Koinonia Giugno 2019


CHIESA IN USCITA MISSIONARIA SECONDO FRANCESCO

 

LA PARROCCHIA DEVE RIPLASMARSI PER ESSERE MISSIONARIA

 

Una Chiesa che assuma seriamente il suo compito missionario e il suo essere a servizio dell’unica missione di Cristo nel mondo dovrà considerare tale missione il criterio fondamentale della riforma delle sue strutture. Si tratta, com’è ovvio, di una riforma che non può essere data per scontata e fatta una volta per tutte. A misura che la Chiesa si trova coinvolta nel rendere disponibile il Vangelo e la vita di cui vive alle donne e agli uomini con cui cammina e che incontra, essa viene sospinta a modificarsi perché questo compito sia svolto al meglio.

In un tale orizzonte, la riforma mentre esige una decentralizzazione che faccia davvero di ogni singola Chiesa locale il soggetto primo della missione domanda che ogni Chiesa si ristrutturi realmente affinché il Vangelo possa essere davvero comunicato. Ogni Chiesa dovrà essere costantemente attenta a che il suo modo di esistere e di strutturarsi non solo non sia di ostacolo alla trasmissione del Vangelo ma sia possibilmente adatto a “parlare” del Dio di Gesù di cui vive anche ad altre donne e altri uomini.

Non si può troppo a lungo eludere un tale compito nelle nostre Chiese occidentali. Nel farlo, una delle riflessioni più urgenti concerne le nostre parrocchie, specie in quelle Chiese nelle quali alcune di esse stanno velocemente diventando delle “scatole vuote”. La parrocchia ha avuto e continua ad avere il grande pregio di permettere la realizzazione di una “Chiesa di popolo”. In essa è stato possibile, e spesso è ancora possibile, fare una reale esperienza di Chiesa: una comunità nella quale si incontra e si vive fraternamente con tutti, al di là delle differenze di età, censo, sensibilità, provenienza culturale... Qualunque riforma si immagini non si possono perdere questi elementi.

Ciò non toglie che ci sono spesso - specie nelle grandi città delle parrocchie che esistono solo più sulla base di un criterio territoriale, ormai ampiamente superato. Si può ancora parlare di comunità cristiane missionarie nel caso di parrocchie nelle quali non si vive più un’autentica vita filiale e fraterna, alle quali ci si rivolge solo per domandare “servizi religiosi”, in cui la preoccupazione per il mantenimento delle strutture esterne (sempre più vecchie e sempre più vuote) toglie energie a una vita liturgica curata o a un ascolto autentico della parola di Dio o nelle quali, infine, non è possibile condividere quello che i cristiani vivono nel loro tentativo di essere testimoni di Cristo nelle diverse realtà del mondo? E si può ancora parlare di comunità missionarie nel caso di parrocchie molto preoccupate nel mantenere lo status quo ma strutturalmente incapaci di introdurre un qualunque adulto che lo desideri alla vita cristiana?

Forse è proprio su questo punto che le nostre Chiese dovrebbero mostrare oggi maggiore coraggio e fantasia: nella certezza, come ricorda Francesco (EG 28), che la parrocchia non è una struttura caduca, ma è plastica e può e deve perciò riplasmarsi per poter ancora realmente essere un’autentica comunità cristiana missionaria.

 

Roberto Repole

 

 

IL CAMMINO SINODALE INIZIA DALLE CHIESE PARTICOLARI

 

Parlare di conversione missionaria per le Chiese locali, e soprattutto per le parrocchie, suona come un sogno, un’utopia. Quale capacità di trasmissione della fede potrà mai avere nella società attuale una comunità cristiana che comunità non è, ma un centro o un’agenzia che eroga servizi religiosi? Se molte - troppe - parrocchie non sembrano più capaci di offrire un’autentica esperienza cristiana, come si potrà chiedere che da questi ambienti salga una testimonianza di fede significativa, in grado di trasmettere la fede?

I dubbi sulla capacità missionaria della parrocchia vanno di pari passo con i dubbi sulla sua (in)capacità a una pratica sinodale. La sinodalità, prima e più che l’organizzazione, tocca la natura della Chiesa. E rimanda a uno stile, a un modo di essere: «Camminare insieme», dice la formula syn-odos: «Chiesa e Sinodo sono sinonimi», asseriva Giovanni Crisostomo, che papa Francesco ha citato per dire che «la Chiesa è costitutivamente sinodale».

In un famoso discorso, in cui disegnava il volto sinodale della Chiesa, Francesco ha detto che il cammino sinodale inizia dalle Chiese particolari, indicando gli organismi di comunione come “luogo” di esercizio della sinodalità: il consiglio presbiterale, il consiglio pastorale diocesano ma anche il consiglio pastorale parrocchiale. Nella costituzione apostolica Episcopalis communio (2018), che trasforma il Sinodo dei vescovi da evento in un processo articolato in fasi, egli dice che la prima fase consiste nella consultazione del popolo di Dio nelle Chiese particolari. Certo, il documento non dice espressamente che questa prima fase deve cominciare nelle parrocchie. Ma che consultazione del popolo di Dio sarebbe se non si ascoltassero le comunità sparse sul territorio della diocesi, che costituiscono la trama della portio populi Dei affidata al vescovo come principio di unità della sua Chiesa?

Se, però, si volesse attivare la consultazione, il riscontro con la realtà sarebbe desolante: queste comunità, in genere, sono incapaci di incontro, dialogo e corresponsabilità. Non solo i suoi membri hanno scarsa formazione, ma anche debole senso di appartenenza. Più che realtà vive, le parrocchie rischiano di essere agenzie religiose che erogano servizi. Come potrebbero sostenere la sfida della sinodalità delle “scatole vuote”, come le chiama Roberto Repole? Come potrebbero esercitare la sinodalità in modo maturo e consapevole soggetti ecclesiali così deboli? La sinodalità è pratica che esige maturità, capacità di ascoltarsi, di interagire, di discernere e costruire insieme un cammino di Chiesa. La cartina al tornasole è camminare insieme, come comunità. E il compito primo dei vescovi e dei loro presbiteri sarà di educarsi e di educare il popolo di Dio alla sinodalità, se non vorranno ritrovarsi da soli su una strada che nessuno frequenta più, perché non ha conosciuto la gioia di essere popolo di Dio che cammina verso il Regno.

 

Dario Vitali

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