Koinonia Giugno 2019


DUE DIVERSE LETTURE DELLA BIBBIA

 

Oggi vi sono due modi opposti di leggere e studiare la Bibbia ebraica e il Nuovo Testamento: quello dell’esegeta storico e quello del prete cattolico o del pastore protestante che spiegano i testi biblici in chiesa.

Dico subito che le cose non sono sempre così divaricate: ci sono predicatori e teologi critici e molti esegeti conservatori (soprattutto quelli di tendenza teologica e narratologica). L’esegesi storica (non l’esegesi puramente letteraria e narratologica) cerca di capire, ad esempio in un racconto dei vangeli, se le cose siano andate veramente così e se il messaggio morale del testo abbia ancora un significato oggi.

Il secondo modo di lettura, invece, presuppone (per lo più) che i testi biblici siano sempre veri e siano per di più in perfetto accordo con la fede della Chiesa e vuole spiegare al popolo dei laici (considerato spesso incapace di leggere e giudicare da solo) come quei testi biblici incitino a un orientamento spirituale o morale in accordo con la fede.

L’esegeta e lo storico non leggono i vangeli o le lettere di Paolo per spiegarli in base a presupposti dogmatici ritenuti veri in sé, a priori. Il prete, il pastore e i teologi, invece, applicano le verità indiscusse della fede delle loro Chiese ai testi biblici.

Spesso, non sempre, il prete, pastore o teologo che spiega la Bibbia al “popolo” presuppone un quadro generale elaborato da altri che egli accetta più o meno passivamente. Non gli viene mai in mente di porne in dubbio aspetti. Le sue spiegazioni servono solo per chiarire, per esplicare, per facilitare l’accesso alla visione generale presupposta. Invece, una lettura storica dei vangeli, senza preoccupazione di conferme teologiche e dogmatiche, può produrre una visione complessiva della realtà che il lavoro di ricerca contribuisce a scoprire e elaborare.

Di per sé, però, esegesi storica e fede non sono in contraddizione. Se il prete, il pastore/a e il teologo/ a riconoscessero ciò che l’esegesi storica mostra e cioè che ogni vangelo ha una visione diversa della fede e conoscenze parziali, favorirebbero una coscienza critica, una fede creativa nei “fedeli” e non un conformismo e un’obbedienza che alla fine diventa insignificante e inefficace. Il fedele che viene a sapere, ad esempio, che il vangelo di Marco cercò di elaborare una propria visione delle cose sulla base di conoscenze molto parziali di quanto Gesù aveva detto e fatto, e in base ai suoi strumenti conoscitivi, sarà stimolato a imitare Marco e a produrre a sua volta una propria conoscenza per dedurne comportamenti ispirati a ciò che Gesù fece e disse. Luca e Giovanni, in base a opinioni religiose, a collocazioni politiche diverse da quelle di Marco o Paolo o Giacomo e a differenti informazioni parziali su Gesù, cercarono di comprendere certi suoi atti e parole creando proprie religiosità, diverse e spesso in conflitto, ma attive e feconde. Anche il lettore e la lettrice di oggi, seguendone il meccanismo di analisi, cercheranno di appurare fatti e detti di Gesù e costruire su di essi una propria originale visione efficace per oggi.

 

Mauro Pesce

tratto da Adista Segni Nuovi n° 19 del 25/05/2019

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