Koinonia Settembre 2019


RICORDANDO SORELLA MARIA:

spingersi al largo! (I)

 

Era il 5 Settembre 1961 quando Maria morì e il giorno seguente al suo funerale frate Giovanni Vannucci, amico di Maria e dell’Eremo, le rendeva grazie “per aver ridato la vita alle parole essenziali del cristianesimo che per l’usura del tempo erano sbiadite: l’agape, la koinonia, il sacrum facere, la pace, la madre terra…; per aver riportato nel vecchio Eremo la vita dei monaci antichi ripetuta con fedeltà allo spirito e novità di forme; per averci mostrato che nella fedeltà semplice al Signore Gesù tutte le chiese possono incontrarsi nell’unità dell’amore”. Ed ogni anno, il 5 settembre, il Libro dei Testimoni della Comunità di Bose ricorda Valeria Pignetti, Sorella Maria, come la protagonista di “una delle esperienze più limpide di vita evangelica del xx secolo”.

Valeria Pignetti, nata nel 1875 da un’antica famiglia della media borghesia piemontese, trascorre la sua infanzia, segnata profondamente dalla morte prematura del padre Bartolomeo, tra Roma (dove il padre è direttore scolastico) e Torino (dove abita la famiglia della madre, i Valerio, di radicate tradizioni mazziniane). Nipote del vescovo di Alba (in odore di santità), riceve fin da piccola una formazione cattolica e già da giovanissima mostra una forte attrazione per la solitudine, la contemplazione, la natura, la libertà, gli ampi spazi delle montagne valdostane.

Una piccola cosa - scrive Valeria molti anni dopo - che per me ha un’importanza sacra: ogni giorno ognuna di noi deve fare una camminata lungo il monte nell’ora del silenzio che precede la preghiera.

È peraltro proprio in montagna, nell’ottobre del 1900, dopo venti giorni di ritiro e di quasi totale digiuno a contatto con la natura incontaminata de La Salle, che Valeria decide di prendere i voti.

Il 24 maggio 1901 entra a fare parte della Congregazione delle Francescane Missionarie di Maria.

Nel corso dei diciotto anni all’interno dell’istituto ricopre molti incarichi, tra i quali quello di direttrice delle opere per le donne in difficoltà a Firenze e quello di superiora dell’ospedale militare degli alleati anglo-americani a Roma durante la guerra.

Il periodo trascorso nell’ospedale di Roma è un tempo forte, a contatto costante con i malati, con la sofferenza, con la morte, è il momento della «scoperta definitiva dell’amore al servizio della sofferenza». Peraltro è proprio grazie al lavoro nell’ospedale che Maria sceglie come via privilegiata di sequela e testimonianza di Cristo quella di accogliere, sempre, chiunque, lo smarrito, il sofferente, il moribondo. Emerge con forza il suo spirito libero, forte, indomito, che le pennette di non avere paura di accettare che una donna venga a visitare l’amante morente, che non la fa esitare quando va in cerca di un pope per far assistere gli ufficiali serbi e partecipa ella stessa alle loro celebrazioni.

La scelta di lasciare la congregazione matura proprio a contatto con tanta sofferenza, con tanta umanità ferita e precisamente nell’estate del ‘17, dopo la morte della superiora generale Mère Marie de la Rédemption avvenuta il 21 aprile 1917. La sua non è una ribellione ma una vera e propria chiamata a compiere qualcosa di nuovo.

Fu uno di quei tocchi misteriosi che l’anima avverte nella sua profondità, dei quali può riferire circostanze esterne, tempo, luogo, accessori ma nulla del tocco di sé che è stato reale, nettamente avvertito, con la precisione di un fatto che si produce in un attimo, dal quale comincia per sempre la distinzione fra il prima e il dopo. (...) La Minore sentiva che una volontà di Dio maturava in lei e che per seguirla avrebbe dovuto lasciare il convento e soffrire molto.

L’11 aprile 1919 Papa Benedetto XV le concede l’autorizzazione di uscire dalla congregazione ed ella ne esce, si potrebbe dire, senza sapere dove andare.

Vorrebbe trovare un luogo modesto che profumi di Francesco.

Il 2 febbraio del 1923, dopo molte ricerche, Sorella Maria vede per la prima volta, sulla collina sopra Pissignano, vicino a Spoleto, un eremo francescano abbandonato. È il convento di Sant’ Antonio Abate, nel quale si dice fossero vissuti il beato Savino, San Francesco di Paola, San Giovanni da Capistrano, san Bernardino da Siena. Nel luogo in cui era stato costruito il convento era spesso salito anche San Francesco che si fermava a pregare e a meditare in una grotta.

Le sorelle riescono a trasferirsi nell’Eremo, dopo aver superato diffidenze, resistenze e difficoltà di ogni tipo, i primi di agosto del 1926, a settecento anni dal “transito” di Francesco d’Assisi. Si è soliti ritenere, e a giusta ragione, Sorella Maria un’anima mistica e contemplativa, tuttavia va rilevato che la storia e, in un certo senso, l’avventura della salita all’Eremo dà conto della determinazione e del carattere “teresiano” di colei che si è fatta chiamare la Minore.

Quest’Eremo bellissimo ha visto convergere lungo molti decenni donne e uomini che nella continuità di una scelta di vita o nella ricerca di tempi intensi di preghiera o semplicemente di silenzio, o per trovare consolazione o comprensione per le loro emarginazioni e sofferenze, o anche per trovare rifugio in tempo di fame e di guerra, hanno individuato in esso uno spazio di fraternità senza pretese di alcun tipo, tanto meno proselitistiche.

Uomini e donne semplici e grandi hanno alimentato un confronto aperto tra hanif (come si direbbe nel linguaggio islamico), tra cercatori di Dio e testimoni di solidarietà. Innanzitutto cristiani di ogni confessione, non più nemici e neanche “fratelli separati” ma, all’Eremo, semplicemente fratelli “in Domino”. Saltando sopra la complessità, a tutt’ oggi presente, delle non banali dimensioni teologiche, dottrinali, ecclesiologiche? Bisogna rispondere sì. Eppure è un sì fecondo, in fin dei conti lo stesso sì che ha consentito ai cristiani di pregare insieme ad Assisi o di trovarsi in occasione del Giubileo dell’anno 2000 nella Basilica di San Paolo fuori le Mura per una comune confessione di fede e di fiducia nell’ «ecumenismo della santità», che ha alimentato la testimonianza cristiana del XX secolo anche con il martirio. Oltre ai cristiani si sono incontrati, nella libertà disciplinata dell’Eremo, grandi uomini sospinti dallo Spirito, come Gandhi, o persone che non hanno incontrato Dio, ma si sono battute per la promozione umana, soprattutto dei più sfortunati.

Lungo questi decenni la vita quotidiana delle sorelle è stata una vita di preghiera, lavoro, accoglienza. Un ritmo ordinato e ininterrotto, che nella serenità e nella solitudine ha saputo offrire fraternità a chiunque approdasse alle porte dell’Eremo: «solo chi ha raggiunto il dono della solitudine può accostarsi agli altri in ragione del loro bisogno, non del suo»!

L’ecumenismo, il dialogo con persone appartenenti a religioni diverse o anche agnostiche ed in ricerca si radica in questo stile di vita. Non è frutto di particolari approfondimenti intellettuali ma di un carisma peculiare, originale, si potrebbe dire, immediato; una capacità di entrare in rapporto diretto con le ansie degli uomini e di offrire ad essi una testimonianza sobria e credibile.

Tutto ciò è fondato su alcuni assi che ritengo decisivi, nella vocazione e poi nell’esperienza spirituale di Sorella Maria: 1) una visione olistica, cosmoteandrica della realtà; 2) un cuore liturgico, che sente la celebrazione della vita, il rendimento di grazie, il senso della memoria e dell’ attesa, come comunione oltre il tempo e lo spazio; 3) il fuoco perenne della Parola fino alla centralità del suo farsi carne, come criterio per giudicare anche la Tradizione e le tradizioni; il sottomettersi sempre a quella che, con J. B. Metz, potremmo chiamare 4) l’autorità di coloro che soffrono; 5) il diventare portatori di pace e di gioia, quella che cresce con la fede e che è dono dello “Spirito Buono”.

L’ecumenismo della vita e il dialogo spirituale sviluppatosi nell’Eremo hanno queste “solide e fragili” basi. In questo stesso vissuto c’è qualcosa che ha trovato un letto dove scorrere con il Concilio e dopo il Concilio. Si può dire che Sorella Maria ha visto lontano, magari più di coloro che hanno scommesso i propri talenti in una battaglia di breve durata. La sua “logica” è stata quella di Francesco, disarmante e disarmata, anche dal punto di vista culturale, sia pure per nulla sprovveduta o disaccorta; la sua rotta si è mantenuta ferma nella tempesta.

 

Mariano Borgognoni

(1.continua)

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