Koinonia Maggio 2019


Nuovo incontro con Luigi Santucci

                        

VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?

 

Quest’anno, in Quaresima, quasi per caso, sono capitata su questo vecchio libro (la prima edizione è del 1969) di Luigi Santucci, di cui avevo amato moltissimo un romanzo “Il velocifero”.

Il sottotitolo annuncia “Una vita di Cristo”, ma l’autore, nella Premessa, afferma che si tratta se mai, “del tentativo di una lunga e faticosa preghiera, una inconclusa battaglia”. E poi specifica meglio l’uso del  termine ‘battaglia’: “Questa storia di Cristo (che è insieme, in controluce, la mia storia) ha dentro due parti... una florida di fede... l’altra invece sotto il segno della problematicità o addirittura nei gorghi della disperazione”.

Quanto alla domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli, “la sera di un giorno di più cocenti smacchi e di più numerose diserzioni: Volete andarvene anche voi?”, Pietro, dice Santucci, rispose con “una frase che può suonare fervida di certezza, o venata di sgomento”. Quella domanda di Cristo, “nel suo patetico e ironico non coartarci... batte a una certa ora per ogni uomo”.  Egli si augura che la nostra risposta sia, come per Pietro, di ‘rimanere’ con Lui “non per una scelta di abitudine, di viltà e di paura... di chi voglia arrendersi a un accerchiamento senza scampo... ma di chi sa per sempre che disperazione e solitudine non gli saranno più consentite”.

Già mentre scriveva (“lungo molti e diversissimi anni”), e tanto più forse per noi oggi, Santucci sentiva di essere una retroguardia di un esercito ormai in rotta e gli sembrava che il mondo avesse voltato le spalle a quest’Uomo di cui andava raccontando. “Ma invece, aggiunge, e più spesso, sentivo che il mio mondo non era un’antinomia, né un’irrisione, né un oblio di Cristo. Sentivo anzi vero, contro ogni apparente contraddizione, il miscuglio Cristo-mondo”. Ho amato particolarmente l’espressione ‘il miscuglio Cristo-mondo’, ad indicare che Gesù Cristo, nei tre anni della sua vita pubblica in Palestina, duemila anni fa, si è talmente mescolato alle fibre del mondo da esserne ormai inestirpabile.  Nonostante, qualcuno direbbe, i tentativi della sua Chiesa per riportarlo nei cieli e rinchiuderlo nei tabernacoli.

Anche lo stile di Santucci sembra creato apposta per vedere il suo protagonista mescolato nel tessuto umano. In un continuo mutare di angolazioni, a volte parlano i personaggi che Gesù incontra. Maria di Magdala ricorda insieme all’amica Salome, dopo 20 anni, l’indimenticabile momento del ‘Noli me tangere’; Lazzaro non vorrebbe tornare in vita perché ormai è nella pace del Padre, ma ritorna perché chiamato dall’amico Gesù. Parlano i bambini uccisi da Erode, alla fine contenti perché hanno saputo che il bambino era salvo in braccio alla mamma: “e quello, dicono, è stato il nostro regalo di Natale”. Nel capitolo che narra la moltiplicazione dei pesci e dei pani, sono appunto loro a parlare, pesci che non hanno mai visto il mare, pani che non hanno mai conosciuto il forno. Parlano gli indemoniati: “Cosa c’è fra noi e te che non potremo mai conciliarci? O Luce, o Vita, toccaci anche noi....”. Lui stesso, l’autore, entra nella trama delle parabole: cerca di svegliare le vergini stolte, ammonisce il servo che sta sotterrando l’unico talento che il padrone gli ha lasciato in custodia; pur restando “nel suo letto, supino, nel buio, a occhi aperti”, si unisce a Nicodemo, “l’intellettuale petulante” per provocare il Maestro, perché “lui metta sulla piramide sghemba della sua cultura, il sigillo della certezza metafisica”.

“In certe pagine, dice Santucci, ho osato dare voce addirittura a un Cristo autobiografico...accorgendomi, così facendo che anche dentro queste soggettivazioni indiscrete la figura del redentore non perdeva mai la sua prospettiva sacra..”. L’ultimo capitolo, quello che narra dell’Ascensione, è un monologo di Gesù che salendo descrive il cielo in cui ascende. “Nei primi guadi... mi hanno sfiorato farfalle e scarabei... poi mi hanno inseguito le libellule... sopra infine gli scatti geometrici delle rondini. Poi più niente di vita. O vita invece è anche questa delle nuvole che si smagliano a segreti venti...”.

E l’Eucarestia. Sì, Santucci sa che, “tutto era previsto e scritto... secondo l’antichissima volontà del Padre”, ma lui vede alla fine della cena “gli occhi di Gesù vagabondare... fra i rimasugli di pane sulla tovaglia, brillare di un’ispirazione ineffabile: ecco il suo nascondiglio. Là si andrà a rifugiare. Non lo prenderanno tutto stanotte”. Come il sovrumano diventa umanissimo, senza perdere un grammo della sua divinità! Facendoci nello stesso tempo toccare Dio più di mille elucubrazioni sulla transustanziazione. Santucci conclude la premessa dicendo che “può darsi che questo libro altro non offra di Lui che una dimensione poetica. Ma personalmente io non so escludere che la forza di Cristo e il trionfo del suo passaggio fra gli uomini non siano da ultimo nella sua onnipotenza di poeta”.

 

Donatella Coppi

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