Koinonia Giugno 2019


La tenerezza e la consolazione del Signore

RIFLETTENDO SULLA FEDE DI QUINZIO (II)

        

Fare memoria, questo comando di Gesù, è straordinariamente importante; la memoria è l’elemento decisivo di ogni salvezza, il suo contrario è l’oblio, la notte, la morte, il non riconoscersi (come intuì su un altro terreno, l’ebreo Freud).       

La memoria assegna importanza alle persone, ai morti e ai viventi, alle cose stesse e svela, a chi sa o può ascoltare, il loro “esserci dati dalla tenerezza di Dio” e ci induce a “non volerle abbandonare, non rassegnarsi a perderle . Se siamo disposti a dimenticare, possiamo fare a meno della risurrezione dei morti”..

In un certo senso si esiste davvero perché si è pensati (cogitor ergo sum) e perché si è ricordati. Per questo è così decisivo essere nell’amore di alcuni e di Qualcuno ed è così preziosa anche la nostra perseveranza nella fede, nell’annunciare la morte del “Signore, proclamare la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta”.

Torna sempre, in Quinzio, l’essenzialità dell’attesa: senza di essa non c’è alcuna fede. È essa il segreto della felicità e insieme della infelicità dei credenti che gli fa scrivere:“Io conosco una felicità e una infelicità immensamente più grandi di quelle che conosce l’ateo”.

Una speranza tanto radicale che finisce per suscitare diffidenza fuori della Chiesa ma, sovente, anche dentro di essa che, non per caso, è indotta, per farsi accettare, a limare il proprio profilo essenziale, fino a far si che il suo Signore possa essere, con tutti gli onori, posto accanto agli idoli del mondo. Ma noi, afferma Quinzio, dobbiamo sottrarci a cantare i nostri salmi in terra straniera, a chi vuole che “la nostra fede sia un bel ninnolo nella grande storia”; dobbiamo essere “prigionieri che non vogliono collaborare .”(Diario Profetico),

E ciò non per un rifiuto del mondo ma per la consapevolezza del suo limite e per la impossibilità di poterlo accettare con olimpica serenità; per la smisurata speranza nel Regno nuovo che quasi costringe Quinzio a mettere fretta al Messia, ad aspettare con impazienza il mondo che verrà.

“Oggi si aspetta la prossima legislatura o il prossimo congresso. I cristiani che aspettano il ritorno del Signore dove sono? Eppure quest’ultimo cristianesimo è l’unico che abbia ancora un senso. A pensarci bene è orribile sempre la gioia, finchè c’è il mondo pieno di  sofferenze, e non c’è il Regno”.

Questa presenza del dolore come canale di comunicazione privilegiato e inevitabile  con “l’uomo dei dolori che ben conosce il patire”( Is 53,3) non è un dolorismo estetizzante e eticamente anestetizzante; ma la consapevolezza che il dolore è l’intima struttura del mondo, è ciò che chiede redenzione.

In esso, “si è con Dio, anche se si è coperti di peccati”.

Si direbbe che, da questo punto di vista si può rintracciare perfino una eco buddista. Siddartha Gotama ha insegnato che il dolore è tessuto del mondo e della vita, che abita ogni azione umana. Anche se la via d’uscita dell’ascetismo e del nirvana sembra a Quinzio un rimedio peggiore del male.

Forse è proprio il dolore alla radice del male che facciam, anche quando vorremmo il bene. Un grande psicanalista italiano, Franco Fornari, ha a lungo indagato il rapporto tra la morte, il destino di morte, la paura della morte e l’aggressività umana, la violenza, l’istinto di sopraffazione. In questa stessa linea Quinzio colloca il grande scrittore di origine ebraica Elias Canetti che fa scaturire le colpe umane dal destino di morte a cui gli uomini sono condannati nascendo.

La tenerezza di Dio è nell’essere con noi nel dolore, nello scacco subito in Gesù Cristo ; nell’averci lasciato la promessa del ritorno, nel cui miracolo continuiamo a sperare e la cui novità, una sorta di capovolgimento delle logiche del mondo, secondo la inverosimile misura delle beatitudini, può essere nel modo a noi possibile (Quinzio non era l’uomo dei programmi e  men che meno dei proclami) testimoniata dal perdono.

“Chiedere perdono è vicinissimo al Regno: c’è umiltà, umiliazione, mai più dimenticabile, consolazione, tenerezza, pace…. E chiedere perdono a qualcuno è sempre chiedere perdono anzitutto al Signore”.

Eppure questa umiltà, questa accoglienza, questa semplice fraternità, così indispensabile alla testimonianza cristiana, questo os me (come se), questo vivere ogni cosa sapendo che passa la scena di questo mondo, questo amore per la vita così grande da saperla vulnerabile e volerla redenta, è ciò che fa sperare un’“opera più grande della creazione cha ha messo l’essere al posto del nulla e cioè il mettere la consolazione al posto del dolore”.

C’è una struggente preghiera che conclude le pagine drammatiche de “L’incoronazione”: “Dolce Signore Gesù Cristo, compi finalmente per amore di Stefania, il grande miracolo che aspettiamo da millenni, modella l’universo secondo la misura della tenerezza che hai posto nel suo cuore. Amen! Amen! Amen!”.

È straordinaria la concretezza con cui questa urgenza di consolazione viene legata, ad una persona che non è possibile accettare venga sacrificata, venga dimenticata, venga cancellata e assorbita da un nulla, che davvero esiste, per Quinzio, ma che può essere guardato e vinto solo dalla Croce. La speranza cristiana osa guardare il cadavere e crede la Risurrezione.

E ciò compirà il “dolce Signore” sulla base dell’amore, di un amore concreto, personale, che chiama per nome, come, in primizia, è avvenuto per Maria di Magdala in quel primo giorno della settimana, quando nulla più si poteva sperare.

“Dio, e l’uomo fatto a sua immagine, è tenero proprio nel senso del latino tener che i filologi affiancano a tenius: sottile, esile, precario. Sensibilissimo, vulnerabilissimo, e il miracolo di Dio è che questa inerme dolcezza vinca”.

 

Mariano Borgognoni

(2. fine)

 

 

1 “Ci sono anche tante donne e tanti uomini che nelle missioni o nei luoghi di accoglienza per ogni sorta di infelici e di malati, spendono la loro vita rendendo ancora testimonianza,dopo venti secoli della verità della promessa evangelica. Sono diventati davvero figli di Dio, sono veramente fatti a sua immagine e somiglianza,sono veramente umani” S.QUINZIO, I Vangeli della Domenica, Adelphi, Milano 1998, p.28.

 

2  Mysterium Iniquitatis, Adelphi, p. 37.

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