Koinonia Aprile 2019


Partecipando all’Assemblea nazionale

Chiesadituttichiesadeipoveri del 6 aprile a Roma

 

QUALCHE INTERROGATIVO A LIETO FINE

 

Voglio subito segnalare alcuni dati significativi che hanno caratterizzato l’incontro di sabato 6 aprile di “Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri” sul tema “Riunire i popoli frantumati e altre urgenze”: la partecipazione attiva dei giovani, che hanno dato un loro importante contributo di studio e il fatto che l’assemblea non sia stata fine a se stessa, ma sia rimasta aperta al futuro, “un futuro che dovremo costruire facendo di ogni diritto negato il potere costituente di un nuovo ordine mondiale”, come scrive Raniero La Valle nella sua newsletter del 9 aprile. Sono state sempre queste le parole con cui egli ha sintetizzato il senso di tutta l’assemblea, molto ricca di interventi, focalizzati per lo più sul dramma migrazioni quale cifra di “che cosa ci sta succedendo”.

Questa domanda - “che cosa ci sta succedendo” - ha dato il “la” ai lavori e ha fatto da leit-motiv per tutta la giornata, e per la verità non sono mancati spunti e analisi di carattere umanitario, politico, sociale,  etico, e soprattutto giuridico, di “giuristi militanti, i giudici che ‘dicono’ il diritto e la giustizia nella realtà drammatica di oggi, ne affrontano i “casi concreti”, e ne imparano le sofferenze e la lezione”, da cui appunto  la volontà di fare “di ogni diritto negato il potere costituente di un nuovo ordine mondiale”. Si tratta in sostanza di accogliere il grido dei popoli, il grido dei poveri, il grido della terra, il grido del volto sfigurato dell’uomo, il grido delle vittime, il grido della pace, e tradurlo in un nuovo universale appello: “Diseredati di tutto il mondo, unitevi!”!

In effetti non è mancato questo afflato messianico con relativa lettura messianica della crisi: e se i messia mondani sono falliti, rimane un messia che è l’umanità intera, comunità politica, ministeriale, profetica. È quanto viene detto e quanto si coglie come sottofondo di tutto il dibattito, ma è anche dove comincia a venir fuori qualche interrogativo: sarebbe l’umanità intera a dover salvare questa umanità malata, come dire “medico cura te stesso”?

Chi la mobilita questa umanità per venire in soccorso di se stessa? È stato detto che è la potenza della “parola”, lasciando intendere che si tratti della “parola della fede” (Romani 10,8), e quindi di un Popolo messianico chiamato a farsi carico della missione di riunire i popoli frantumati. Senza dimenticare che ad essere lì convocata era la “Chiesa di tutti chiesa dei poveri”, quindi un soggetto ben preciso e caratterizzato in senso ecclesiale: ma con quale mandato?

Ecco allora, in termini più espliciti, l’intervento del teologo Pino Ruggieri, che dà una lettura messianica della crisi, da cui si aspetterebbe una visione incisiva e decisiva di un messianismo all’altezza della situazione. In effetti, con riferimento a parole di Papa Francesco e soprattutto al testo delle Beatitudini, egli ci riporta alla profonda partecipazione di Gesù alle sofferenze del popolo a cui è mandato, per cui tutti i discepoli che vogliono seguire il Cristo-messia si chiamano “cristiani”, e cioè messianici.

E fin qui ci siamo. Ma, a parte opportuni chiarimenti lessicali, quali sono e dove sono di fatto nelle nostre chiese questi cristiani-messianici che danno un volto nuovo alla stessa chiesa come Popolo di Dio tra i popoli? Sì, il messia è colui che prende su di sé le sofferenze dell’altro quale criterio primario che deve spingere all’azione:  e in questo senso non mancano azioni messianiche e provvidenziali samaritani in tutti gli angoli della terra, ma per questo possiamo dire di avere una chiesa messianica al posto di una chiesa clericale, assistenziale e autoreferenziale? Una “chiesa in uscita” al posto di una chiesa insediata e sedentaria? Fa problema tutto questo, o è ininfluente e irrilevante rispetto alle urgenze che abbiamo davanti e che sembrano l’unico problema?

Mi chiedo allora se non ci sia uno scompenso tra le risposte storiche e tecniche da dare a queste urgenze e chi dovrebbe darle anche in senso messianico e profetico; se i cambiamenti epocali che sono in atto sulla scena di questo mondo non richiederebbero un reale cambiamento epocale anche della chiesa. In altre parole, se ci siamo ripetutamente chiesti “cosa ci sta succedendo” sotto tutti gli aspetti, non sarebbe necessario domandarci “cosa sta succedendo” anche in ambito ecclesiale? Basta fare riferimento a quanto dice e fa Papa Francesco, per credere che sia compiuta quella “conversione pastorale” che egli ha promosso?

È chiaro che da pastorale ed ecclesiologica, la questione diventa più strettamente teologica. In questo senso - ed è qui l’interrogativo più pressante: se “credere al vangelo” è qualcosa da lasciare sullo sfondo e da dare per scontato, nel suo significato oltre che nella sua effettuazione, o se presenta una sua problematicità, una sua rilevanza originaria e una sua ricaduta storica;  se proprio l’impatto con le urgenze di salvezza del momento non provochino ad una comprensione sempre più profonda di quel Cristo-messia, “colui che determina e qualifica, dall’inizio alla fine, il progetto di Dio sulla storia. In altre parole, Gesù è la persona che ha peso determinante per la salvezza della umanità” (G.Barbaglio). Qualcosa insomma che dovrebbe trovare nella chiesa l’espressione e lo strumento storico di attuazione, che non vuol dire svuotamento e appiattimento della fede nelle opere in nome di una malintesa laicità, ma saper mostrare la propria fede con le opere. Infatti, ad una fede senza le opere non si risponde con le opere senza la fede, ma con le opere che testimoniano la fede!  (cfr. Giacomo 2,18)

Per la verità, nelle parole conclusive del suo intervento, Giuseppe Ruggieri offre una visione bilanciata di chiesa messianica come “ospedale da campo”, in cui fede e opere trovano un perfetto connubio, in quanto la fede si differenzia da qualsiasi ideologia religiosa, da qualsiasi dottrina del diritto naturale sulla quale è stata costruita la cosiddetta dottrina sociale della chiesa, da qualsiasi filosofia politica che ha guidato il cosiddetto impegno politico dei cattolici. Ma senza rinnegare tutto questo nel rispettivo valore intrinseco, essa rimane impegno primario di azione salvifica e curatrice, “il faro che il vangelo del Messia Gesù accende sulle vicende della storia”.

Il punto è: se per parlare di “chiesa messianica” basta ispirare e sostenere azioni personali di singoli cristiani – non esclusi quelli di fatto – o sia importante dare vita ad un movimento e ad un Popolo messianico che raduni i popoli frantumati e dispersi. Che non vuol dire soltanto mobilitarsi “a favore di…”, ma vuol dire coinvolgere e arruolare evangelicamente i poveri perché siano essi i destinatari e i promotori del Regno di Dio sulla terra: non a caso si parla di  “Chiesa dei poveri”! Non basta per questo pensare ad assistiti e beneficati da parte di organizzazioni apposite, se al tempo stesso “chiesa dei poveri” non è quella fatta di poveri, chiamati a condividere la vera ricchezza di cui essa è portatrice: “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?” (Giacomo 2,5). Non è certamente una prospettiva meno facile, ma è assolutamente necessario perseguirla!

 

Alberto Bruno Simoni op

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