intendono esprimere questa enfasi. Alcuni testi delle Upanishad (altro libro canonico Veda) devono essere letti nel loro contesto per essere meglio compresi, ma anche se isolati restano significativi.
La manifestazione concreta della fede secondo il nostro primo inno, che è rappresentativo del primo periodo, consiste nel credere nella pienezza di significato e nell’efficacia dell’azione sacrificale. In effetti, tale fede è essenziale per l’uomo che compie il sacrificio, perché senza di essa ci sarebbe solo un’azione meccanica e quindi senza frutto. Nel secondo periodo, quello delle Upanishad, la fede viene rappresentata come la condizione per avvicinarsi al guru in quanto, senza tale approccio, non può essere trasmessa o ricevuta alcuna vera conoscenza. La fede acquista qui la forma di una fiducia personale e concreta per amore della realizzazione suprema. Ma questa fede non dipende solo dalla nostra volontà, perché, anche se il germe della fede viene dato con la vita stessa, il risvegliarsi a essa viene concesso come una seconda grazia. L’inizio della storia di Naciketas, qui riportato, mostra come la Katha-Upanishad intenda la fede come grazia che prende possesso del giovane uomo e gli dà il coraggio di resistere al padre legato ai riti, un coraggio che lo conduce fino al regno della morte, lo guida attraverso il suo discorso con la Morte e lo porta infine a raggiungere la saggezza più elevata. Nella Gità, tanto per accennare al nostro terzo gruppo di testi, la fede viene esperita come abbandono amorevole al Signore ed è qui fortemente colorata di bhakti (la dimensione devozionale della fede).
Raimon Panikkar
In “I veda. Mantramanjari”, pp.139-142