Koinonia Settembre 2019
IL RITORNO DI MARX
Nel riflettere sulla figura di Karl Marx, e sul marxismo in generale, mi si permetta una noterella biografica. Io non sono mai stato uno studente brillante per tutto il tempo delle superiori. Ironia della sorte, ho frequentato il liceo scientifico, mentre sono particolarmente negato proprio in matematica e in fisica. Alla maturità fui presentato con discreti voti in filosofia, eppure feci fiasco proprio lì e fui rimandato in quella materia. A ottobre fui interrogato su Marx: feci un figurone e la commissaria si complimentò con me facendo pubblicamente autocritica.
Sono passati quasi sessanta anni da allora, ma quell’episodio è rimasto scolpito nella mia memoria e ho conservato un sentimento di “gratitudine” nei confronti del filosofo tedesco.
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Si può affermare senza ombra di dubbio che negli ultimi due secoli nessun pensatore, filosofo e politico ad un tempo, ha avuto una “fortuna” lontanamente paragonabile a quella di Marx. Dalla metà dell’800 a oggi il marxismo è stato il fondamento ideologico di movimenti sociali che hanno coinvolto miliardi di persone.
A tanta fama, però, è seguita una repentina eclissi. La caduta del comunismo sovietico (simbolicamente rappresentata dal crollo del Muro di Berlino del 1989) è stata presentata dal capitalismo trionfante come il fallimento non solo di regimi oppressivi che si definivano comunisti, ma dello stesso pensiero di Marx.
Il marxismo è una ideologia complessa, figlia, come tutte le ideologie, dell’epoca in cui è nata. Ad esempio l’idea che la religione è l’oppio dei popoli (pensiero comune ad alcuni filosofi del primo ‘800) è stata fatta propria da Marx e molti marxisti, successivamente, l’hanno recepita come una verità assoluta: pensiero legittimo, se si pensa agli orrori di cui si sono macchiate le religioni, cristianesimo compreso, nel corso dei secoli; ma aver sostenuto questa tesi come una realtà immodificabile rimane un limite storico del marxismo (1) e, a parer mio, una delle cause che ne hanno determinato la recente sconfitta.
Altrettanto si può dire del materialismo marxista. L’idea che la realtà non è che materia, come afferma Marx, è certamente una scelta possibile, ma è parimente legittima l’opzione contraria: quella della presenza di Dio, motivo di speranza per i credenti.
Tuttavia il cuore del marxismo, il movente che ha attratto fin da subito milioni e milioni di seguaci, prima in Europa, e successivamente in ogni parte del mondo, è stato il progetto di un cambiamento sociale radicale e definitivo, secondo il quale la classe lavoratrice avrebbe dovuto conquistare il potere spodestando la borghesia, realizzando così un mondo nuovo, fondato sulla giustizia. Un cammino lento, faticoso e non certo indolore in quanto la classe dominante, vedendo messi in pericolo i propri privilegi, avrebbe risposto con la repressione. (2)
La novità di Marx non consiste tanto nel sognare l’uguaglianza fra tutti gli uomini (tanti l’avevano fatto prima di lui), quanto piuttosto nell’avere analizzato scientificamente le cause dello sfruttamento e nell’avere individuato nella lotta organizzata della classe lavoratrice contro quella padronale l’unico mezzo in grado di ribaltare i rapporti di forza che fin dall’inizio della storia umana hanno costretto i molti a subire l’oppressione dei pochi.
La rivoluzione come Marx la intende non si limita a sostituire un nuovo gruppo di potere a quello vecchio, ma vuole realizzare un nuovo ordine sociale. Ecco perché non può essere confusa con le innumerevoli ribellioni avvenute nei secoli precedenti (3), ma implica un processo collettivo di maturazione delle coscienze. Di qui un atteggiamento di solidarietà e di fratellanza fra i compagni, ma anche un bisogno di capire la realtà in cui si vive, un bisogno di acculturarsi, perché solo un lavoratore cosciente dei propri diritti è disposto a battersi non unicamente per migliorare la propria singola esistenza, ma perché le stesse opportunità siano date a tutti. Di qui la creazione dei sindacati, con lo scopo di difendere gli interessi materiali dei lavoratori, le campagne di alfabetizzazione, le scuole popolari, le “Case della Cultura” che anche nel nome richiamano i valori della emancipazione dell’uomo dall’ignoranza e dalla subordinazione.
È un fatto che l’influenza del marxismo ha significato un netto miglioramento delle condizioni materiali delle classi più basse, ma è vero al tempo stesso che la sua realizzazione in molti paesi del mondo è avvenuta attraverso innumerevoli violenze e una forte limitazione della libertà. I gulag staliniani in Unione Sovietica, le guardie rosse in Cina ai tempi di Mao sono solo gli esempi più eclatanti di come anche le migliori utopie possano trasformarsi in un concentrato dell’orrore, in un buco nero che distrugge vite e speranze.
Poco a poco la consapevolezza di quanto male abbia compiuto il “comunismo reale” è diventata patrimonio comune, salvo rare eccezioni, anche tra quei militanti si sinistra che precedentemente avevano sostenuto il blocco dei paesi dell’Est. Tra i fautori del sistema capitalista, ormai senza rivali, c’è stato invece un processo opposto. Infatti l’ideologia oggi dominante rimuove il dato storico dei drammi provocati dal liberismo da due secoli a questa parte: gli orrori del colonialismo, del neocolonialismo, delle guerre imperialiste, delle morti per fame provocate da un sistema di sfruttamento feroce delle risorse dei paesi del Sud del mondo, dei disastri delle migrazioni di massa di interi popoli che si vedono oggi costretti ad abbandonare le proprie terre (4).
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Un capitolo a parte riguardo la “fortuna” o la caduta in disgrazia del marxismo vede in primo piano il ruolo del cattolicesimo. Per lungo tempo i vertici della Chiesa hanno demonizzato ogni forma di marxismo e nel contempo il marxismo ortodosso ha visto da sempre nella Chiesa un nemico. Ma a ben guardare il rapporto marxismo-cristianesimo è stato molto più complesso di quanto possa sembrare.
Al di là delle posizioni del Vaticano, anche dopo la scomunica dei comunisti molti cattolici italiani continuarono a votare per i partiti di sinistra, considerati difensori della classe lavoratrice e col tempo non pochi teologi e pastori si adoperarono per favorire un dialogo tra i due mondi. Allo stesso tempo nel Partito Comunista, e l’impegno di Enrico Berlinguer ha avuto un ruolo determinante in questo processo, venne meno la pregiudiziale antireligiosa.
Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II riguardo al rapporto col marxismo all’interno della Chiesa sono emerse posizioni profondamente discordanti e l’America Latina è il luogo in cui, a partire dagli anni ‘60, si è manifestato lo scontro più forte non solo tra i cattolici, ma anche tra gli evangelici, fra chi continuava a vedere nel marxismo un nemico irriducibile e chi, al contrario, considerava il marxismo uno strumento utile per spingere i popoli (e i poveri) verso un cammino di liberazione. Le comunità ecclesiali di base fondate dall’arcivescovo brasiliano Helder Camara, la lettura popolare della Bibbia, la Teologia della Liberazione hanno avuto un ruolo decisivo nell’introdurre alcuni elementi del marxismo (l’analisi economica e la lotta degli sfruttati contro ogni forma di oppressione) nella riflessione teorica e nella pratica sociale di milioni di cristiani.
Queste posizioni progressiste che cominciano a trovare una loro legittimità all’interno della Chiesa nel suo complesso (anche grazie alla presenza di papa Francesco) hanno una ricaduta non indifferente sul pensiero marxista contemporaneo: finalmente Karl Marx viene fatto scendere dall’“altare” dove era stato collocato e così il marxismo viene depurato dalle incrostazioni del tempo e viene a perdere quel carattere di “verità assoluta” che troppo a lungo è stata un dogma per tanti suoi seguaci. Anche per questo, nell’attuale congiuntura storica, così marcatamente egemonizzata dal neoliberismo e dal “pensiero unico” che l’accompagna, il marxismo, dato per morto e sepolto, sconfitto dalla storia, “archiviato”, per usare un termine di moda, torna a presentarsi nella sua attualità non più come un dogma granitico e escludente, ma come uno strumento utile per interpretare il passato e progettare un futuro di giustizia.
Bruno D’Avanzo
NOTE
(1) In realtà se la religione “può” essere motivo di alienazione e di rassegnazione, la fede in Dio può essere, come insegna il Vangelo, non solo fonte di pace interiore, ma anche una spinta formidabile alla liberazione da ogni forma di ingiustizia.
(2) Fin da tempi lontanissimi le cassi dominanti (i feudatari prima, i borghesi poi), di fronte al pericolo di cambiamenti sociali che avrebbero potuto anche solo in parte diminuire il loro potere e i loro privilegi, hanno sempre usato la forza con una violenza ben maggiore a quella dei ribelli. E in non pochi casi, quando gli strumenti abituali di conservazione del potere (promesse, corruzione, ricatti…) sembravano insufficienti, fecero ricorso all’instaurazione di dittature. L’avvento del fascismo ci ricorda qualcosa.
(3) In alcuni momenti della storia elementi delle classi subalterne sembrarono prendere il sopravvento sulle classi privilegiate. Queste vittorie tuttavia, anche quando non furono seguite di lì a poco da rovinose sconfitte, non segnarono un reale cambiamento sociale, in quanto i “liberatori” si trasformarono presto in nuovi oppressori del popolo, imitando in tutto o in parte i modelli di comportamento dei precedenti gruppi di potere.
(4) Personalmente in più occasioni ho affrontato il dramma delle attuali migrazioni di massa, anche sulle pagine di KOINONIA (“Alle origini del Fenomeno Migratorio. Evidenti le cause, impossibili - o quasi - le soluzioni”, KOINONIA 6/2017, pp.32-34 ).