Koinonia Maggio 2019


UN PAPA CONTRO. IN TROPPI CONTRO IL PAPA.

 

È un po' di tempo che ambienti anticlericali (piuttosto miopi, a dire il vero) criticano il papa in quanto alle promesse di un profondo rinnovamento della Chiesa non seguono atti concreti significativi (1). Tali rilievi non di poco conto mi procurano dolore e irritazione ad un tempo. Non parlerò tanto del dolore, in quanto ogni cattolico che ha creduto e crede nei valori del Concilio non può che essere deluso e smarrito di fronte alle difficoltà che incontra Francesco nel procedere sulla strada di una riforma radicale della Chiesa (e Dio sa quanto sia necessaria!). Mi interessa di più spiegare le cause della mia irritazione.

Fin da subito Francesco ha caratterizzato il suo magistero nel segno del rinnovamento. Le sue prese di posizione contro il clericalismo e al tempo stesso contro ogni forma di ingiustizia sociale causata da un sistema economico perverso gli hanno procurato forti opposizioni dentro e fuori la Chiesa. Ben presto diversi vescovi e cardinali (non troppo numerosi, ma ben agguerriti) hanno cominciato a criticarlo in modo frontale, partendo da posizioni che senza mezzi termini potremmo definire reazionarie: Francesco, a loro avviso, minerebbe i fondamenti dell’ortodossia cattolica mettendo in discussione, non tanto nelle parole quanto nei fatti, il magistero della Chiesa e, in ultima istanza, lo stesso principio dell’infallibilità.

Mostrare un atteggiamento di misericordia e non di condanna senza appello nei confronti dei  “peccatori” (divorziati risposati, donne che hanno abortito…); rivalutare il ruolo della donna nella Chiesa; relativizzare il potere del clero prospettando di realizzare una Chiesa veramente comunitaria e non più verticistica; intervenire quotidianamente e senza giri di parole contro le ingiustizie sociali causate dalla sopraffazione dei pochi sui molti: tutto questo è percepito come intollerabile dai cattolici tradizionalisti e al tempo stesso dai settori “forti” della società.

Proprio per questo, ben al di là dei gruppi che lo contestano a viso aperto (“che faccia il suo mestiere”, ad esempio, è la critica ricorrente di molti politici conservatori) in una parte non piccola della società sta crescendo nei suoi confronti un atteggiamento di perplessità e scetticismo che tende a relativizzare (e quindi anestetizzare) le sue scelte e il suo operato.

Quante volte sentiamo dire da imprenditori, economisti, politici, ma anche da gente comune: “Lui parla da papa (la misericordia, il perdono, la giustizia sociale, la pace), ma la realtà è complessa e siamo noi che dobbiamo farcene carico, giorno dopo giorno”. Il guaio è che, in troppi casi, proprio chi a parole plaude a papa Francesco, in realtà agisce esattamente nel modo opposto.

Riguardo a tale ambiguità di fondo, sempre finalizzata a portargli discredito, voglio citare due fatti eclatanti, diversi fra loro, ma entrambi di enorme peso, data l’autorevolezza dei proponenti.

Il primo è il recente intervento del papa emerito Benedetto XVI in merito alla piaga della pedofilia nella Chiesa. La tesi di Ratzinger  è chiara e diretta: la pedofilia è figlia del Sessantotto (2) che ha dato via libera a ogni forma di licenza e l’aria pestifera di questo movimento è entrata negli stessi seminari favorendo atti sessuali anche nei confronti dei minori.

È una tesi che potremmo definire “stravagante”, se non fosse per l’autorevolezza del suo autore, in grado quindi di incidere sugli orientamenti della comunità cristiana.

Ovviamente un gran numero di intellettuali (giornalisti, scrittori, religiosi) hanno criticato le tesi di Ratzinger. Tra i tanti citerò solo l’intervento del teologo Vito Mancuso, il quale sottolinea che la pedofilia col Sessantotto  non ha nulla a che vedere. La pedofilia risale infatti a tempi lontanissimi. All’interno della stessa Chiesa, nel corso dei secoli, la praticarono non pochi religiosi, preti, vescovi, cardinali e, sembra, anche alcuni papi. Fino a oggi questi peccati vergognosi sono stati sempre coperti dall’omertà: la struttura clericale non doveva essere infangata, la sua “credibilità”, il suo onore erano considerati sempre più importanti delle vittime. Casomai il Sessantotto con la sua carica dissacrante e la sua polemica contro le convenzioni e le ipocrisie ha avuto il merito di creare un clima culturale nuovo che ha dato alle vittime la forza di denunciare le violenze subite.

In merito all’intervento di Ratzinger sono interessanti e appropriate le osservazioni di padre Alberto Simoni, fondatore e direttore della rivista Koinonia (3): “ L’uscita del papa emerito Benedetto XVI non può essere rubricata a semplice incidente di cronaca, ma è la manifestazione al vertice di questioni di fondo irrisolte se non per rapporti di forza: ma se da una parte c’è l’azione a tutto campo di un papa-parroco del mondo che vorrebbe essere profetica per una ‘conversione pastorale’, papa Francesco, dall’altra c’è la roccaforte dottrinale di un magistero che sorregge tutto quel sistema clericale che si rinnova per non cambiare!”.

Il secondo caso che voglio citare è una recente presa di posizione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Trascurato dai media, almeno a confronto con l’uscita di Ratzinger,  è a mio giudizio un fatto altrettanto inquietante perché, pur in presenza di un papa che denuncia quotidianamente la violenza dell’attuale sistema (“questa economia uccide”), sostiene la bontà del neoliberismo, a patto che gli imprenditori e i finanzieri agiscano correttamente. Cito testualmente: “Possiamo parlare di una sanità di tale organismo (il mercato) quando i suoi mezzi e apparati realizzano una buona funzionalità del sistema in cui crescita e diffusione della ricchezza vanno di pari passo (4).  Una sanità del sistema che dipende dalla sanità delle singole azioni che vi vengono attuate”.

Dalle argomentazioni della Congregazione per la Dottrina della fede, afferma giustamente il giornalista Paolo Cacciari “si deduce che i problemi che si riscontrano quotidianamente in campo ambientale e sociale non si risolverebbero aggredendo le cause strutturali dell’iniquità - come esortava il papa -, ma eliminando le distorsioni dovute  all’avidità di alcuni agenti economici e alle condotte immorali di alcuni regolatori pubblici” (5).

Questi due esempi, in mezzo a innumerevoli altri, stanno a dimostrare che siamo in presenza di una deriva particolarmente insidiosa, intrisa di ipocrisia: ci si dice d’accordo col papa, lo si ringrazia per il suo operato e la sua dedizione ai poveri, ma al tempo stesso, grazie a un’opera di sistematica rimozione, si stravolge il suo pensiero, si dimenticano le sue parole, come se non fossero mai state pronunciate, in attesa di un futuro senza Francesco, quando finalmente tutto potrà rientrare nell’ordine.

 

Bruno D’Avanzo

 

 

NOTE

(1) Riguardo al dramma della pedofilia all’interno della Chiesa, ad esempio, in più di una occasione papa Francesco è stato accusato di non essere intervenuto tempestivamente contro i colpevoli.  Ma se guardiamo alla vastità di questa terribile  piaga (migliaia e migliaia di sacerdoti implicati coperti dai loro vescovi) come sarebbe possibile agire con maggiore rapidità? Dobbiamo anche ricordare che quando Francesco si è accorto di avere sbagliato non avendo dato subito ascolto alle vittime di violenza (è il caso della Chiesa cilena) ha immediatamente chiesto perdono, cosa certamente non usuale per un papa.

(2) È a tutti nota la repulsione che il papa emerito Benedetto XVI prova per il ‘68. Eppure prima di allora Ratzinger veniva considerato un teologo progressista, in linea col Concilio Vaticano II.

Alcuni attribuiscono il suo repentino cambiamento a un episodio sgradevole successo proprio allora, quando un gruppo di studenti contestatori interruppe una sua lezione universitaria. Da quell’episodio Ratzinger sarebbe uscito sconvolto.

(3) Koinonia-forum n. 607, 20 aprile 2019.

(4) Ma quando mai! Da quando esiste il liberismo (e oggi il neoliberismo) in presenza di una crescita chi si avvantaggia è sempre e ovunque la classe padronale e per le classi lavoratici un eventuale miglioramento economico, se c’è, resta comunque esiguo se paragonato a quello dei privilegiati. In caso di crisi, invece, i costi del mancato sviluppo ricadono sempre sulle spalle dei ceti più deboli in termine di contrazione dei salari, di ritmi di lavoro più intensi, di disoccupazione, di precariato. Pertanto la forbice fra ricchi e poveri tende ad allargarsi.

(5) P. Cacciari, “Ambiente, ormai non si dà retta neanche al papa”, Il Fatto Quotidiano, 19-4-19, pg.13.

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