Koinonia Maggio 2019


UN INCONTRO CASUALE CON QUINZIO CHE NON È FINITO LÌ...

 

È stato durante una calda estate, pellegrino sul cuore di una montagna, alla ricerca di un sentiero che mi portasse in una direzione meno vaga del mio continuo vagare che lui mi si è fatto incontro, lasciandomi tre frasi enigmatiche e svanendo poi nei vapori estivi del meriggio: sono rimasto lì con tre pagine tristi, vergate con un inchiostro color sabbia:

 

Pagina n. 1:

«Sono rimasto quello che ero, con il mio obbediente adeguarmi alla situazione, nella consapevolezza dell’impossibilità di cambiarla nel senso decisivo che sento indispensabile, con la mia sorridente disperazione, con la mia, giustamente, sempre più stanca e confusa confusione». 

 

Pagina n. 2

«Lungo le pagine della Bibbia la salvezza diventa sempre più lontana quanto più appare vicina, è sempre più sfuggente, è pagata sempre più terribilmente, è sempre più implicata nella morte; eppure proprio per questo diventa sempre più necessaria e urgente, più disperatamente dolce. Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo (Genesi 2, 23)». 

 

Pagina 3

«Sento confusamente tante cose, ma non riesco a distinguerle [...] una incertezza anche maggiore si ha nelle scelte quotidiane: nessuna mi attrae abbastanza, e il non scegliere mi è intollerabile, perché sento che bisogna fare qualcosa. Una grande confusione, per l’impossibilità di essere compresi nel parlare di una cosa qualunque nello scrivere nel piangere nel ridere, sempre, per la solitudine abissale, tanto che devi fingere qualcosa per riempirla, fare e dire qualcosa che non serve, perché non si può stare senza fare e senza dire». 

 

Come i tre tempi della sinfonia di un’anima: la coerenza, la ricerca, l’approdo ad una incertezza esistenziale che è quasi preambolo ad una dichiarazione di amore e di fede dolorosamente infinita… Così è stato il primo, casuale, incontro con Quinzio. Non poteva finire così; il suono, l’incanto sofferto della sua anima ti chiama per darti e per avere: è invito al dialogo, a percorrere un tratto di strada insieme, ad avventurarsi nel mare del bisogno di  Dio e trovarsi nelle Sirti del suo nascondersi tra le pieghe irrisolte della storia.

 

L’ho cercato ancora: come si può cercare un amico con cui si sono scambiate parole, sorrisi e qualche lacrima, con cui dopo un’ora di cammino lungo l’argine di un fiume hai la sensazione di essere sempre vissuto con lui, ma avverti che l’ultima parola, quella più vera, quella che può aprire il cuore delle nuvole, non è stata ancora detta, e forse è proprio con lui che potrebbe essere detta.

Il tratto di lui che più mi ha colpito è l’immensa pietà per il dolore dell’uomo: l’irrimediabilità della condizione umana affogata nel male e pressoché impossibilitata a credere in un Dio che salva, illusa e beffata da un progetto di salvezza annunciato e poi svanito dall’orizzonte della storia, è divenuta in Quinzio fonte di una inestinguibile pietà, dietro il cui velo umano si intravede il sorriso amoroso di Dio.

 

Se l’uomo è capace di sentire il dolore dell’altro come suo, se lo sconvolgimento, la «confusione» dell’esistenza può essere segnale che addita una possibile via di condivisione, se la solitudine assoluta di Dio si infrange nelle innumerevoli solitudini degli uomini, e se in quelle angosciose lande gli uomini si riconoscono come fratelli, allora il «cinismo del nulla» può essere vinto, e la ricerca mai paga di una verità che consola e disseta può distendersi in un Amen finalmente liberatorio.

Fu al tramonto dell’occidente che i profeti annunciarono il ritorno di Dio, irridendo le convulsioni della storia.

 

Ezio Dolfi

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