Koinonia Giugno 2019


Edward Schillebeeckx op in “Colloqui con Francesco Strazzari”

(EDB, 1993, pp.85-87)

LA CONFESSIONE DI UN TEOLOGO FELICE

 

«Lei nell’introduzione al terzo volume della cristologia: Umanità, la storia di Dio scrive: “Spero che questo libro porterà frutti a molti lettori. Per me si tratta della confessione di fede di un teologo che si vede razionalmente coerente, cosciente della grande cattolicità nella quale si situa, che vuole, che deve, a partire da lì, rivolgersi ai suoi fratelli e sorelle in umanità, per offrire quello che segue”. Che senso hanno queste espressioni al termine della nostra conversazione

«Sono al cento per cento razionale. Sono contro la fede dei carbonari. Ratzinger qualche tempo fa ha detto che bisogna avere una forma di fede un po’ ingenua. Non riflettere molto sulla fede... Come se la riflessione sulla fede sia compito solo della gerarchia. Come credente sono razionale e cerco argomenti razionali. Mi sento così un credente al cento per cento. Non vi è contraddizione, come qualcuno mi ha fatto osservare. Essere credente non vuol dire essere irrazionale. La fede è confessione di un uomo razionale. La razionalità della fede deve essere sempre esplorata e chiarita. Tutta la mia teologia è la teologia di un credente. Fides quaerens intellectum. La ragione umana va usata al cento per cento nel campo della fede. Tirare in campo l’obbedienza e chiudere gli occhi non è cristiano, non è cattolico. Bisogna essere credenti razionali. San Tommaso è santo nella sua razionalità perché ha adoperato la ragione per affrontare la fede. C’è sempre più bisogno della razionalità soprattutto per reagire al fondamentalismo, che sempre più mina le chiese. Il fondamentalismo, presente oggi anche in alcune comunità cristiane, porta all’oscurantismo. È un grosso pericolo perché la ragione umana viene negata. Certo, la ragione umana non va lasciata a se stessa perché si corre il pericolo di arrivare a un puro positivismo. La fede svolge la funzione di critica e di correzione per non cadere nel razionalismo e chiudersi al mistero. Senza la ragione umana la fede diventa fondamentalismo. Entrambe, fede e ragione, svolgono la funzione di critica reciproca».

 

«Come giudica la sua attività teologica?»

«Una volta si parlava di scuole teologiche: c’erano dei maestri e dei discepoli. Ora non più. L’idea di fare scuola è un’idea superata. Le grandi sintesi, che restano per qualche secolo, ora non ci sono più. lo non scrivo per l’eternità, ma per l’uomo di oggi, che si trova in una determinata situazione storica. Cerco di rispondere alle sue domande. La mia teologia ha quindi una data, è contestuale, ma, nello stesso tempo, vuole andare anche al di là della situazione come tale. C’è un’intenzione universale nelle mie opere perché mi sforzo di prendere in considerazione il perché degli uomini di tutta l’umanità. Altrimenti non sarebbe una buona teologia. L’attualità di una teologia non è un’attualità effimera. Verranno poi altri teologi per altri tempi. Sono contento di avere detto qualcosa per l’uomo di oggi e, forse, qualcosa interesserà anche la generazione futura. Quando una teologia può nutrire la generazione seguente, è una grande teologia, che continua la grande tradizione teologica

È difficile tracciare una linea netta di divisione tra la mia vicenda personale e la mia vita di teologo. Entrambi questi aspetti si sviluppano nello spazio di questa cella dell’Albertinum e nell’ambito dell’università di Nimega, già da più di trent’anni. Due testi delle Scritture mi hanno sostenuto e tuttora mi sostengono: le parole di san Pietro: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (IPt 3,15b) e di san Paolo: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,19-21).

È lo Spirito che parla attraverso questi due testi sacri. Da una parte, nel continuo sforzo di riorientarmi nelle direzioni inaspettate verso cui lo Spirito di Dio soffia, questo stesso Spirito ha dato al mio lavoro teologico un carattere di speranza, liberante e costruttivo, che schiude all’esistenza, secondo quanto i miei lettori mi hanno comunicato, verbalmente e per iscritto, con mia grande gioia.

Dall’altra parte, lo Spirito è stato pure fonte dell’inesauribile carattere critico dei miei scritti, dell’atteggiamento critico che nel corso di questi trent’anni fino ad oggi mi ha portato a ricevere un certo numero di lettere, nelle quali fratelli cristiani mi hanno definito “un diavolo in carne ed ossa” e “un lupo in veste d’agnello”, “un eretico della peggior specie” e “un immigrato in Olanda, che per il bene della chiesa e della società farebbe meglio a tornarsene nella propria terra d’origine”.

Il mio lavoro scientifico significa ancora per me, in modo molto consapevole, una forma di apostolato e, in particolare, una forma di predicazione domenicana della Buona Notizia: il vangelo di Gesù, Messia del Dio liberatore, prescelto dallo Spirito.

Tuttavia, nel frattempo, ho imparato per esperienza che, se la religione è il più grande bene dell’uomo e per l’uomo, essa viene spesso anche completamente strumentalizzata per umiliare e addirittura torturare l’uomo (nel corpo e nello spirito).

Perciò, soprattutto negli ultimi anni, il mio pensiero teologico ha preferito difendere l’essere umano, uomo e donna, contro le esigenze disumane della religione, piuttosto che difendere quest’ultima contro le nostre illusorie esigenze di uomini peccatori, quali tutti siamo.

Nei due aspetti, quello critico e quello costruttivo del mio pensiero teologico, ho voluto dare testimonianza agli altri della speranza e della gioia che vivono in me: sono davvero un uomo felice! Sono anche molto riconoscente per la libertà che i miei superiori domenicani, sia fiamminghi che olandesi, fin dall’inizio mi hanno abbondantemente concesso, a tutto vantaggio del mio lavoro teologico».

 

Edward Schillebeeckx op

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