Koinonia Giugno 2019


Come volevasi dimostrare...

 

LA PARROCCHIA È MORTA, VIVA LA PARROCCHIA

 

Per puro caso, capita di leggere su Vita Pastorale n.6 di giugno 2019 due articoli paralleli e complementari di due noti teologi, Roberto Repole e Dario Vitali, che sembrano tentare la quadratura del cerchio per quanto riguarda la collocazione e il ruolo delle parrocchie nel contesto della “chiesa in uscita” missionaria e del cammino sinodale in cui papa Francesco vorrebbe far incamminare anche la chiesa italiana. Ad evitare interpretazioni riduttive, se ne può leggere il testo di seguito, dove ritornano discorsi ormai ricorrenti. Credo perciò di non potermi negare di cantare anche il mio ritornello, anche se meno “corretto” e da lasciare in sordina.

Non posso non ripetere che ci cacciamo in un circolo vizioso tanto più pericoloso quanto ignorato: e cioè il fatto di parlare di parrocchie “scatole vuote” e al tempo stesso continuare a volerle come via obbligata per una chiesa missionaria e sinodale, e cioè diversa da quel modello di chiesa tridentina a cui esse rispondono. Simili rilievi non avevo mancato di farli anche a proposito del documento programmatico “Evangelii gaudium”, che in effetti autorizzava questa ambiguità proprio perché la centralità della parrocchia veniva riaffermata.

Non ho motivo di contestare  tutte le buone ragioni a favore della parrocchia, ma a parte tutte le contraddizioni a cui si va incontro - nel valutarla in punto di principio e squalificarla sul piano di fatto - il mio interrogativo di sempre è se sia e debba essere l’unica via possibile di annuncio evangelico, e se non sia ipotizzabile e forse primaria una prassi diversa di evangelizzazione a “cristianità finita”.

Ma a dire il vero, ciò che più mi sollecita è il fatto che simili discorsi arrivino a noi attraverso organi molto diffusi e nella parola di teologi autorevoli, che però sembrano limitarsi alla teologia dell’esistente, mentre invocano non si sa da chi quanto dovrebbe avvenire per un cambiamento di rotta o di epoca. “Educarsi alla sinodalità” non può essere solo mobilitazione ed organizzazione, se non passa attraverso un cambiamento di coscienza, di mentalità e di prospettiva.  Ed  è qui che rispunta fuori la “questione teologica” in tutta la sua in-attualità: nel senso di pensare dentro la fede orizzonti e vie inesplorate per un “passaggio ai barbari”, come è nella natura del vangelo!

Non si capisce perché questa esplorazione di un mondo futuro debba essere lasciata a pionieri isolati a loro rischio e pericolo, salvo stare a guardare frutti di cui appropriarsi. Ma se questo c’è da aspettarselo dal sistema vigente - che non è la pura istituzione - non è giusto che chi ha il compito profetico di “pensare la fede” faccia solo da cassa di risonanza a quanti sanno di dove venga e dove vada  il vento, senza peraltro  ascoltarne la voce.

 

ABS

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