Koinonia Giugno 2019


“CHI DIMENTICA LA STORIA PUÒ ESSERE CONDANNATO A RIVIVERLA”

(Luis Sepùlveda)

 

 

Poco più di un anno fa su queste stesse pagine (Koinonia, 10/2017) scrissi un articolo che  intitolai “Elogio della storia: studiare il passato per capire il presente e progettare il futuro”.

In quel breve scritto denunciavo l’emarginazione di una disciplina fondamentale per comprendere il mondo in cui viviamo, a tutto vantaggio di un “sapere”  appiattito su di un eterno presente privo di radici, che sembra, come un palloncino, galleggiare nell’aria.

Ho accolto pertanto con gioia l’appello “LA STORIA È UN BENE COMUNE. SALVIAMOLA” promosso dallo storico Andrea Giardina, dallo scrittore Andrea Camilleri e da Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Ed è stato per me motivo di soddisfazione vedere l’interesse suscitato a livello nazionale e il numero incredibile di firmatari che continuava ad aumentare senza sosta.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (ONU, 1948) introduce il concetto di “bene comune”: diritto all’alimentazione (cibo, acqua…), diritto alla salute (un sistema sanitario garantito), diritto all’istruzione e alla cultura per tutti. Pertanto la storia-bene comune si inserisce a pieno titolo tra i diritti previsti dalla Dichiarazione e solennemente proclamati dalla nostra Costituzione. Un diritto però sempre più disatteso nella società contemporanea. Di qui le accorate parole di Giardina, Camilleri e Segre: “Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grande pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro paese” (1).

Questo oscuramento della storia “soffocata nelle scuole e nelle università, esautorata del suo ruolo essenziale, rappresentata come una conoscenza residuale” (2) non è solo frutto di ignoranza e miopia di chi ha operato questa scelta già da molti anni, ma è in realtà funzionale alle linee di tendenza che caratterizzano la nostra società, sempre più dominata dalle leggi ferree del neoliberismo: conservare la memoria del passato non solo non serve a questo sistema economico che si presenta come l’unico possibile, ma sarebbe anche nocivo in quanto stimola la riflessione, e quindi il pensiero critico.

Come giustamente ci ricorda Sepùlveda “chi dimentica la storia può essere condannato a riviverla”; e lo dice con cognizione di causa, attraverso l’esperienza di chi come lui ha vissuto sulla propria pelle la prigione e le torture inflitte dagli aguzzini del dittatore Pinochet negli anni ‘70 e ‘80 agli oppositori politici cileni (3).

Ma la cosa riguarda da vicino anche noi italiani che abbiamo conosciuto l’oppressione del ventennio fascista. Oggi alcuni “storici” e politici, ignorando per insipienza o per interesse il  nostro passato, si fanno paladini di un revisionismo storico, per cui la Resistenza contro il nazismo e la Repubblica di Salò diventa una semplice guerra civile fra italiani. Ebbene, questi signori si rendono responsabili di un eventuale ritorno a sistemi autoritari, a un futuro senza libertà.

Dimenticare la storia, inoltre, produce conseguenze devastanti in molti altri campi. Prendiamo in esame, ad esempio, cosa hanno portato le recenti cosiddette “riforme” del mondo del lavoro. Con l’introduzione del jobs act la fascia del lavoro precario va progressivamente allargandosi . Già oggi i giovani si vedono costretti a restare per anni e anni senza un’occupazione stabile. Ma se il lavoro produce dignità, la disoccupazione genera disperazione e la precarietà impedisce di essere liberi. Chi vive un’esistenza da precario non può pensare che al futuro prossimo, sperando che il domani non gli tolga ogni fonte di guadagno. Gli rimane pertanto un tempo sempre più ridotto  per dedicarsi a un impegno che non sia meramente economico. Viene così repressa la possibilità di occuparsi di politica, di sindacato (4), di volontariato, o anche semplicemente di attività culturali (cinema, teatro, musica…). In tale contesto impegnarsi in un rapporto affettivo duraturo può sembrare troppo gravoso: progettare di avere una famiglia e generare dei figli diventa un rischio che non tutti si sentono di affrontare.

Assuefarsi a tutto questo, pensare che sia la norma, che non ci sia altra prospettiva nella vita, rappresenta una sconfitta per tutta la classe lavoratrice. Cancellare la memoria, ignorare le lotte del  passato che hanno portato alla conquista della democrazia, che hanno prospettato un futuro di giustizia e di uguaglianza induce ad accettare l’esistente così com’è, come un tempo gli schiavi (salvo rare eccezioni) neppure immaginavano un futuro di uomini liberi.

Ecco allora che recuperare la conoscenza della storia, incentivare nelle scuole lo studio del passato e del presente non come puro nozionismo, ma come mezzo necessario per capire il presente e progettare il futuro, ripristinare e incrementare le facoltà universitarie di discipline storiche, è la via maestra per fare dei giovani cittadini consapevoli e non passivi strumenti del mercato.

 

Bruno D’Avanzo

 

 

NOTE

(1) LA STORIA È UN BENE COMUNE. SALVIAMOLA, appello di Andrea Camilleri, Andrea  Giardina, Liliana Segre.

(2) ibid.

(3) I regimi autoritari (spesso dittature militari)  che dominarono non solo in Cile, ma in gran parte dei paesi dell’America Latina negli anni ‘70 e ’80, si macchiarono dei delitti più atroci mettendo in pratica una politica del terrore che ricorda quella del nazismo; e come i nazisti che al momento della disfatta si sforzarono di cancellare le prove delle atrocità commesse, così tali dittature quando ancora erano al potere cercarono di occultare i propri misfatti, vuoi facendo “sparire” un gran numero di prigionieri gettandoli dagli aerei nell’oceano, vuoi “dinamitando” i loro resti per cancellarne ogni traccia..

(4) Incentivare forme di contratti “a termine” colpisce al cuore i diritti di chi lavora in quanto un precariato diffuso rende più difficile (in taluni casi quasi impossibile) la lotta sindacale a difesa dei lavoratori.

(5) Le conseguenze nefaste della cancellazione della memoria storica sono ben presenti nelle dichiarazioni del papa. Francesco, consapevole dei pericoli insiti nell’uso delle nuove tecnologie della comunicazione, ha lanciato un grido di allarme rivolto soprattutto alle giovani generazioni. Tali mezzi, infatti, possono avere una funzione regressiva perché, se usati senza controllo, inducono a concentrare tutta l’attenzione su ciò che ci colpisce nell’immediato, su di un presente privo di memoria, destinato a venire poi cancellato quanto prima, in quanto sostituito da un nuovo presente.

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