Koinonia Maggio 2019


Da “L’imperfetta letizia” di Luigi Santucci

 

L’ASCENSIONE

 

Il vangelo di Cristo si apre con un sapore di fiaba e con un sapore di fiaba si chiude. Betlemme e il monte dell’Ascensione – l’alfa e l’omega del viaggio di Gesù tra gli uomini – se per un istante li guardo con occhi che non vadano oltre l’immagine – appartengono alla letteratura delle favole, all’uditorio degli occhioni spalancati del “c’era una volta”.

Dei pastori svegliati di notte da un angelo abbagliante, dei re ermellinati che si mettono in cammino su dei cammelli, inseguendo una stella cometa...E nell’ultima pagina, un uomo bello, biondo e ridente che si stacca da terra in una chiara mattina di primavera e, fattosi leggero, in pochi istanti, sparisce dentro l’azzurro.

In mezzo, il Vangelo, brulicante di uomini e di donne, di passioni e di peccati, di baci e tradimenti, di parole eterne e sguardi di un istante, d’intrighi, d’incredulità, di carneficine e di sangue innocente. Brulicante – anche e soprattutto, sì – di miracoli. Ma gli altri miracoli, prima di questo dell’Ascensione, sono – vorrei dire – miracoli per adulti. Si legano alle dure, talvolta atroci necessità della vita dell’uomo per riscattarle. Il vino di Cana, i pesci degli apostoli, la mano secca, i lebbrosi mondati, Lazzaro risorto, sono eventi di una logica e di una concretezza adulta. Non hanno la magia del gratuito, la spettacolarità trasognata e fantastica di quest’uomo che vola via e che sembra non poter avere, ad assistere, altro che un pubblico di fanciulli..

 

Dicevo che questo dogma dell’Asceso è il dogma che più ha sapore e colore di fiaba infantile. E la tentazione che contenne sempre, almeno per me, fu quella di innamorarmene troppo, ma di farmi accogliere tutto il Cristianesimo come una meravigliosa favola. Chiuso come mi appariva dentro quelle due parentesi fiabesche – il Presepio e l’Ascensione – ho provato la tentazione di veder ingoiato tutto il messaggio evangelico nel mitico abisso di una leggenda, nel gorgo affascinante di una favola: la favola più bella. Dirò di più – e sia una confidenza. L’ultima pagina del Vangelo, l’Ascensione, mi ha fatto restare per una stagione della mia vita – fortunatamente breve – fuori dalla fede....E tuttavia, quando tornai a convincermi che Gesù non era una fata, né il suo libro “Le Mille e una notte”, perché Egli sarebbe tornato, una durezza mia, un disagio tagliente mi restò ancora per qualche tempo – e oggi ancora mi pervadono – verso il dogma dell’Asceso. Quest’Uomo-Dio che sguscia, se non dalle mani, dal cuore dei suoi amici, e s’innalza tranquillo e glorioso in una spirale irresistibile; che nessun grido, nessuna invocazione varrebbero a frenare in un indugio anche breve; questo Gesù mi restava estraneo e inamabile, mi appariva quasi incoerente e spietato.  Con umiltà di credente mi sono sforzato allora di meditare questo dogma, vicino a tutti gli altri che la Chiesa ci addita, domandomi cosa infine si nascondesse per noi sotto le insegne di tanta gloria e di tanto tripudio. E ho trovato che vi si nacondeva – per chi si arresti alla naturalità e alla psicologia dell’uomo e non si lasci invadere dal mistero – la più grande amarezza; che il dogma dell’Asceso appariva il più triste, anche se Luca testimonia che gli Apostoli “tornarono a Gerusalemme con grande allegrezza”. Che l’Asceso è lo scacco più insoffribile al nostro egoismo d’amore... E’ lo scacco della terra. Lo scacco della nostra psicologia di animali senz’ali. E per noi il difficile, il drammatico della nostra fede, incomincia da questo momento. Da quando Egli si allontana, si rende invisibile.

 

Voglio esprimere, se sarò capace, come ho inseguito l’Asceso, come ancor oggi mi riesce di ritrovarlo, vicinissimo e mio, specialmente la sera, nelle ore di solitudine, senza scavalcare la mia umanità...Il Signore è asceso al cielo, io penso, come poteva nascondersi dietro un cespuglio, nel tronco cavo di un albero, oppure inabissarsi in uno stagno di Galilea. Dove è andato, m’interessa.  Al Padre, sì. Nel Regno, certo. Ma il Padre è anche quaggiù, in questo spicchio del suo infinito...e il Regno, sappiamo, non è separato da questa nostra repubblica di peccatori da nessuna barriera doganale....Egli, asceso, si è strappato a quella collina di Galilea per non limitare a quella terra e a quell’epoca della storia il monopolio del suo corpo, l’amicizia dei suoi sensi purissimi. E dopo che è asceso, egli è dappertutto, l’Ospite... Allora si comprende che Egli ha finto di andarse per restare di più..

 

Luigi  Santucci

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