Koinonia Giugno 2019


QUANDO LA FEDE FA PENSARE

 

La lettera di Ezio Dolfi è personale, ma il suo contenuto è di dominio comune e ci riporta all’incontro con Rita Fulco sull’”Attesa del Regno e responsabilità per il mondo in Sergio Quinzio”. Con i dovuti permessi la rendo pubblica, perché ci consente il dialogo e l’approfondimento su un tema che va al di là dei nomi e dei singoli e ci investe nel profondo nel nostro stesso modo di essere al mondo da “figli del regno” (Mt 8,12;13,38) e da cristiani.  In gioco non ci sono tesi o prese di posizione, ma c’è l’attesa del Regno di Dio, il nostro modo di viverla e di rapportarsi ad esso. La vera unica ricchezza dei poveri!

Per quanto da un punto di vista particolare, la lettera dà in qualche modo un resoconto dell’incontro, per poterne cogliere elementi di discussione, a cominciare per esempio dal rapporto fede-pensiero, quando appunto è la fede a far pensare, come nel caso di Sergio Quinzio, che  in “La tenerezza di Dio” così si esprime: “Se dobbiamo stare nell’ottica della fede, ebbene, stiamo nell’ottica della fede” (p.40). E ancora: “La mia convinzione era ed è che, se è vera la fede, tutta  la storia deve trovare una possibilità di lettura all’interno della fede stessa. È, insomma, il moderno che deve entrare nell’orizzonte della fede, non il contrario” (p.54).

Non è in questione la plausibilità del credere o la ragionevolezza delle cose credute, ma quanto dall’interno stesso della fede dà da pensare e da interrogarsi. Il fatto strano è che proprio questo realismo quasi assoluto della fede sia riuscito ad interessare e ad interpellare uomini di cultura non credenti, a parlare al mondo moderno più di tanti tentativi di mediazione e di dialogo da parte di teologi d’ufficio. Dico questo perché, se c’è qualcosa da recuperare oggi nel mondo ufficiale della fede, è la fede stessa prima che la sua dimostrabilità o la sua proponibilità umanitaria e sociale.

E dato che sono stato chiamato in causa personalmente con riferimento a “Una chiesa dei gentili” del 1977, devo dire che non mi sento in contrasto con quanto Quinzio esprime riguardo alla radicalità e autonomia della fede, salvo tonalità e contesti diversi. Lui parte dalla attesa disattesa ma mai abbandonata, la mia ansia di allora e di ora era quella di ritrovare e liberare il potenziale della fede per farlo esplodere come “vangelo per le genti”: che sia significativo ed efficace per se stesso e non per le mediazioni religiose, culturali e temporali che di fatto lo mettono in sordina!

Ma voglio dire che non mi sento in contraddizione con la testimonianza del credente e pensatore Quinzio neanche dal punto di vista della mia formazione e mentalità “tomista”. Perché bisognerebbe ricordare, al di là di luoghi comuni, che per Tommaso fede è realtà, luce e intelligenza “simpliciter” diversa dal mondo creato e dalla ragione, anche se in qualche modo è la stessa (secundum quid eadem). E ricordare che fu lui stesso a dire che quanto aveva scritto non era altro che un “mucchio di paglia” rispetto alla rivelazione del mistero di Dio in Cristo. Ma tutto questo attiene alla  “questione teologica” di cui stiamo parlando e ci sarà modo di riprendere.

 

Alberto

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