Koinonia Maggio 2019


RELIGIONE E FUTURO

 

Dire che la storia involve non significa necessariamente vedere una lacrimevole vicenda, che richieda continui rimpianti del buon tempo antico e continue recriminazioni sulla corruzione oggi trionfante. Proprio come una concezione evolutiva della storia non significa necessariamente (anche se significa spesso) giurare in un domani roseo, dove trionferanno tutte le belle parole con l’iniziale maiuscola, e ridurre tutto il passato a oscura e cieca bestialità. Anzi, il fatto stesso che il futuro si presenti come un traguardo desolato getta una cappa grigia su tutto il passato, che del futuro è la matrice, di cui il futuro non fa che rendere esplicite le insufficienze e la sostanziale sterilità. Il futuro è il degno figlio del passato.

Nella successione della vicenda temporale non c’è che un lento ripiegamento verso speranze sempre meno ardue: dalla gioiosa potenza dell’unione con Dio, dalla meraviglia dell’età messianica, si scende, delusi e sovraccaricati di riserve, di dubbi, di limitazioni, di critiche, di precisazioni, di stanchezza, all’ideale del benessere e della prosperità, dove si va al cinema, si fumano ottime sigarette, si è garantiti nella vita e nei beni da poliziotti addestratissimi, si hanno in casa l’aria condizionata, il frigorifero e la lavatrice automatica. In fondo, la cosa più grave è che alla felicità non crede più nessuno. Tutti sperano soltanto di poter evitare in misura sempre maggiore le fatiche e i pericoli. Significativamente, la stessa parola «ideale» è venuta scivolando fino ad acquistare il senso di «irreale». A rendere impossibile la religione è precisamente il fatto che essa propone una meta risolutiva, perfetta, una speranza troppo più grande di quella che può essere accettata dalla nostra delusa stanchezza. Noi sappiamo per lunga esperienza che è già troppo difficile sperare di ottenere che chi ha la responsabilità della cosa pubblica non rubi esageratamente, figuriamoci se riusciamo a sperare la gloria di Dio che, come dice Habacuc, riempie gli abissi del mare, il trionfo perfetto della giustizia e dell’amore, le nostre lacrime asciugate per l’eternità. In questa condizione, quale può essere il futuro della religione? La religione, nella storia, non può ormai avere un futuro. Ma, in realtà, non lo ha mai potuto avere, come è dimostrato dal fatto che non lo ha mai avuto. La posizione della religione di fronte al futuro non è essenzialmente diversa oggi da quanto fosse duemila, o anche diecimila, anni fa. La religione, oggi come allora, si pone come la negazione di tutto ciò che, nelle premesse come nelle conseguenze, costituisce la realtà di cui abbiamo esperienza, il cerchio chiuso dove ci agitiamo; si pone, oggi quanto allora, come negazione della storia.

Il senso della religione sta nella trasformazione della realtà, e cioè nella trasformazione della storia, nell’uscire dal cerchio vuoto della nostra vecchia vita e della nostra vecchia morte. L’itinerario discendente della storia, assunto in un punto qualunque della sua successione, manifesta una situazione identica. La posizione della religione è la stessa. Non aveva senso sperare in un graduale ma sostanziale miglioramento dell’umanità illuminata duemila anni fa dalla verità cristiana, proprio come non ha senso sperarlo ora. Ciò che è graduale non può essere che conforme, omogeneo, fatto della stessa pasta, che è la pasta della storia di cui abbiamo esperienza; soltanto il capovolgimento, il salto, è religione.

Ho detto, tuttavia, che la religione è la realtà delle origini. L’origine e la fine presentano l’identità e la reciproca implicazione degli opposti. Se la condizione fresca e nuova delle origini, quando erano facili l’entusiasmo e la speranza, rendeva possibile la religione, oggi la nostra vecchiaia e la nostra tiepidezza, quando sono facili l’abbattimento e la disperazione, la rendono necessaria. Se la capacità di credere spingeva un tempo a credere, oggi l’incapacità di credere rende il credere urgente e indispensabile. Il nostro tempo non può più consentire la vita di una religione storicizzata e ridotta a continuazione del passato, svuotata e svirilizzata, compromessa ed equivoca. La necessità di una religione autentica rende impossibile oggi il perdurare di religioni impotenti e agonizzanti. Se qualche centinaio d’anni fa le feste cristiane, i riti, i sacramenti potevano essere surrogati plausibili del regno, della realtà perfetta, non possono più esserlo oggi che del regno c’è assoluto spasmodico bisogno. I segni di questo bisogno vanno crescendo con la scomparsa sempre più totale della religione dal mondo. La religione è tanto più difficile oggi quanto più è necessario che sia la religione perfetta e ultima, la vera e definitiva redenzione e trasformazione del mondo. Del mondo e della sua storia siamo infinitamente stanchi. Questo non è ancora religione, ma è lo spazio vuoto che deve essere colmato dalla religione.

 

Sergio Quinzio

In Religione e futuro, Adelphi 2001, pp.59-63

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